I libri per l'estate di Gioventù Studentesca

"L’ultimo crociato" di Louis de Wohl (Bur), "Cara beltà..." con introduzione di Luigi Giussani (Bur) e "La leggenda del santo bevitore" di Joseph Roth (Adelphi). Alcune letture consigliate per i ragazzi delle superiori

UN DESTINO DA SCOPRIRE
Ho appena ripreso i primi capitoli de L’ultimo crociato di Louis de Wohl, un romanzo che mi accompagna fin da quando sono ragazzo, cioè da quando lo lessi per la prima volta, su consiglio di un amico e che, periodicamente, mi trovo a rileggere. Mi chiedevo se vi avrei ritrovato quell’appassionante invito a vivere pienamente, intensamente, che mi aveva conquistato fin dalla prima lettura.

Non c’è voluto molto: fin dalle primissime frasi, il senso di una vicenda immensa, di una storia capace di portarci nella profondità della vita, cattura e sospinge a entrare nell’avventura di Girolamo. Ci invita a seguirlo nel suo percorso, già dagli anni della sua infanzia affidata alla modesta famiglia di un violinista nel paesino di Leganès, alla sua introduzione alla corte di Spagna, sotto la saggia guida del potente maggiordomo del Re, don Luiz De Quixada. Sono i tempi del tramonto di Carlo V, dell’ascesa al trono di quel Filippo II che si troverà a dover custodire un regno immenso continuamente minacciato. E vedremo Girolamo maturare, imparare che cos’è la lealtà, il coraggio, l’onore, il dolore delle perdite, nel bel mezzo della Spagna del Cinquecento, ricostruita con pennellate vivaci e realistiche: gli intrighi di corte, le invidie, gli amori, le macchinazioni politiche. La fede. Fino a scoprire che per questo ragazzo così lontano nel tempo, come per tutti noi, c’è un destino inaspettato da scoprire, una strada originale da cercare e trovare, un grande compito che attende proprio lui.
Vedremo la sua avvincente vicenda personale intrecciarsi con la grande Storia, con la sofferenza e il bisogno di un’intera generazione: un’Europa cristiana minacciata dall’invasione turca chiede la decisione, la maturazione e la conversione dei personaggi in scena. Chiede il sì di Girolamo, diventato ormai don Juan, il più grande (e giovane) generale e condottiero della sua epoca. Fino a poter riconoscere, dopo averlo visto guidare la più imponente battaglia navale del suo secolo, che «egli era nato e vissuto per quel giorno, il 7 ottobre 1571. Questo, e nient’altro, voleva Dio da lui». Ecco cosa c’è in gioco nel leggere le pagine di questo straordinario romanzo: la scoperta che proprio per questo giorno, per questa ora, siamo stati messi al mondo.
Francesco Fadigati



IL GENIO E IL MAESTRO
È noto che Leopardi sia tra i poeti più amati dai ragazzi, i quali vedono in lui, condensato, il disagio e quel “non so che” di irrequietezza che caratterizza il vivere, lo studiare, gli innamoramenti. L’interesse che sorge per questo poeta nasce però raramente in modo spontaneo, è normalmente facilitato da un bravo insegnante. Anche in lui la passione è sorta allo stesso modo perché la dinamica dell’interesse è la medesima: occorre seguire un maestro.
Cara beltà... è un’antologia del poeta recanatese con l’introduzione di don Giussani, frutto di una lezione tenuta a Recanati nel 1982, in cui emerge la sua grande passione per il poeta derivata certamente dalle lezioni ascoltate dai suoi docenti in seminario. Impara le poesie a memoria e alcuni versi li recita addirittura come ringraziamento alla Comunione. Di temperamento aperto, rende poi partecipi di questo interesse culturale i suoi compagni di seminario.
Cara beltà... è dunque la testimonianza di un interesse sorto presto e continuato per tutta la vita. In quasi tutti gli scritti di Giussani troviamo, infatti, citazioni leopardiane e il suo libro più famoso, Il senso religioso, ci permette anche di capire il perché: le grandi domande di Leopardi. «Ed io che sono?». «Che di me stesso?». «O natura perché non rendi poi quel che prometti allor? Perché di tanto inganni i figli tuoi?». E ancora: «Nostra vita a che val?». Queste domande sono il presentimento, per don Giussani, che la risposta è possibile e che le domande sul senso del dolore, della morte, di quell’inquietudine che sentiamo nelle ossa, hanno un senso.
Don Giussani non censura il pessimismo di Leopardi, tutt’altro, ma la sua lettura ne evidenzia un certo effetto contrario, come ha scritto il critico Francesco de Sanctis: «Leopardi non crede al progresso, e te lo fa desiderare; non crede alla libertà e te la fa amare. Chiama illusioni l’amore, la gloria, la virtù, e te ne accende un desiderio inesausto. È scettico e ti fa credente». Ecco, in questo libro sperimentiamo come ciò sia possibile. Rimane fondamentalmente un mistero, ma questo effetto contrario è reale e molti giovani lettori lo testimoniano.
Il genio è un uomo che esprime intuizioni, sentimenti, passioni e malinconie che tutti gli altri con i loro tentativi non riuscirebbero a esprimere così bene. Ma in Cara beltà... i geni che incontriamo sono due, l’ateo e il credente. Leopardi, ad esempio, afferma che «l’infinito non si può esprimere se non quando non si sente». Asserzione chiara eppur misteriosa. Don Giussani, verso la fine del libro, si permette di dire una cosa straordinaria: «Quando vedrò Leopardi, appena entrato in Paradiso gli dirò: Caro Leopardi, tu hai sbagliato il concetto di ragione. Il tuo concetto di ragione era stato distrutto perché rattrappito».
Immaginandolo in Paradiso, don Giussani dimostra una tale stima di Leopardi – ma soprattutto una certezza incrollabile nella misericordia di Dio – che non teme di essere smentito nemmeno dal Creatore.
Mario Elisei



LA FEDELTÀ AL COMPITO
Scorrendo le pagine del racconto di Joseph Roth, La leggenda del santo bevitore, è molto facile perdere la pazienza. Non per la lunghezza, il testo è breve e scorrevolissimo, ma per la fatica di stare di fronte alle continue oscillazioni tra quello cui siamo misteriosamente chiamati e le distrazioni del cammino; quanto cioè può essere fastidioso essere uomini, la cui natura «è tale che subito vanno in collera se non capita loro di continuo tutto quanto sembra aver loro promesso un destino casuale e passeggero».
Mettiamo a fuoco due punti per leggere questo breve racconto: il primo è che Andreas, il protagonista, non si aspetta niente dalla vita né da sé stesso. Ha fallito su tutti i fronti tanto che, pur essendo un senzatetto alcolizzato, fa persino fatica ad accettare la generosa somma di denaro concessa da un misterioso uomo nelle pagine iniziali.
Tuttavia, cedendo all’insistenza dell’uomo, qualcosa in lui cambia come si nota da piccoli, ma significativi gesti: si compra un nuovo portafogli, si concede un caffè in un bel bar e lì si guarda allo specchio, come evitava di fare da anni.
La grazia passata da questo e altri incontri non trasforma del tutto Andreas, il quale anzi continua fastidiosamente a distrarsi tra divertimenti erotici, vecchie conoscenze e un sacco di sbronze.
Tuttavia, e qui il secondo punto, colpisce la fedeltà di Andreas al suo compito. Egli è un randagio nella società della Parigi di inizio Novecento: ogni occasione è buona per distrarsi, ma allo stesso tempo per ribadire la fedeltà a quel debito stipulato nelle prime pagine, apparentemente inutile ma decisivo. Per quanto continuamente ceda alle distrazioni più effimere e la sua miseria abbia spesso la meglio, proprio qui si gioca il paradosso della sua vita: la coscienza del suo debito lo rende libero.
Mattia Gennari