Macerata-Loreto. L'attualità di un gesto di fede

Si è conclusa la 46esima edizione del Pellegrinaggio notturno alla Santa Casa di Maria. Un luogo dove le ferite diventano domanda, un'alternativa all'individualismo dell'uomo contemporaneo
Matteo Rigamonti

La strada della speranza è sempre percorribile. Anche in un mondo dilaniato dalle guerre, anche quando la vita mette alla prova. Possono testimoniarlo i 60mila “pellegrini di speranza” che, nella notte tra sabato 8 e domenica 9 giugno, si sono messi in cammino per la 46esima edizione del Pellegrinaggio Macerata-Loreto, eccezionalmente partito dal Centro Fiere di Macerata, dove nel 1993 fu accolto Giovanni Paolo II, che per l’occasione aveva presieduto la celebrazione della messa.

Al via c’è chi deve sostenere un test a settembre e vuole affidarlo alla Madonna, chi sta compiendo una scelta vocazionale per cui chiede protezione e consiglio e chi porta nel cuore amici e familiari o situazioni e nodi intricati da sciogliere. C’è anche chi va semplicemente per ringraziare. Quasi tutti partecipano a gruppi, quelli più numerosi sono riconoscibili da vessilli che recano la scritta della località di provenienza o della comunità di elezione.

Il gesto paradigmatico del cammino incomincia in pullman, dove si iniziano a cogliere i tratti del composito “popolo di Dio” che, da ogni angolo d’Italia, si mette in viaggio fin da prima della partenza. Pellegrini improvvisati e altri in abbigliamento tecnico quasi da sherpa. Alcuni arrivano dall’estero: Portogallo e Romania, Svizzera e Perù. Alla lettura del messaggio di Davide Prosperi, presidente della Fraternità di CL, segue un primo istante di silenzio. Poi c’è chi ride e scherza in compagnia, chi termina di scrivere le intenzioni sui foglietti da portare al braciere e chi inizia ad alleggerire lo zaino del superfluo. Qualcuno prova a dormire, chi non riesce crollerà al ritorno.

Una volta arrivati, sulla spianata del Centro fiere, i pellegrini consumano gli ultimi panini da viaggio, mentre sulle colline di Macerata scende il Sole. Le guide, intanto, stanno già introducendo al senso del pellegrinaggio, mentre su tutti vigila la cordiale attenzione di don Giancarlo Vecerrica, oggi vescovo emerito della Diocesi di Fabriano-Matelica, che nel 1978 ha avuto il merito di riproporre alla sua gente un’esperienza della tradizione ancora presente nel ricordo di molti ma ormai quasi abbandonata.

A ispirarlo, insieme ai suoi amici, e a tenere vivo il fuoco di quel primo slancio ideale – lui al cammino continua a partecipare alle soglie degli 84 anni –, così come è per gran parte dei mille volontari che animano il pellegrinaggio, è il carisma di don Luigi Giussani che di quell’amicizia ha sempre riconosciuto semplicità e fedeltà, insieme all’intelligenza nel saper reinventare un gesto, supremo esempio di vita cristiana, dove c’è tutto: pianto e speranza, sofferenza e offerta, fatica e perdono, l’io e il popolo. Un gesto che offre a chi sceglie di aderirvi la possibilità di ridire il suo «sì». Anche di fronte a situazioni di dolore. Una proposta e una scelta, come ha ricordato Prosperi nel suo messaggio, «non scontata» e «carica di significato», «affermazione di un giudizio nuovo e di una speranza possibile».



Il Santuario Pontificio della Santa Casa di Loreto, del resto, meta del pellegrinaggio, è il luogo dove Maria è nata, vissuta e dove ha ricevuto l’Annuncio a cui ha risposto il suo personale «fiat». Come ha fatto a dirlo con sicurezza, dopo che l’Angelo «se ne partì da lei»? E «Come è possibile tutto questo?» (Lc 1,34), recita il titolo di questa edizione.

A introdurre la risposta le parole di don Giussani in un video di quel giugno ‘93, quindicesima edizione del cammino, quando poi il Santo Padre consegnò la croce ai giovani, gesto che da allora si ripete sempre in apertura, insieme a tante novità, come la fiaccola della pace, quest’anno portata dalle Fiamme Gialle nei 250 anni dalla loro nascita.

«La memoria della Madonna è quella che rende più facile il cammino verso il Signore in qualunque momento della vita», diceva don Giussani, provando a rendere «affettivamente percepibile» persino la «solitudine» che quel giorno provò la Vergine, insieme a una certezza: «Tutte le genti mi diranno beata». Parole che risuonano con la medesima forza carica di promessa, il «centuplo quaggiù», e rivolta a chiunque, senza precondizioni di credo o appartenenza. Inclusiva, la Macerata-Loreto, lo è per definizione.

A seguire, le testimonianze di Luca Trippetti, da Como, volontario dell’associazione Frontiere di pace, che porta cibo e solidarietà alle parrocchie colpite dalla guerra in Ucraina, e quella del patriarca latino di Gerusalemme, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, sul dramma e la speranza che insieme abitano la Terra Santa. Due voci che hanno contribuito a precisare il senso del pellegrinaggio, che, come ha ricordato introducendole Ermanno Calzolaio, presidente del comitato organizzatore, «ci mette in moto verso un luogo dove le ferite diventano domanda». Insomma: «non una camminata senza senso, ma un andare dietro alla croce lasciando fare al Mistero».

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E poi altre semplici ma efficaci testimonianze: dalle universitarie di Messina alle prese con le sfide di ogni giorno al racconto di viaggio di un amico di lunga data del pellegrinaggio, come è il giornalista Giorgio Paolucci, sulle orme del santo medico Takashi Nagai, in Giappone, aprendo ulteriormente l’orizzonte al mondo. Bellissimi quadri che, insieme al canto e alla preghiera del Rosario, oltre che alla delicatezza con cui vengono assistite le persone con disabilità e i più fragili durante il percorso, hanno contribuito a sfidare con una proposta i pellegrini. Come ha fatto anche Papa Francesco nel suo messaggio esprimendo «apprezzamento per l’impegno nella promozione dei valori universali della pace e della solidarietà» e auspicando che l’evento «susciti sempre più il desiderio di conoscere Cristo, specialmente attraverso l’incontro cuore a cuore nella preghiera, per testimoniarlo all’uomo contemporaneo».

Una sfida attualissima che giunge, anzi deve giungere, come ha sottolineato nell’omelia della messa mons. Rino Fisichella, delegato di Francesco per il Giubileo del 2025, a scalfire l’«individualismo» e «l’autonomia» della «cultura di oggi che provano a inficiare le nostre menti». «Dove sei?», chiede Dio ad Adamo, «dove ti sei nascosto?», ha incalzato i fedeli Fisichella. «È questa la domanda cui dobbiamo rispondere oggi, ognuno di noi». Senza avere «paura di cambiare la vita e diventare discepoli del Signore, seguendo fino in fondo quanto ci chiede» e facendo in modo così che «ogni casa possa diventare luogo di rivelazione di Dio». Poi un ulteriore invito: «Nessuno resti afono, muto, abbiate il coraggio di annunciare il Vangelo, di invitare altri a partecipare». Ma sempre «con gioia». Perché è questo che «il mondo attende: una parola di amore che tocchi il cuore e la mente di ciascuno».



Buon cammino, verrebbe da concludere. Ma il cammino è appena iniziato: «Domani – aveva promesso il vescovo di Macerata, Nazzareno Marconi, – sarà un'alba più luminosa, non solo alla Casa, ma dentro i nostri cuori». Un’alba nuova della fede che, ha ricordato, «cammina sempre a braccetto con la speranza». A maggior ragione alla viglia del grande Giubileo dedicato proprio ai «Pellegrini di speranza».