Il realismo dell’incarnazione e la “battaglia” di don Giussani
Nel precedente intervento abbiamo concluso sottolineando la varietà dei modi a cui la ragione può essere abilitata a uniformarsi ponendosi nella scia di una fede riconosciuta come chiave di volta dell’esistenza.
Vi è senza dubbio il movimento della ragione che accoglie e cerca di comprendere tutta la precaria fragilità del tentativo umano. La mette in rapporto con le prospettive liberanti aperte dal respiro della fede e insegue ogni strada possibile per avvicinare gli uomini del proprio tempo al contatto con la novità della testimonianza cristiana. È la via dell’investimento sul credito misericordioso, a oltranza, che passa attraverso il primato della carità eretta a regola suprema.
Ma la carità, d’altra parte, non può essere cieca, e nemmeno ingenua o autolesionista. Con il franco realismo dell’incarnazione di cui è impastata, sa anche riconoscere le forze avverse che intaccano la possibilità di una risposta autentica ai bisogni della comunità umana. Non può rinunciare all’esercizio di un’attenta vigilanza. Può arrivare a svelare gli errori compiuti e i più tenebrosi tranelli orditi nelle varie pieghe della realtà del mondo, e prima ancora all’interno dello stesso spazio che si definisce a parole cristiano. Non è esentata in partenza dalla necessità di spingersi, quando le circostanze lo richiedono, fino a rovesciarsi nel linguaggio capovolto della condanna, del giudizio severo, fino al contrasto dialettico magari anche aspramente conflittuale per salvaguardare una verità negata, un bene svilito, un valore essenziale rimosso o calpestato.
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