Tracce N.2, Febbraio 1996

Imparare dalla realtà
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Il recente dibattito sorto intorno all'ipotesi di modifica del testo del Padre Nostro, aldilà delle questioni più strettamente teologiche e liturgiche che competono agli esperti, ha toccato un aspetto interessante per tutti. Ha, infatti, portato alla ribalta una grande questione: l'uomo realista è un uomo che prega? Ne ha parlato anche il direttore de la Repubblica in un un lungo editoriale. A lui va il merito di aver rilanciato una questione rilevante per milioni di persone, credenti e non credenti.
Il cuore del problema, evidentemente, è nel significato da connettere al termine «realista». Si tratta di un problema esistenziale - prima ancora che una questione di pensiero - intorno al quale si sono arrovellate generazioni di filosofi e intellettuali. Tant'è: sembra proprio che la modernità sia l'epoca in cui le cose evidenti ai bambini sono diventate confuse nella testa dei grandi. Infatti stupisce come in nome di una pubblica esaltazione della modernità si possano censurare o liquidare alcuni fattori rilevanti dell'oggetto che si presume di conoscere, cioè l'esperienza umana. Sembra che l'epoca moderna abbia operato una violenta amputazione scettica di quel desiderio di vero, di bello, di giusto, di infinito, che costituisce il cuore umano, essendo molla alle più alte creazioni artistiche e alla ricerca scientifica, oltre che animare il tessuto di una possibile moralità tra gli uomini non fondata sulla convenienza e sul possesso.
Tale amputazione scettica contraddice la prima elementare forma di realismo: se una cosa esiste, non la si può censurare in nome di un preconcetto o di uno schema. Scriveva il professor Bontadini, che ci è stato maestro di filosofia e di vita in Università Cattolica: «Se qualcosa è presente (anche un'ombra), qualcosa di reale è presente». Se in due abbiamo sete, il fatto che io non riesca a trovare ristoro e l'altro sì non mi autorizza a negare né la possibile esistenza dell'acqua né il fenomeno sete e le sue implicazioni. Soprattutto, mi dovrebbe far paragonare più appassionatamente tutto ciò che incontro con la sete che ho, a scoprire ciò che disseti o che indichi una fonte. D'altra parte, il primissimo indice di una coscienza umana non è il prendere atto con stupore che non ci si è fatti da sé?
Censurati tali principali dati di realismo, che appartengono all'esperienza elementare di ciascuno, il ragionare poi di rapporto con la realtà, di preghiera o di Dio è solo una confusa chiacchiera. Quella chiacchiera che ormai invade tutto, corrompendo nei giovani - e non solo - la possibilità di un rapporto realista e ragionevole con se stessi e col mondo. Tant'è vero che cacciato il Signore-del-tempo dalla porta, si affacciano alla finestra spettri di idoli, in nome dei quali si sono troppo spesso giustificate azioni ingiuste e un totalitarismo politico che sgorga da un dogmatismo culturale: l'integralismo dei cosiddetti «anti-integralisti». Così, il presunto realismo moderno - che avrebbe dovuto emancipare gli uomini - si impantana nella palude di un nuovo fideismo senza ragione.