Eugène Burnand, che seppe seguire quella corsa al sepolcro

È l'autore dell'immagine del Volantone di Pasqua di CL. Svizzero, protestante, pensava che il cristianesimo potesse dare all'arte ciò che le manca di più. Per rendere il senso teologico di quel momento, si svegliava all'alba, per vedere "quella" luce...
Giuseppe Frangi

Quante volte questo quadro è stato guardato, quante volte è stato meditato, quante volte ci ha fatto sussultare. Eppure davanti al nome del suo autore, Eugène Burnand, siamo istintivamente portati a chiederci: chi era costui? Ci sono infatti pochi casi paragonabili a questo, di un autore che si identifica sostanzialmente con una sua sola opera, oggi custodita in uno dei più frequentati musei d’Europa, il Musée d’Orsay a Parigi. Quando Burnand dipinse questo quadro aveva quasi 50 anni: lo presentò nel 1898 al Salon, l’annuale rassegna parigina che radunava la produzione degli artisti più vicini al gusto ufficiale. Riscosse un successo clamoroso, tanto che lo Stato lo acquistò, destinandolo al Musée du Luxembourg. Da allora è sempre rimasto nelle raccolte pubbliche francesi, passando anche per il Louvre per approdare poi all’attuale sede.

Prima di arrivare al quadro però è utile sapere qualcosa in più del suo autore: sono informazioni che aiutano a comprendere meglio questa sua opera. Burnand (1850-1921) era nato nella Svizzera francese, da una famiglia protestante. Restò protestante per tutta la vita, e questo è un primo motivo di sorpresa. Infatti la Riforma, specie nella sua declinazione calvinista e svizzera, aveva violentemente contrastato l’uso e la produzione di immagini sacre. Le chiese, in particolare alla fine del 1500, erano state svuotate e agli artisti restava solo lo spazio per immagini devozionali private, spesso di piccolo formato.



Burnand però arrivò in un momento di grande ripresa dell’arte religiosa in Europa, un fervore che contagiò anche la cultura protestante. Proprio nel 1898 un giornale militante riformato La Foi et la Vie aveva consacrato un suo numero a questo tema: il protestantesimo è incompatibile con l’arte? Al dibattito venne invitato lo stesso Burnand, che aveva risposto in questi termini: «Il protestantesimo è semplicemente il cristianesimo in tutta la sua purezza; è il principio capace di dare all’arte ciò che le manca di più: l’ispirazione alta, la sincerità, l’emozione persuasiva». In quel dibattito era intervenuto anche André Michel, conservatore del Louvre, che aveva cercato di dimostrare come Calvino, Lutero e Zwingli non fossero “iconofobi”.
Insomma, anche per un artista di profonda fede protestante la strada era spianata. Tanto che Burnand nei primi decenni del nuovo secolo continuerà a produrre immagini religiose anche molto impegnative (come La preghiera sacerdotale o Il riposo a Betania), senza però mai sfiorare il successo e il fascino di quell’opera “unica”.



Lui aveva seguito una linea che si distingueva da quella estetizzante o simbolista che costituivano le linee maestre dell’arte religiosa a cavallo del secolo. In una lettera del 1897 sintetizzava bene il suo credo artistico: «Il misticismo per me consiste più nell’intensità e profondità della visione che nell’immaginazione liberata a se stessa. Io sono realista per natura e per destino».

Quest’applicazione alla realtà è alla base anche del metodo seguito per realizzare quest’opera di cui va sempre tenuto presente il titolo completo, I discepoli Giovanni e Pietro corrono al sepolcro il mattino della Resurrezione: la corsa e il mattino sono infatti elementi cruciali. «Mi alzo all’alba per studiare nel brillio dell’occhio del mio modello il riflesso ardente del sole che spunta all’orizzonte», scrive in una lettera all’amico Paul Robert. Poi spiega che nella “condensazione luminosa” convergono il senso teologico, il realismo atmosferico e il rispetto cronologico del momento in cui quel fatto era accaduto. La luce del sole nascente in effetti brilla, in particolare nella pupilla sgranata di Pietro: ed è uno dei dettagli più belli dell’opera.

Poi c’è la corsa: i due stanno correndo, come suggerisce sia quel loro inclinarsi in avanti, sia l’aria che sembrano solcare e che scompiglia i loro capelli. Si lasciano alle spalle, lontane e piccole all’orizzonte, le tre croci, per andare ad abbracciare quella speranza inattesa. Sono ancora increduli, pieni di uno stupore al limite dello sconcerto (il che rende lo stupore ancora più verosimile). Sono un giovane e un uomo che Burnand ha cercato di rispettare anche nell’identità antropologica di palestinesi di quel preciso momento della storia. Persone semplici (guardate le mani di Pietro), i cui volti sono definiti da ciò che stanno guardando. Del resto la bellezza stessa di questo quadro non è data dall’abilità di chi lo ha dipinto, ma piuttosto dal suo seguire, in quell’attimo, la corsa dei due discepoli.