Tracce N.10, Novembre 2015

Una partita da riaprire
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Molti dei nostri lettori avranno già intuito da dove nasce questa copertina. Altri no, perché non c’erano o non avranno letto il testo di quell’incontro del mese scorso (la Giornata d’inizio anno di CL) in cui don Julián Carrón sorprese i presenti riprendendo una pagina di Introduzione al cristianesimo dell’allora cardinale Ratzinger. Era “l’apologo del clown” usato da Søren Kierkegaard. In un circo divampa all’improvviso un incendio. Il padrone manda il pagliaccio, già in abiti di scena, nel paese vicino a chiedere aiuto. Gli abitanti pensano a un trucco per attirare la gente allo spettacolo. Più lui grida, piange, implora, più loro ridono. Finché le fiamme arrivano anche lì...
Ecco, diceva più o meno Ratzinger, noi cristiani corriamo lo stesso rischio: più ci sforziamo di parlare della fede all’uomo di oggi, più risultiamo strani, eccentrici, incomprensibili. Le cose che si dicono sono vere. Anzi, sacrosante. Ma cadono in un contesto dove non fanno presa, risultano fuori dal mondo, non credibili. E tante volte non per la cattiveria del mondo, o per un pregiudizio contrario. Ma perché si appoggiano a evidenze che non sono più percepite come tali, si offrono ad una ragione che sta subendo «uno strano oscuramento del pensiero» (per usare un’altra espressione di Benedetto XVI). E quindi ci mettono di fronte a una domanda capitale: come può tornare credibile - interessante - la fede, oggi?

In fondo, è la stessa questione posta dal Sinodo sulla famiglia, che si è chiuso in questi giorni. Non a caso, i temi delle due tornate di consultazioni a cui papa Francesco ha chiamato la Chiesa erano «le sfide pastorali» (a ottobre 2014) e «la vocazione e la missione della famiglia» il mese scorso. È lo stesso tema, incardinato drammaticamente in una realtà tra le più urgenti e care alla vita dell’uomo (la famiglia, appunto): come vivere e proporre la bellezza del matrimonio, la sfida affascinante del “per sempre”, a un mondo confuso, individualista, dove anche le evidenze più basilari (uomo e donna, padre e madre) non sono più riconosciute da tutti?
Colpisce molto, di questi tempi, rileggere un passo del Vangelo di Matteo. È quello in cui Gesù parla dell’indissolubilità del matrimonio, qualcosa che di per sé attiene alla natura dell’uomo («per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così»). E colpisce la risposta dei discepoli, per la sua spontanea ruvidezza: «Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi». Non conviene. Che è come dire: è impensabile quello che ci proponi. È impossibile, inadeguato a come siamo fatti... In pratica, è la stessa obiezione di oggi. Che cosa la vinse? Cosa spalancò a loro una prospettiva in cui quella vita - quella moralità nuova - diventava addirittura desiderabile, oltre che possibile?

In Tracce si parla di questo. O meglio: si cerca di mostrarlo. Di far vedere come può accadere - quando accade - che il cristianesimo torni ad essere interessante, ovvero pertinente con la vita, per chi aveva già dato per chiusa la partita. Che succeda tra gli abitanti di un sobborgo di Londra o a un medico-imprenditore degli Stati Uniti o dovunque si svolga la vita dell’uomo di oggi, la modalità che può riaprire i giochi è sempre la stessa: un incontro. Con una realtà umana (una persona, una compagnia) che colpisce e attira semplicemente perché il suo modo di vivere (non solo le sue parole: il modo di vivere) è più bello, più pieno. Più umano. E apre prospettive che neanche si immaginava fossero possibili.
Un incontro e una compagnia. Come per i discepoli, la stessa cosa. Non accade perché parliamo di Cristo o perché diciamo le cose giuste (che vanno dette, ci mancherebbe). Accade perché Lui c’è, ora. E possiamo vivere con Lui.