Giacomo, un fiore tra la nuda roccia

Da 10 anni accompagnano i genitori in attesa di bambini con gravi problemi, che a volte vivono poche ore. Un dialogo con Chiara Locatelli, neonatologa di Bologna, ideatrice del progetto
Paola Bergamini

«Io vi sconsiglio l’interruzione di gravidanza del bimbo malato, perché potrebbe soffrirne il gemello sano. Purtroppo è già accaduto», le parole della ginecologa destabilizzano i genitori. Il desiderio di un figlio li aveva portati a un percorso di cure pesanti, poi quando infine la donna era rimasta incinta la duplice notizia: sono due, ma uno con anencefalia. Era stato suggerito loro di andare al Sant’Orsola di Bologna dove viene praticata l’interruzione selettiva. Cosa fare? «Sappiate che qui c’è il "Percorso Giacomo", che accompagna e assiste le coppie nella vostra situazione», aggiunge la dottoressa. «Se volete, parlatene con Chiara Locatelli, neonatologa e responsabile del progetto. Poi prenderete la vostra decisione». Fissano l’appuntamento per il giorno dopo. «Scopo del percorso è la cura del vostro bimbo, perché la sua vita, seppur breve, sia bella, non soffra», spiega la dottoressa. «Al momento del parto saremo lì con voi, capiremo di cosa ha bisogno, lo terremo in braccio noi, se lei signora non se la sente. Prendetevi del tempo». Dopo un paio di settimane tornano. «Ci abbiamo pensato e abbiamo deciso di seguire il percorso di cui ci ha parlato, ci sembra quello più adeguato a noi». Chiara chiede. «Avete pensato ai nomi?». «Giuseppe quello sano e l’altro Giacomo, in nome di questo protocollo». Abitando lontano da Bologna, al momento del parto non riescono ad arrivare al Sant’Orsola, ma i medici chiamano Chiara per poter applicare lo stesso protocollo per assicurare la stessa cura e attenzione che sarebbe stata offerta dal Percorso Giacomo a Bologna. Giacomo vive poche ore. Dopo due mesi i genitori tornano da Chiara con Giuseppe. «Vogliamo ringraziarla perché lei, prima anche di noi, ha riconosciuto piena dignità come persona al nostro bambino, lo ha chiamato per nome. È stato un dono e un insegnamento importante. A nostra volta noi genitori abbiamo imparato ad accogliere il grande dono che è la vita dei nostri figli e il grande dono che è stato essere i genitori di Giacomo».

Questa è una delle tante storie del Percorso Giacomo, nato nel 2013 prendendo il nome dal primo bambino vissuto diciannove ore. È un percorso assistenziale che inizia in gravidanza quando viene evidenziata una diagnosi con un’aspettativa di vita che può essere breve oppure al momento della nascita insorgono patologie importanti che hanno lo stesso esito di inguaribilità. In queste condizioni vengono proposte le cure palliative per accompagnare e dare comfort al bimbo nel rispetto del corso della sua vita naturale. «Lo scopo è il conforto del neonato», spiega Chiara. «Ma anche l’accompagnamento delle famiglie. Insieme si decide come procedere perché ogni storia è diversa». Con un neonato affetto da Trisomia 18, accompagnata da una grave cardiopatia, è stato possibile mandarlo a casa per vivere un tempo breve, ma prezioso con la sua famiglia supportandolo prima di tutto nella soddisfazione dei bisogni basici come il sostegno al respiro, l’idratazione e il nutrimento, ma anche il trattamento di qualsiasi malessere o dolore. Così tutta la famiglia ha potuto godere della sua compagnia per il tempo che aveva da vivere.



«Il fattore importante», spiega Locatelli, «è che il Percorso Giacomo dentro l’ospedale ha aiutato a imparare che le cure palliative non sono un’alternativa alle terapie attive, ma un presidio integrante ad esse. In questo lavoro sono coinvolti ginecologi, neonatologi, ostetriche, altri specialisti e psicologi che in questi anni si sono adoperati perché questo percorso avesse un suo protocollo, ormai riconosciuto a livello scientifico. Ma io penso che soprattutto sia necessario uno sguardo nuovo per queste situazioni». Quando ha visto questo approccio diverso? «L’ho imparato dalla mia esperienza con Elvira Parravicini, neonatologa e responsabile di un programma di comfort care alla Colombia University di New York. Lei mi ha insegnato a guardare tutti i bambini sapendo che hanno un destino che noi possiamo solo servire. Perché la loro vita non è nelle nostre mani. È più facile per un medico fare tutto a tutti i costi, più difficile è proporre cure proporzionate alla prognosi e decidere quali sono gli interventi più adeguati per rispettare la sua dignità. Cioè guardare ogni bambino come un dono. Si accompagnano queste vite fragili e brevi sapendo che non stanno finendo, ma compiendosi». Quest’anno per l’anniversario della salita al Cielo di Giacomo, primo bambino, nella messa presieduta come ogni anno dal cardinale Matteo Zuppi, la mamma di Giuseppe e Giacomo ha mandato queste righe: «Giacomo ci ha insegnato che la vita è più forte di qualunque cosa e come un fiore tra la nuda roccia trova sostegno per crescere, fiorire e dare ad altri la propria bellezza. Giacomo è un bellissimo fiore nato dove nessuno se lo sarebbe aspettato, ma che ha mostrato tutta la sua bellezza e la bellezza della vita».

Quando la vita di questi bimbi precipita al momento del parto, riducendosi a poche ore, l’accompagnamento ai genitori assume una dimensione esistenziale ancora più forte perché in quel breve lasso di tempo possano vivere appieno la loro genitorialità. Chiara ricorda un caso recente di un bimbo gravemente prematuro che sviluppa una severa emorragia cerebrale e altre disfunzioni d’organo. Il papà disperato chiede: «Non si può fare l’eutanasia?». Chiara gli risponde: «Non ce ne è bisogno, le condizioni di suo figlio sono gravissime, vivrà poco, ora noi faremo tutto quello che è possibile perché non soffra». L’uomo la guarda: «E io cosa faccio?». «Lei può fare il papà, può prenderlo in braccio e cullarlo». È rimasto con lui fino all’ultimo respiro, commosso. È stato anche battezzato. Anche lui dopo mesi è tornato con la moglie per ringraziare la dottoressa e don Paolo, cappellano in ospedale.

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In questi anni, la formazione è stato un fattore importante: conoscere le patologie, comprendere la proporzionalità delle cure, la storia di quel tipo di malattia, per poter prendere decisioni spesso difficili. Un’avventura che ha avuto riconoscimenti scientifici e professionali importanti, attraverso pubblicazioni di articoli su riviste prestigiose e che l’autunno scorso ha avuto espressione pubblica in un convegno dove era anche presente Elvira Parravicini con il suo team di comfort care della Columbia University. «Questa frase di Emmanuel Mounier», conclude Chiara «ci aiuta a stare davanti e ad abbracciare la cura di questi bimbi preziosi: “Che senso avrebbe tutto questo se la nostra bambina fosse soltanto una carne malata, un po’ di vita dolorante e non invece una bianca piccola ostia che ci supera tutti, un’immensità di mistero e di amore che ci abbaglierebbe se lo vedessimo faccia a faccia” (Lettera a Paulette, 20 Marzo, 1940)».