Adriano Bordignon

Famiglia. «Una speranza fatta di mani che si sporcano»

Assegno unico, modifica dell'ISEE, fisco rispettoso dell'articolo 53 della Costituzione, il patto per la Natalità. Adriano Bordignon, nuovo presidente del Forum delle Associazioni Familiari, spiega perché questi temi non sono un "pallino" dei cattolici
Maria Acqua Simi

«La ricetta perfetta per sostenere la famiglia? Non esiste. Ma le famiglie, si sa, sono abituate a dare il meglio con quel che c’è a disposizione. Questa creatività, questa resilienza, questa capacità di accoglienza sono il vero tessuto sociale del nostro Paese. Per questo è doveroso impegnarsi per trovare strade nuove che le incoraggino e le sostengano».
Adriano Bordignon, 46 anni, di Treviso, è il nuovo presidente del Forum Nazionale delle Associazioni Familiari e racconta dell’impegno accanto a «oltre 580 associazioni, che sono la voce di cinque milioni di famiglie italiane: un popolo». Da due mesi ha preso il posto dell’amico Luigi “Gigi” De Palo e il suo primo appuntamento importante è stata la terza edizione degli Stati Generali della natalità dall’11 al 12 maggio scorso a Roma.

Prima di iniziare, le presentazioni. Chi è Adriano Bordignon?
Un uomo, un marito, un padre. Sono sposato con Margherita e abbiamo tre figli: Teresa, Gabriele e Zaccaria. Da sempre io e mia moglie siamo appassionati “di” famiglia per la sua ricchezza, le sue fragilità e anche le sue potenzialità. Insieme ci siamo impegnati nella pastorale familiare diocesana di Treviso. Io, poi, ho sempre avuto il desiderio di un impegno civico, nella società civile e nel mondo del volontariato e dell’associazionismo familiare. La faccio breve: insieme ad altri amici ho contribuito alla nascita del Forum delle famiglie locale, poi mi sono impegnato in quello regionale fino al ruolo di oggi, come presidente nazionale. Questo è un compito che all’inizio mi sembrava troppo grande, sproporzionato rispetto alle mie capacità. Come famiglia eravamo timorosi perché, se avessi accettato, saremmo usciti dalla nostra “zona di comfort”. Ma bisogna uscire di casa per scoprire il mondo, no? Papa Francesco ci stimola ad "abitare oltre i limiti della nostra casa". Le paure sono svanite quando ci siamo resi conto che non siamo soli, io non sono solo perché il Forum coinvolge 12 milioni di cittadini: un popolo vivo che ogni giorno svolge il suo compito di cura, silenzioso e spesso non riconosciuto, e che al contempo cerca di stimolare il sistema-Paese.

Bordignon agli Stati Generali della Natalità (Roma, 11-12 maggio 2023)

Cosa chiede questo popolo fatto di famiglie?
Due cose. La prima: riconoscere finalmente la famiglia come un soggetto sociale. La famiglia non è un mero aggregato di individui che casualmente si trovano sotto lo stesso tetto, è un soggetto portatore di diritti e di doveri, di "responsabilità" si potrebbe dire, ed è la vera spina dorsale del Paese. Le famiglie curano ed educano, favoriscono partecipazione e civismo, generano anche economia, perché la maggior parte delle imprese italiane sono microimprese a conduzione familiare. Eppure diamo per scontato tutto questo che è come l’aria che respiriamo.

La seconda cosa?
Lotta alla denatalità, una questione strutturale per il futuro del Paese. Che non nascano più bambini è una cartina di tornasole del malessere che le famiglie italiane vivono da tempo perché disconosciute nel loro ruolo sociale ed educativo ma, allo stesso tempo, proprio l’allarme natalità può mettere tutti d’accordo attorno alla centralità strategica della famiglia per l’Italia. Ecco perché crediamo sia doveroso e urgente attivare misure e politiche familiari che in Italia non si sono storicamente mai sviluppate.

Che tipo di misure intende?
Nel concreto? Chiediamo che l’assegno unico venga semplificato e potenziato e portato vicino ai modelli di Germania e Francia. Chiediamo che l’ISEE - oggi utilizzata in modo improprio - venga modificata nei suoi parametri, che ci sia un Fisco più giusto verso le famiglie e dunque rispettoso dell’articolo 53 della Costituzione, che ci siano una vera equità orizzontale e un riconoscimento dei carichi famigliari e del reddito disponibile delle famiglie. Chiediamo azioni specifiche per i giovani, le donne, la conciliazione famiglia-lavoro e una condivisione dei compiti di cura.

Ha citato il modello tedesco e francese: non è pretestuoso importare modelli da Paesi che hanno situazioni sociali molto diverse dalla nostra?
Non si tratta di copiare in toto un modello, ma di coglierne il valore adattandolo alla nostra circostanza. Anche in Italia ci sono situazioni diverse da Regione a Regione e un modello che funziona in una magari non funzionerebbe in un’altra. Allo stesso tempo è importante studiare i modelli già esistenti all’estero e le buone prassi che già ci sono nei nostri territori. Per verificarli, adattarli, sperimentarli: in Italia non si fa ancora.

Bastano migliori garanzie economiche per incentivare la natalità? Non è forse un problema più culturale?
Chi dice che basti un intervento economico per risolvere la questione della denatalità dice qualcosa di incompleto. E chi dice che il problema è solo culturale compie lo stesso errore. La questione riguarda certamente anche fenomeni che affliggono tutto il mondo occidentale, penso all’individualismo al relativismo o all’utilitarismo. Oggi viviamo una società liquida, costantemente in mutamento, dove i figli sono visti a volte come un qualcosa di limitante. L’Italia, se parliamo di denatalità, è però in una situazione molto più grave e cronicizzata di altri Stati europei perché i problemi economici e di organizzazione sono evidenti.

Cioè?
Nel nostro Paese, oggi, c’è uno storytelling che non è favorevole all’esperienza familiare. Mentre in altre Nazioni ci sono figure di spicco nel mondo dell’impresa, dello spettacolo, dei media o dello sport che comunque trasmettono l’idea che sia stimabile avere una famiglia, in Italia questi modelli non hanno presa. I media non dedicano loro spazio, ma anche il clima generale non è che aiuti: da noi fa notizia quando una donna in attesa di un figlio e che ha un contratto a tempo determinato viene assunta con l’indeterminato. Questo non succede altrove, dove invece è la normalità.
Anche la narrazione del mondo giovanile qui è distorta. Si sottolineano sempre fragilità e problemi - che certamente non mancano - ma mai nessuno che dica che i giovani sono la vera risorsa di questo Paese che sta invecchiando. Tant’è che noi permettiamo di farli entrare da protagonisti della vita più tardi di altri Stati e con lavori precari. C’è una disistima verso i giovani e le famiglie che è di contesto, di comunicazione e che si riflette nell’organizzazione sociale che non li valorizza. Stesso discorso vale per le donne. Tutto questo si tramuta per le famiglie in una continua corsa a ostacoli e nella mancanza di strumenti che permettano di pensare e realizzare progetti di vita.

Parla della difficile conciliazione tra lavoro e famiglia, specie per il mondo femminile?
Essere madri e lavoratrici in Italia è molto complicato. Non esistono strumenti di compensazione per permettere a una donna e madre di coltivare il proprio percorso professionale. E, si badi bene, non è solo un problema economico. Perché io credo che oggi un uomo e una donna non lavorino solo per portare a casa il pane, ma per contribuire a fare di questo Paese un posto migliore e anche per mettere a frutto i talenti che hanno. Lavorano per crescere umanamente. C’è inoltre un gap di ingiustizia rispetto alla conciliazione lavoro femminile-famiglia che è terribile.

Come uscire dall’impasse?
Valorizzando la famiglia e tutti i suoi protagonisti. Dobbiamo farlo tutti insieme, uscendo dal bazar della politica e costruendo un’alleanza che dia risposte a livello nazionale, regionale e locale.

LEGGI ANCHE - Natalità. Un cantiere di speranza

A volte si ha la sensazione che il tema della denatalità sia solo un pallino dei cattolici…
Un tempo era così, in pochi si curavano del problema. Oggi fortunatamente in tanti ne hanno preso coscienza. La nostra associazione, ad esempio, lavora in maniera stabile e continuativa con l’ISTAT, perché l’istituto di statistica, dati alla mano, dice che con questi tassi di natalità siamo destinati a un default del Paese. Anche l’INPS comincia ad avere grandi preoccupazioni per la sostenibilità delle sue misure, in particolare quelle pensionistiche. Agli Stati Generali della Natalità, oltre al Papa e al premier Meloni, erano presenti i rappresentanti regionali che si occupano del sistema sociale sanitario, ma anche rappresentanti del mondo delle imprese perché la questione degli “occupabili” e della competitività è cruciale. Oggi il mondo chiede un cambio di marcia nell’innovazione e nella digitalizzazione e questo non si può fare con persone di 45 o 50 anni. Se vogliamo che l’Italia possa essere al passo dei Paesi concorrenti è necessario puntare sui giovani.

Qual è il primo passo?
Lavorare insieme. Viviamo in un Paese abituato alle polarizzazioni, alle facili tifoserie. Noi chiediamo che tutti giochino la stessa partita contro la denatalità. Ci sta a cuore ciò che è caro anche a papa Francesco: che le persone recuperino la speranza. La speranza non è un beota ottimismo, ma una scelta per il bene, fatta di mani che si sporcano e che lavorano insieme per costruire, partendo dal fatto che c’è del buono nel mondo e nella vita di ciascuno.