Tracce N.10, Novembre 2014

Una realtà viva
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Affiorano sensazioni strane, in certe zone del mondo cattolico. Lo si è visto bene, per esempio, in occasione del Sinodo sulla famiglia. Non tanto per quanto successo in aula, nel dibattito tra i padri sinodali sulle «nuove sfide» che accompagnano la vita familiare (dibattito molto più ricco di tante interpretazioni che se ne sono date), ma in molti commenti circolati tra stampa, blog e siti vari. Sono commenti che vanno al di là dello schema “conservatori-progressisti”. E in maniera più o meno esplicita - a volte addirittura becera - segnalano uno smarrimento, un ritrovarsi spiazzati. Ormai capita spesso quando si toccano questioni legate all’etica e ai cosiddetti “nuovi diritti”. Come se, per il fatto stesso di discutere di certi temi in modo aperto, la Chiesa corresse il rischio di smarrire la rotta. Come se accompagnare l’umanità ferita e dispersa di oggi fosse sinonimo di perdersi, a propria volta, nel caos.

Ora, a parte che i duemila anni di storia cristiana sono pieni di momenti di confronto anche molto più serrato di quanto si vede ora (e a parte che un atteggiamento di questo tipo, se diventa paura, dovrebbe farci porre almeno una domanda su Chi pensiamo sia veramente al timone della storia...), c’è un aspetto più che comprensibile di questo spiazzamento.
Perché è vero che la realtà ci mette davanti a sfide impensabili, fino a pochi anni fa: e «impensabili» vuol dire proprio «non immaginabili», non previste prima, non assumibili immediatamente nelle categorie che abbiamo già in testa. Ed è ancora più vero che «un mondo in così rapida trasformazione chiede ai cristiani di essere disponibili a cercare forme o modi per comunicare con un linguaggio comprensibile la perenne novità del Cristianesimo», come ha ricordato il Papa al Meeting di Rimini.
Leggi, e suona tutto molto chiaro. Ma allora perché solo a sentirne parlare - o a vedere in atto la ricerca di «forme nuove», come al Sinodo - scatta il riflesso condizionato della resistenza, dei timori, della paura di perdere quel tesoro?

In Perché la Chiesa, uno dei suoi testi principali, don Giussani - parlando proprio del magistero e del «comunicarsi della verità» - fa vedere in che modo la Chiesa prende coscienza di sé e di questo tesoro. «Ciò che accade nella vita di ognuno di noi, la cui autocoscienza matura con l’andare del tempo, accade anche nella vita della Chiesa», scrive. «È importante perciò tener presente che esiste una traiettoria in questa maturazione (...). La Chiesa vive e opera nel tempo, disegnando una sua traiettoria di autocoscienza, nella quale lo Spirito di Cristo la assiste indefettibilmente perché possa sempre compiere la sua missione e perciò non definire mai un errore. Ciò senza esimerla dalla fatica e dal lavoro di una ricerca evolutiva, proprio per la di lei natura di “corpo”, divino sì, ma anche umano, cioè incarnato nel tempo e nello spazio».
La fatica e il lavoro di uno sviluppo, di una crescita. Non ne siamo esentati. Ognuno di noi, personalmente. Ma neanche la Chiesa in sé, proprio perché è una realtà viva. E fare questo lavoro, cercare queste forme nuove di comunicare ciò che è eterno, non è un “di meno”, uno smarrimento di certezze, un salto nel buio. È una ricchezza enorme, una possibilità di scoprire di più se stessi e la realtà. Può essere una strada bella (che non a caso è il titolo del video che molti di voi avranno visto, allegato al numero scorso e di cui si parla anche in questo Tracce). Sarà sempre un cammino (come richiama il titolo dell’ultimo testo di don Giussani appena uscito).
Un cammino per tutti, a qualsiasi età e in ogni parte del mondo. Possibile a una sola condizione, semplicissima. Il Papa la ricordava nello stesso messaggio, in altre righe che dovremmo mandare a memoria: «Il cristiano non ha paura di decentrarsi (...) perché ha il suo centro in Gesù Cristo». Per noi il centro qual è?