Italiani e cattolici. Al cuore della democrazia

Al via la cinquantesima edizione delle Settimane sociali, dal 3 al 7 luglio a Trieste. A tema il contributo dei credenti alla vita pubblica e alla politica. Parla monsignor Luigi Renna, presidente del Comitato scientifico e organizzatore
Matteo Rigamonti

La Settimana sociale dei cattolici, che inizia oggi a Trieste, è un’occasione unica offerta a tutta l’Italia, non solo a quella dei credenti. Per monsignor Luigi Renna, arcivescovo metropolita di Catania e presidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali, infatti, questo prezioso appuntamento fisso nel calendario della Chiesa italiana può aiutare un popolo intero a «riscoprire il senso di partecipazione». Partecipazione intesa in primis come «ecclesiale», per la comunità dei fedeli; ma anche come contributo a ridestare «la nostra democrazia, un po’ invecchiata e che non ama più confrontarsi con la base», spiega Renna. Provvidenziale in questo senso il titolo della cinquantesima edizione, “Al cuore della democrazia”, che viene inaugurata oggi dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, mentre domenica sarà Papa Francesco a concludere i lavori celebrando anche la Messa e l’Angelus.

È un tema quasi da scuola politica. Come nasce l’idea di affrontarlo?
La scelta del tema è frutto di un’approfondita fase di consultazione: il comitato scientifico, che lo aveva già individuato, si è confrontato con alcuni studiosi e con il Consiglio episcopale permanente. Si è dunque ritenuto necessario offrire un contributo per rigenerare il senso di partecipazione alla vita democratica. Facendo tesoro dell’invito, contenuto nell’Enciclica Fratelli tutti, a superare le tentazioni dei populismi per riscoprire un’identità di popolo. Perché quando scompare l’idea di popolo scompare la democrazia.

Come hanno vissuto il cammino di avvicinamento le tante e diverse realtà che partecipano?
Le Settimane sociali stanno assumendo sempre più la forma di un processo: non un evento che si apre ed esaurisce in pochi giorni, bensì un appuntamento cui giungere dopo un adeguato percorso preparatorio. Questo percorso si è svolto per lo più all’interno delle Diocesi, ma anche nelle associazioni e nei movimenti che, riflettendo sul documento preparatorio, hanno potuto “misurare” il proprio grado di sensibilità al tema di questa edizione.

E cosa è emerso?
Che la Chiesa in Italia esprime, soprattutto attraverso il laicato, un grande impegno nell’animare la vita della società civile, nonché nel contributo a rigenerare il tessuto sociale dei territori. Possiamo dire che, anche di fronte a quanti sostengono che i cattolici non siano più presenti nella vita del Paese, una partecipazione reale invece ci sia. Non sono più presenti attraverso un soggetto politico unitario, come è stato in passato, ma sono presenti: nella politica e nelle amministrazioni e, soprattutto, nella società civile.

Su quali tematiche vertono i contributi ricevuti?
Su tutto ciò che riguarda la vita del Paese. Prevalentemente sulle fatiche e sulle soddisfazioni che derivano dalla partecipazione al vivere comune, il cosiddetto “pre-politico”. Contributi che documentano un percorso che ci porta a dire: «Ecco, noi ci siamo, abbiamo bisogno però di confrontarci e di fare discernimento». Un percorso che proseguirà durante questi giorni, con lo stile dell’ascolto reciproco e dello sguardo di stima su tutto quanto afferisce al nostro impegno.

Un ascolto e un percorso che proseguiranno anche dopo?
Innanzitutto, ricordiamolo, è la prima volta che la Settimana sociale va al di là delle sole plenarie con i delegati: ci sono anche le Piazze tematiche e i Villaggi delle buone pratiche, oltre alle tante tavole rotonde. Appuntamenti che ci ricordano come non ci siano conclusioni già scritte da estrarre dal cassetto all’ultimo giorno. Vogliamo sottolineare la bontà del metodo di lavoro che proseguirà anche dopo e che dovrebbe accompagnarci su tutto il territorio nazionale, in piena sintonia con il cammino sinodale della Chiesa. Con due punti fermi: una visione fortemente ispirata alla Dottrina sociale e la convinzione che, come dice il Papa proprio nella Fratelli tutti, il «dialogo sociale» è l’unica strada in grado di generare «amicizia sociale».

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Un messaggio anche per i giovani?
Noi abbiamo fatto una scelta: ogni delegazione deve avere al suo interno un giovane e una donna. E così è anche nelle piazze tematiche dove, tra i relatori, ci devono sempre essere un giovane e una donna. È un modo semplice per tracciare una direzione. Noi vorremmo che la presenza dei giovani nei diversi ambiti della vita, politica compresa, avvenga sempre più con una loro maggiore autonomia e responsabilizzazione, con libertà di pensiero dai tanti che, invece, troppo spesso, ancora oggi tarpano loro le ali.

Andando oltre ideologie e schieramenti?
Certamente. La Settimana sociale dei cattolici è un evento ecclesiale. Tra i relatori nessuno riveste incarichi politici: nessuno siede in Parlamento, in Senato o altrove. Se c’è chi in passato ha rivestito qualche incarico è un caso, perché la scelta dei relatori l’abbiamo fatta in base alle competenze e al loro interesse, non certo per l’orientamento politico, e purché non siano personalità divisive. Chi si limita a questo genere di osservazioni, a mio avviso, non si rende sufficientemente conto di quanto, anche tra cattolici, ci sia bisogno di tornare a parlarsi, sganciandosi da presunte categorie di appartenenza ideologiche, che sono quantomeno secondarie rispetto alla comune appartenenza ecclesiale.