Gaetano Previati: la Via Crucis come incendio del cuore
Si resta colpiti innanzitutto da quel rosso; un rosso profondo; il rosso scarlatto della veste di Cristo che è l’unica nota cromatica accesa in quell’imbrunire del mondo. Siamo di fronte alla grande Via Crucis di Gaetano Previati, che per la prima volta dopo 50 anni ha lasciato il Vaticano per costituire il cuore di una bella mostra allestita al Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano. Una mostra da non perdere anche perché ci viene incontro come occasione di approfondimento in questa Quaresima: capita di raro, nella modernità, di imbattersi in un artista capace di sviluppare in modo così ragionato, coerente e insieme partecipato un soggetto sacro impegnativo come la Via Crucis.
Previati si cimentò nell’impresa non perché qualcuno gliel’avesse commissionata, ma per iniziativa sua. Presentò, infatti, le 14 tele alla Quadriennale di Torino del 1902, un appuntamento del tutto laico. Racconta un testimone del tempo, Nino Brabantini: «Finalmente nel ’901 verso l’autunno si ordinò una grossa croce massiccia e quattordici telai. Ci si chiuse in mezzo, lavorò senza posa e senza respiro fino alla primavera seguente, dieci mesi».
La luce è quella di un drammatico tramonto, con un sole ferito che lancia i suoi raggi sui protagonisti. I personaggi sono stipati nello spazio stretto della tela, tutti raccolti attorno a Cristo che sale verso il Calvario sotto il peso della Croce (massiccia proprio come aveva scritto Brabantini), per scortarlo o per accompagnarlo. È difficile tirarsi fuori, limitarsi semplicemente a guardare, una volta che ci si trova di fronte alla sequenza di immagini. C’è una densità, pittorica e umana, in queste tele di Previati che sembra farle traboccare, per cui ci si sente “presi”, segnati nel cuore.
La Via Crucis dei Musei Vaticani è arrivata a Milano a fare da corona ad un’altra importante opera di soggetto sacro di Previati, entrata nelle collezioni del Museo Diocesano per donazione di Nella Bolchini Bompiani. È una Via al Calvario, in cui l’artista sembra quasi immaginare le retrovie di quel corteo che accompagnava Cristo al Calvario. Sulla tela, che si sviluppa tutta in orizzontale, vediamo gruppi di donne, che salgono con un passo segnato dalla fatica e dallo strazio. Hanno la luce del tramonto alle spalle e ombre di tenebra davanti. Come scrisse un critico dell’epoca (l’opera è del 1904), «l’occhio cerca il Nazareno che cade sotto il peso della croce, cerca Simone da Cirene, e la turba... L’occhio non li trova. Previati non ci mostra il gruppo principale ma la fine. Sono i dolenti... e in mezzo a loro, sorretta dalle pie donne, Maria». Le donne procedono insieme, quasi legate l’una all’altra, per un qualcosa di implicito che le mette su un identico cammino: e quel loro farsi compagnia ha un qualcosa di umanamente consolante per noi. Risuonano davanti a questa tela i versi di Charles Péguy nel Mistero della carità di Giovanna d’Arco: «Anche lei (Maria, ndr) era salita, salita. / Nella confusione, un po’ indietro. / Salita al Golgota. Sul Golgota. Sulla cima. Fino alla cima. /Dove lui adesso era crocifisso».
Maria sale, e la pittura di Previati sembra partecipare quasi fisicamente, con quella sua materia compatta e corposa, alla fatica di questo suo salire. Previati non si limita a rappresentare questa scena, immaginata ai margini della narrazione evangelica, ma vi aderisce, vive da dentro quel senso di cecità determinato dal fatto che l’occhio cerca Cristo ma non lo trova, perché lui è al di là della curva. Cerca e non trova, quella tunica rosso scarlatta che evoca il sangue, ma anche un incendio del cuore.
Il percorso della mostra, curata da Nadia Righi, direttrice del Museo, e da Micol Forti, curatrice della Raccolta d’arte Moderna dei Musei Vaticani, è arricchita anche da altre opere religiose di Previati: una replica della Via al Calvario, realizzata nelle stesse dimensioni nel 1912 ma con toni più azzurrati e tenui, oggi di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona, e un’altra Via Crucis, strana e quasi sperimentale. Si tratta di 14 fotografie della versione dei Musei Vaticani, ritoccate a punta d’argento, oggi custodite nella chiesa dei Santi Quirico e Paolo a Dogliani (Cn).
Del rosso della tunica di Cristo resta naturalmente solo una memoria. Quel rosso che nelle parole di Luca Bressan, nella introduzione del catalogo, assume anche un altro valore. Il rosso simbolizza quel desiderio di Cristo, attraverso la sua passione e morte, di attirare tutti a sé. Dice Gesù nel Vangelo di Giovanni: «Quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me». Commenta Bressan: «Nell’imminenza della sua Passione, il Signore con l’espressione “attirerò tutti a me” indica l’interpretazione originaria che lui stesso dà alla sua morte».