La pace di Francesco

Da anni il Papa mette in guardia il mondo, ma le sue parole contro la guerra ultimamente hanno dato quasi fastidio. «Oggi più che mai abbiamo bisogno del Crocifisso Risorto per sperare nella riconciliazione»
Andrea Tornielli

«Per favore, per favore: non abituiamoci alla guerra, impegniamoci tutti a chiedere a gran voce la pace, dai balconi e per le strade! Pace!». Papa Francesco, profeta inascoltato, che da anni mette in guardia il mondo avviato verso la terza guerra mondiale, lo ha detto anche la domenica di Pasqua, durante il messaggio Urbi et Orbi: «Chi ha la responsabilità delle Nazioni ascolti il grido di pace della gente. Ascolti quella inquietante domanda posta dagli scienziati quasi settant’anni fa: Metteremo fine al genere umano, o l’umanità saprà rinunciare alla guerra? (Manifesto Russell-Einstein, 9 luglio 1955)». Poco prima di pronunciare queste parole, Francesco aveva detto: «Abbiamo alle spalle due anni di pandemia, che hanno lasciato segni pesanti. Era il momento di uscire insieme dal tunnel, mano nella mano, mettendo insieme le forze e le risorse... E invece stiamo dimostrando che in noi non c’è ancora lo spirito di Gesù, c’è ancora lo spirito di Caino, che guarda Abele non come un fratello, ma come un rivale, e pensa a come eliminarlo. Abbiamo bisogno del Crocifisso Risorto per credere nella vittoria dell’amore, per sperare nella riconciliazione. Oggi più che mai abbiamo bisogno di Lui, che venga in mezzo a noi e ci dica ancora: Pace a voi!».

Le parole di Papa Francesco contro la guerra, da quasi due mesi sono diventate “segno di contraddizione”. Il suo messaggio di pace, saldamente ancorato nel Vangelo e nel magistero dei predecessori dell’ultimo secolo, colpisce per la sua radicalità ed è stato oggetto nelle scorse settimane di vari tentativi di ridimensionamento. Non potendo interpretare nel senso voluto le parole del Pontefice, non potendo in alcun modo “piegarle” a sostegno della corsa al riarmo accelerata a seguito della guerra di aggressione scatenata da Vladimir Putin contro l’Ucraina, se ne sono prese elegantemente le distanze, concludendo che sì, in fondo il Papa non può che dire ciò che dice perché è il Papa ma poi è giusto agire diversamente.

Lo scorso 24 marzo, Francesco aveva detto: «Io mi sono vergognato quando ho letto che un gruppo di Stati si sono impegnati a spendere il due per cento del Pil nell’acquisto di armi, come risposta a questo che sta succedendo adesso. La pazzia! La vera risposta non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari, ma un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo ormai globalizzato - non facendo vedere i denti, come adesso -, un modo diverso di impostare le relazioni internazionali. Il modello della cura è già in atto, grazie a Dio, ma purtroppo è ancora sottomesso a quello del potere economico-tecnocratico-militare».

All’Angelus del 27 marzo, il Papa aveva ribadito: «La guerra non può essere qualcosa di inevitabile: non dobbiamo abituarci alla guerra! Dobbiamo invece convertire lo sdegno di oggi nell’impegno di domani. Perché, se da questa vicenda usciremo come prima, saremo in qualche modo tutti colpevoli. Di fronte al pericolo di autodistruggersi, l’umanità comprenda che è giunto il momento di abolire la guerra, di cancellarla dalla storia dell’uomo prima che sia lei a cancellare l’uomo dalla storia».

Mai in alcun momento la posizione del Successore di Pietro è stata “equidistante”: fin dall’inizio di questa guerra tremenda nel cuore dell’Europa, un conflitto che sembra aver riportato indietro di ottant’anni l’orologio della storia, Francesco ha manifestato la sua concreta vicinanza all’Ucraina aggredita. Il 2 aprile, a Malta, parlando alle autorità dell’isola, Francesco ha detto: «dall’Est Europa, dall’Oriente dove sorge prima la luce, sono giunte le tenebre della guerra. Pensavamo che invasioni di altri Paesi, brutali combattimenti nelle strade e minacce atomiche fossero ricordi oscuri di un passato lontano. Ma il vento gelido della guerra, che porta solo morte, distruzione e odio, si è abbattuto con prepotenza sulla vita di tanti e sulle giornate di tutti. E mentre ancora una volta qualche potente, tristemente rinchiuso nelle anacronistiche pretese di interessi nazionalisti, provoca e fomenta conflitti, la gente comune avverte il bisogno di costruire un futuro che, o sarà insieme, o non sarà. Ora, nella notte della guerra che è calata sull’umanità, per favore, non facciamo svanire il sogno della pace».

«Più di sessant’anni fa - ha aggiunto il Papa - a un mondo minacciato dalla distruzione, dove a dettare legge erano le contrapposizioni ideologiche e la ferrea logica degli schieramenti, dal bacino mediterraneo si levò una voce controcorrente, che all’esaltazione della propria parte oppose un sussulto profetico in nome della fraternità universale. Era la voce di Giorgio La Pira, che disse: “La congiuntura storica che viviamo, lo scontro di interessi e di ideologie che scuotono l’umanità in preda a un incredibile infantilismo, restituiscono al Mediterraneo una responsabilità capitale: definire di nuovo le norme di una Misura dove l’uomo lasciato al delirio e alla smisuratezza possa riconoscersi” (Intervento al Congresso Mediterraneo della Cultura, 19 febbraio 1960). Sono parole attuali; possiamo ripeterle perché hanno una grande attualità. Quanto ci serve una “misura umana” davanti all’aggressività infantile e distruttiva che ci minaccia, di fronte al rischio di una “guerra fredda allargata” che può soffocare la vita di interi popoli e generazioni!».

Ma, ha osservato ancora Francesco a Malta, «quell’“infantilismo”, purtroppo, non è sparito. Riemerge prepotentemente nelle seduzioni dell’autocrazia, nei nuovi imperialismi, nell’aggressività diffusa, nell’incapacità di gettare ponti e di partire dai più poveri. Oggi è tanto difficile pensare con la logica della pace. Ci siamo abituati a pensare con la logica della guerra. Da qui comincia a soffiare il vento gelido della guerra, che anche stavolta è stato alimentato negli anni. Sì, la guerra si è preparata da tempo con grandi investimenti e commerci di armi. Ed è triste vedere come l’entusiasmo per la pace, sorto dopo la seconda guerra mondiale, si sia negli ultimi decenni affievolito, così come il cammino della comunità internazionale, con pochi potenti che vanno avanti per conto proprio, alla ricerca di spazi e zone d’influenza. E così non solo la pace, ma tante grandi questioni, come la lotta alla fame e alle disuguaglianze sono state di fatto derubricate dalle principali agende politiche».

Quella del Vescovo di Roma sembra essere una voce che grida nel deserto. Il Papa guarda oltre e vede saldarsi sempre più i “pezzi” di quella terza guerra mondiale che ha denunciato da anni e che si combatte nel mondo. Il gesto di dedicare una giornata di digiuno e preghiera per la pace all’inizio della Quaresima, e soprattutto la decisione di consacrare al Cuore Immacolato di Maria l’umanità intera e in modo speciale la Russia e l’Ucraina, di dicono della gravità del momento.

Sarebbe un errore “sterilizzare” questo messaggio, incasellandolo nella categoria dei messaggi utopistici. Papa Francesco mostra di avere uno sguardo profondamente realista, lo stesso che nel 2003 faceva implorare san Giovanni Paolo II ai governi di tre Paesi occidentali di non muovere l’assurda guerra contro l’Iraq, scatenata sulla base di informazioni rivelatesi poi false. Per decenni quel Paese è stato trasformato nella sentina di ogni terrorismo, è stato devastato e distrutto. E il tempo necessario per sanare le ferite nei cuori e ricostruire la convivenza sarà sempre più lungo di quello della ricostruzione delle case distrutte. Sì perché la guerra, ha scritto Francesco nell’introduzione al libro Contro la guerra (Solferino - LEV), «non è la soluzione, la guerra è una pazzia, la guerra è un mostro, la guerra è un cancro che si autoalimenta fagocitando tutto! Di più, la guerra è un sacrilegio, che fa scempio di ciò che è più prezioso sulla nostra terra, la vita umana, l’innocenza dei più piccoli, la bellezza del creato. Sì, la guerra è un sacrilegio!».

Ed è effimera la pretesa di chi crede di poter vincere con la forza delle armi: «Perché si vuole vincere così, alla maniera del mondo? - si è chiesto il Papa all’Angelus della domenica delle Palme - Così si perde soltanto. Perché non lasciare che vinca Lui? Cristo ha portato la croce per liberarci dal dominio del male. È morto perché regnino la vita, l’amore, la pace. Si depongano le armi! Si inizi una tregua pasquale; ma non per ricaricare le armi e riprendere a combattere, no!, una tregua per arrivare alla pace, attraverso un vero negoziato, disposti anche a qualche sacrificio per il bene della gente. Infatti, che vittoria sarà quella che pianterà una bandiera su un cumulo di macerie?».

In un mondo di leader che ragionano secondo lo schema di guerra, in assenza di creatività diplomatica, in mancanza di capacità di iniziative politiche che scommettano sullo schema di pace, in mancanza di governanti disposti «anche a qualche sacrificio per il bene della gente», quando quella della folle corsa al riarmo sembra essere l’unica opzione e l’unico pensiero possibile, il messaggio di Papa Francesco merita di essere ascoltato. Merita di essere sostenuto, valorizzato e rilanciato dal popolo cristiano.