Juan José Cadenas

Una furiosa rivendicazione della libertà

La secolarizzazione, la salvezza, le neuroscienze, Giobbe, il rapporto con la Chiesa. E Péguy: «Dio vuole essere amato da uomini liberi e non da schiavi». Da Tracce di giugno riproponiamo la conversazione con il fisico spagnolo Juan José Cadenas
Fernando De Haro

Juan José Cadenas accetta la sfida. È un fisico delle particelle, la cui specializzazione, i neutrini, è un frammento di realtà insignificante in cui si può nascondere il segreto dell’universo. Cadenas non è uno scienziato convenzionale, scrive poesie e romanzi. Agnostico, si è confrontato più volte con gli amici della comunità di CL a Madrid e con Julián Carrón, anche pubblicamente, presentando La bellezza disarmata. Qui accetta la sfida di sostenere un dialogo sul desiderio di Dio di essere amato da creature libere.

Il desiderio di libertà continua a essere un tema che ci appassiona e ci identifica come moderni/postmoderni, o siamo scettici rispetto alla questione?
Ho la sensazione che la libertà continui a essere qualcosa di appassionante per l’uomo moderno, e continui a essere una necessità essenziale per ogni uomo. Mi sembra che con la libertà succeda come con molte altre cose in Occidente: la diamo per scontata. Di fronte all’assenza di sfide o di confronti, pensiamo che sia garantita. Tendiamo a impigrirci, a non rifletterci su. Ma se si scava un poco, il bisogno di libertà appare come qualcosa di prioritario.

C’è chi interpreta le ultime scoperte delle neuroscienze come la definitiva legittimazione del fatto che la libertà è qualcosa di illusorio. Il progresso delle conoscenze in campo fisico, e soprattutto biologico, riduce a poco o niente la libera decisione?
Potrei aggiungere che la scienza ci sta negando la libertà. Ma non è così: la libertà che dobbiamo esercitare è una libertà difficile, non è una libertà da dèi onnipotenti o angeli meravigliosi. Siamo probabilmente zavorrati dalle nostre reazioni biochimiche, dal nostro codice genetico, dalla nostra educazione e dai mille motivi delle nostre circostanze personali. Ma capisco che qualcosa dentro di noi ci chiede di essere liberi, quell’aspirazione alla libertà è un diritto e un obbligo.

L'intervista su Tracce

La scienza di questo XXI secolo ci invita al determinismo.
Se ci fa caso, la fisica va nella direzione contraria. La fisica presenta un cosmo determinista su larga scala: so esattamente dove si troverà Mercurio alle 7 di sera del 15 giugno 2017, e invece non so dove si trova un elettrone che ruota intorno al nucleo. La meccanica quantistica, che si basa sul principio di indeterminazione (che ci garantisce come non sia possibile predire esattamente il movimento e allo stesso tempo la velocità delle particelle), distrugge il sogno di Laplace (il fisico e astronomo che nel XVIII secolo teorizza il determinismo). L’universo non è una macchina perfettamente determinata. Con questo non voglio dire niente di speciale. Non sto dicendo che Dio si nasconde nelle pieghe della meccanica quantistica. Sto dicendo che niente nella fisica ti dice che tutto è programmato. Non sono un neurochirurgo né un neurologo, ma so che esistono neuroni nel cervello umano, ognuno dei quali è costituito da circa dieci sinapsi (avvicinamento intercellulare tra neuroni) e quindi stiamo parlando di un miliardo di sinapsi a dir poco. Fatico a credere che sapremmo descrivere in modo deterministico una macchina prodigiosa come quella. Credo che continueremo a imparare molte cose, sull’universo e su noi stessi, ma da qui a dire che siamo programmati la strada è lunga.

Julián Carrón, negli ultimi Esercizi della Fraternità di CL, ha detto che nel corso della storia abbiamo visto come si è tentato, in non poche occasioni, di proporre una salvezza, una felicità, per l’uomo che non fosse libero, imposta dagli obblighi, dalla forza dell’abitudine, dalla paura. E per questo ha perso di interesse. Lei ha mai rifiutato una salvezza che non passa attraverso la libertà?
Ho sperimentato il rifiuto della Chiesa cattolica così come si viveva e si concepiva quasi cinquant’anni fa, perché il rapporto tra il bambino che ero allora con il cristianesimo passava attraverso una serie di rituali che vedevo vuoti di contenuto e pertanto privi di libertà. Questa mancanza di contenuto, questo cliché è una delle cose che prestissimo mi hanno allontanato dalla Chiesa. Ricordo chiaramente una scena. Si è svolta dove passavamo le vacanze in famiglia, la spiaggia di Los Nietos, sul Mar Menor. Mio cugino Miguel e io - credo che non avessimo ancora dieci anni - abbiamo deciso di non andare alla messa della domenica. Incontrammo mio padre che usciva, e che ci fece andare a messa a forza di schiaffoni. Mi rimase impresso questo: o vai a messa o ti picchiano. Anni dopo iniziai l’università, simpatizzavo con le idee socialiste e comuniste. Ma allora ho scoperto che con i miei compagni non si riusciva a discutere. E nemmeno mi piaceva che mi salvassero a colpi di fischietto nel paradiso dei lavoratori.

«Ho sperimentato il rifiuto della Chiesa cattolica così come si viveva e si concepiva quasi cinquant’anni fa, perché il rapporto tra il bambino che ero allora con il cristianesimo passava attraverso una serie di rituali che vedevo vuoti di contenuto e pertanto privi di libertà»

Erano due tipi di salvezza privi di libertà che non le interessavano.
Essenzialmente non mi ha mai interessato una salvezza senza libertà. E neppure di essere redento dal consumo o dalla gloria, grazie a stupidaggini che per giunta erano meno interessanti delle altre. Per lo meno il paradiso è divertente. Se vuoi, forse per carattere, noi scienziati tendiamo a essere ribelli, non ci piace che ci vengano imposte delle cose, e io sono quasi sempre fuggito via da quelle imposizioni.

Cadenas in dialogo con Javier Prades (da ''jotdown.es'', maggio 2016)

Si può spiegare, in parte, la secolarizzazione della nostra generazione con l’incapacità di offrire una salvezza che rivaluti la libertà? In Spagna forse ne abbiamo fatto un’esperienza particolare.
Credo che vi siano due elementi importanti che spiegano la secolarizzazione. Uno è quello che ha citato e l’altro è molto diverso. Credo che il cristianesimo, e in generale tutte le religioni, si trovino di fronte a una serie di nuove sfide. La scienza moderna presenta una serie di fatti accertati, accertabili, che riducono lo spazio che prima si assegnava al soprannaturale, a Dio, alla religione: esiste un cosmo governato da leggi fisiche conosciute abbastanza bene, che possono funzionare senza la diretta necessità di un Dio che muova i fili. Ci troviamo già molto lontano dagli dèi politeisti che erano assolutamente responsabili di tutto quello che accadeva. E questo è particolarmente chiaro nella biologia, che ci dice che l’uomo è un’entità che funziona in misura maggiore o minore grazie alla programmazione dei suoi geni. E soprattutto, per quanto se ne possa discutere, questo fatto riduce la concezione più ingenua della divinità che si aveva in precedenza. Il Dio creatore, se c’è, deve essere un creatore più acuto di quanto pensassero alcuni. E il Dio redentore che ci salva dalla morte, se anche lui esiste, anche lui è più acuto. Ciò non vuol dire che la scienza costringa alla secolarizzazione o all’ateismo. Dico che la scienza moderna fa sì che la religione, così com’era concepita fino a pochi secoli fa, non abbia valore: la si deve assolutamente ripensare. E io collego questo fatto alla salvezza “per decreto legge”. Le due cose possono servire per spiegare la secolarizzazione. La nuova visione del cosmo e dell’universo non si può spiegare in modo molto semplice con soluzioni facili, richiede una riflessione più profonda, richiede una certa dose di immaginazione. Se una persona vuol credere in Dio o nel Dio dei cristiani, devono esserci presupposti ben più aperti alla ragione, ben più aperti al dibattito, ben più aperti alla libertà dello spirito di quanto lo potessero essere trecento anni fa.

Lei dice che, dopo le ultime scoperte scientifiche, l’ipotesi della creazione è molto più acuta: Dio è molto più acuto. Lo stesso succede nella questione del rapporto tra la Chiesa e lo Stato a causa dell’Illuminismo. Nei due casi vi è un invito alla purificazione della fede che viene dalla modernità/postmodernità che ha sempre cercato un cristianesimo fedele alle sue origini: un’adesione possibile soltanto attraverso la ragione e la libertà. La sottigliezza di cui parla richiede una libertà che consolida.
Assolutamente. A mio parere, qualsiasi avvicinamento alla religione, alla fede, deve resistere alle facili scorciatoie. Un esempio di queste scorciatoie è postulare la “teoria creazionista” (che di teoria ha ben poco) come modo per negare le teorie evoluzionistiche. Come scienziato sono convinto che la teoria dell’evoluzione sia corretta (per quanto una teoria scientifica possa dirsi corretta, niente impedisce che nuovi dati ci obblighino a verificarla, rivederla o applicarla al futuro), come credo che sia corretta la teoria del Big Bang. Ciò non significa che la scienza dia tutte le risposte. Lo scienziato dice: «Guarda, questo è quello che so, e per quello che non so a partire dalla mia ignoranza mi impegno nella ricerca del sapere, umilmente e con meraviglia». Credo che l’uomo religioso non possa negare le prove scientifiche, credo che se c’è un Dio, è un Dio che non nega. Ma credo anche che la scienza non chiuda nessuna porta all’uomo che cerca Dio con speranza e con questa umiltà. Quel dialogo, quella capacità mi sembra che qui ci sia, e che nessuno la neghi. Come uomo, credo nella libertà.

«Credo che l’uomo religioso non possa negare le prove scientifiche, credo che se c’è un Dio, è un Dio che non nega. Ma credo anche che la scienza non chiuda nessuna porta all’uomo che cerca Dio con speranza e con questa umiltà. Quel dialogo, quella capacità mi sembra che qui ci sia, e che nessuno la neghi. Come uomo, credo nella libertà»

Anche lei scrive poesie e romanzi. Forse la creazione umana, letteraria, è un altro degli ambiti in cui la libertà si rende evidente. Scrivere è un altro modo per entrare nella realtà, per invitare il lettore a entrarci con te. Tanto per la scienza quanto per la letteratura dobbiamo aspettare con la nostra libertà l’invito che ci fanno le cose. Le cose ci chiamano e ci invitano ad andare da un’altra parte: verso una Bellezza che si può scrivere con la maiuscola.
Se non c’è libertà, difficilmente si ha il senso della bellezza, dell’estetica. Qui è difficile sapersi liberare dall’eterno paradosso dell’uovo e della gallina. Sentiamo che la natura è bella perché ci siamo abituati a essa, o tutto il contrario? Ancora una volta, mi costa - come scienziato, ma anche come persona che ama la poesia - pensare che ci sia qualche vantaggio per la nostra evoluzione nel fatto di amare la poesia di Rilke. Mi costa vederlo quando Rilke dice: «Ma chi, se gridassi, mi udrebbe, dalle schiere degli Angeli?...». E questo perché mi emoziona? Noi uomini abbiamo un cervello meraviglioso che ha generato qualcosa di meraviglioso che si chiama linguaggio, e questo linguaggio produce la capacità di stupirci, di commuoverci, fino a estremi quasi incomprensibili usando i propri strumenti. Tutto questo può essere descritto dalla scienza? In definitiva, probabilmente sì, nei limiti possibili alla scienza, perché la scienza sa sempre dove si deve andare a finire. Un buon scienziato dice sempre: «Io arrivo fin qui, forse domani andrò più lontano ma per ora arrivo fin qui».



Senza la tua libertà, senza il tuo desiderio di essere ascoltato dalla gerarchia degli angeli quando piangi, Rilke rimarrebbe morto. Sei necessario tu con il tuo pianto.
Questo è evidente. Senza libertà non c’è arte che valga. Per me l’esercizio è più profondo. Uno scienziato è per definizione un uomo libero che dialoga con l’universo e si attiene a questo dialogo. Non puoi puntargli una pistola alla tempia e obbligarlo a dichiarare che le cose cadono in avanti e che la gravità non esiste.

Nel dialogo con l’universo e nella poesia, la libertà è in gioco.
Sì, è in gioco. Ed è in gioco in questo modo sottile. Io, come scienziato, non posso praticare la scienza seguendo quello che un altro mi mette in agenda. Se mi dicono dove devo arrivare, perché devo fare l’esperimento? Non si può concepire lo scienziato senza la libertà, non si può concepire l’artista senza la libertà, e conseguentemente non si può concepire l’uomo senza la libertà. E questo ci porta a uno dei grandi punti su cui concordo in pieno con Carrón e compagnia. Sottoscrivo totalmente questa rivendicazione furiosa della libertà.

Carrón cita Péguy: «Dio vuole essere amato dallo sguardo bello di uomini liberi e non da schiavi». Dalla sua posizione, come risuona in lei questa affermazione?
Il Dio che Péguy ci descrive in questa frase è più vicino a me rispetto al Dio che consegna a Mosè le tavole della legge. Non credo che l’uomo moderno possa concepire un altro genere di Dio. Nel dialogo tra laici e religiosi su chi o che cosa esattamente sia Dio, devono essere incluse la parola libertà, la parola amore e la parola bellezza. Pochi giorni fa leggevo un magnifico testo su Giobbe di Ignacio Carbajosa, dove si parla della natura del male. Mi sono reso conto che si tratta di uno degli elementi chiave della libertà. Non si può parlare di libertà senza tenere in considerazione elementi come il dolore, l’angoscia di fronte all’esistenza del male, e allo stesso tempo lo stupore davanti alla bellezza. L’uomo che non è libero è in qualche modo immunizzato contro quasi tutto. Gli accadono le cose perché così vuole il destino, e in qualche modo si può rassegnare: cade un fulmine e mi distrugge la casa, che cosa ci possiamo fare? L’uomo libero invece si ribella, come fa Giobbe che si ribella contro Dio e si arrabbia con lui. Io sto proprio dalla sua parte. La risposta di Dio nel libro di Giobbe è: «Guarda che io ho creato tutto l’universo». È come un modo sottile per dirgli: «Tu sei nell’universo, hai avuto la fantastica occasione di essere vivo, di pensare, di stupirti di fronte a tutto quello che ti circonda, e questo non è necessariamente gratuito». La libertà può implicare tutte queste cose, pertanto non devi necessariamente dare la colpa a Dio.

«L’uomo che non è libero è in qualche modo immunizzato contro quasi tutto. Gli accadono le cose perché così vuole il destino, e in qualche modo si può rassegnare: cade un fulmine e mi distrugge la casa, che cosa ci possiamo fare? L’uomo libero invece si ribella, come fa Giobbe che si ribella contro Dio e si arrabbia con lui. Io sto proprio dalla sua parte»

Torniamo sullo stesso punto: Giobbe, invece di trovare una ricetta o una soluzione magica che risolva le conseguenze del male, si trova di nuovo davanti alla sua libertà, a un invito a usare la ragione.
Esattamente. Per questo mi sono ricordato del tema. Noi uomini vogliamo ancora la libertà? Sì, la vogliamo, ma non a titolo gratuito. Io sono libero, ma se qualcosa va male, ti denuncio e sei tu che paghi. È molto complicato e richiede sempre un dialogo profondo. La ingannerei se le dicessi che sono in grado di comprendere il male, non sono capace, per quanti sforzi faccia.

Il male è incomprensibile.
Essenzialmente è incomprensibile. Ma mi piace molto che Carrón e compagnia non abbiano mai cercato di darmi una formula. Ancora una volta, questo li mette al mio stesso livello come uomini liberi che dialogano e tutti insieme cercano di aiutarsi: per me è uno dei valori del mio rapporto con loro.