Fotografare Dante per conoscere il mondo
Fin da subito la Commedia di Dante è stata illustrata, ma pochi hanno pensato di “fotografarla”. Eppure oggi ci nutriamo di immagini: tutti hanno in tasca una fotocamera e la nostra cultura visiva, continuamente sollecitata, è cresciuta moltissimo aprendo possibilità nuove. Tutto è iniziato da una studentessa del liceo classico che ama la fotografia e da un azzardo: far collidere una passione particolare con una materia studiata sui banchi di scuola. La fotografia e Dante, passando anche per i social network. Mondi diversi che si incontrano, facendo nascere nuove idee e amicizie.
Così è nato il concorso “Fotografare la Commedia”, organizzato da un gruppo di professori della Fondazione Sacro Cuore di Milano - Alberto, Martino, Daniele e chi scrive - e rivolto agli studenti delle superiori di tutta Italia, arrivato quest’anno alla sua terza edizione. La formula è semplice: ogni partecipante può inviare fino a tre immagini riferite a un verso o a una terzina di una delle tre cantiche. A giudicarli un gruppo di professionisti del settore: fotografi, photo editor, giornalisti e professori universitari.
Araike scrive la sera tardi, dopo la premiazione del 26 marzo alla Fondazione Forma di Milano: «Ho visto la diretta su Instagram, vi ringrazio per quello che avete detto del mio lavoro, sono contentissimo. Appena torno in Italia vengo a Milano a conoscervi». Ora si trova nel Regno Unito, dove sta trascorrendo il quarto anno di superiori. È italo-brasiliano e frequenta il Liceo Artistico Paul Klee-Nicolò Barabino di Genova. È lui il primo classificato dell’ultima edizione. Araike ha scelto una terzina del canto III dell’Inferno: «Diverse lingue, orribili favelle, / parole di dolore, accenti d’ira, / voci alte e fioche, e suon di man con elle». Nell’immagine, scattata su pellicola in bianco e nero, appaiono, come fantasmi, figure urlanti. «Utilizzando un cavalletto ho effettuato una lunga esposizione. E accendendo e spegnendo la luce diverse volte ho ottenuto in uno stesso scatto un’esposizione multipla dei modelli in diverse posizioni».
Denys invece, un ragazzo biondo e vivace di origini russe, è venuto a Milano da Imperia insieme a sua madre per assistere alla premiazione. Un bel viaggio, senza sapere se avrebbe ricevuto un premio. L’azzardo è stato ricompensato, perché la sua foto ha vinto il secondo premio: una spirale di luce intermittente su fondo nero rappresenta la gloria di Dio che penetra l’intero universo: «La gloria di colui che tutto move / per l’universo penetra e risplende / in una parte più e meno altrove».
Laura Davì, foto-editor e molto altro, membro della giuria, l’abbiamo conosciuta perché era l’insegnante di fotografia di Ilaria, una nostra studentessa. Con lei abbiamo cominciato: «Volete mettere in piedi un premio di fotografia sulla Commedia? È un’idea ambiziosa e un po’ folle. Ma c’è bisogno di gente che rischi un po’: io sono dei vostri». E lo è stata davvero, con la sua positività e la sua capacità di coinvolgersi e incoraggiare.
Nel campo della fotografia italiana Roberto Koch è un numero uno: curatore, fotografo, organizzatore di eventi culturali e fondatore della casa editrice Contrasto, una delle realtà più importanti della fotografia d’autore contemporanea. Con le sue ultime mostre ha portato a Milano due dei più grandi fotografi viventi, Sebastião Salgado e James Nachtwey. Ha accettato di sostenercie sedere in giuria, quando il premio era ancora agli inizi, mettendo a disposizione il suo tempo e lo spazio di Forma Meravigli per la premiazione.
Quest’anno i partecipanti sono stati 217 provenienti da 60 scuole superiori di tutta Italia, con 381 lavori in gara; il sito del premio (www.fotografarelacommedia.it) ha ricevuto in un anno quasi 100mila visite da 18mila utenti unici: numeri impressionanti, anche se ancora più impressionanti sono stati i tanti incontri, nascosti dietro a questi numeri.
Come quello con Stefano De Luigi, fotografo della prestigiosa Agenzia VII e vincitore di tre World Press Awards, che abbiamo conosciuto grazie a Camillo Fornasieri e agli amici del Centro Culturale di Milano. Arrivava a Milano da tre settimane trascorse a bordo di una nave che presta soccorso ai migranti che, rischiando la vita, cercano di attraversare il Mediterraneo: voleva vedere le cose con i suoi occhi, anche se soffre terribilmente il mare. Nella sala di Largo Corsia dei Servi, alla serata di lancio del concorso, ci ha aiutato a riflettere sul rapporto tra fotografia e letteratura. Cosa significa rappresentare un capolavoro della letteratura con la fotografia? De Luigi lo ha fatto con il progetto iDyssey, in viaggio sulle tracce di Odisseo armato solo di un iPhone. A uno studente che chiedeva consigli ha spiegato che studiare bene l’opera è necessario, ma non basta: «Per realizzare iDyssey ho vissuto io la mia odissea. Quello che posso consigliarti è di vivere la tua Divina Commedia».
"Fotografare la Commedia" è contaminare Dante con la vita di tutti i giorni, stringere un legame tra l’aldiqua e l’aldilà. Si tratta di portare dentro di sé ciò che si è letto – la poesia dantesca, che parla di mondi e di epoche lontane – e poi riportarlo fuori. E quando lo si riporta fuori è quello ma c’è dell’altro: c’è del tuo, esperienze, storie e sentimento del mondo, che servono per comprendere e illuminare la poesia, ridarle vita. Quando accade questo doppio movimento, verso l’oggetto e verso di sé, accade una cosa grande per chi scatta e chi guarda la fotografia: accade di scoprire e conoscere qualcosa di nuovo, che prima non c’era.
«L’artista vede il bello dove tutti gli altri non lo vedono. Come i vincitori: in questi versi di Dante hanno saputo leggere qualcosa che noi non vedevamo e rappresentarlo in fotografia», commentava alla premiazione don José Claveria, rettore della Fondazione Sacro Cuore, che sostiene l’iniziativa. «La nostra scuola è contenta di promuovere questo premio, perché noi, come tutti, siamo assetati di bellezza».
Iniziative come “Fotografare la Commedia” permettono alla scuola di aprirsi ad altri mondi e stimolano a uno studio creativo. Si tratta di un aiuto in più, che si aggiunge ai tradizionali strumenti del mestiere di noi insegnanti, per ottenere quello che tutti, studenti e professori, desiderano entrando in classe ogni mattina: conoscere sé stessi e conoscere il mondo.