Tracce N.2, Febbraio 2007

Un'amicizia libera
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Il riconoscimento ottenuto dalla Fraternità di Comunione e Liberazione venticinque anni fa da parte della Santa Sede significò per don Giussani - e per il movimento - una conferma di paternità e una indicazione. Egli ne ha parlato tante volte. Nei documenti, nei racconti e nelle interviste che presentiamo in questo numero tutto ciò è mostrato. Il sorgere di gruppi di adulti, liberamente formati e liberamente legati tra loro, che si radunano e che condividono giudizi e passi della vita, è un fenomeno che affonda le sue radici in un desiderio: che la fede valga nel presente. Che la familiarità desiderata con Gesù Cristo sia un fattore determinante nelle cose quotidiane. In questo senso la Fraternità è un fatto di libertà.
Proprio in anni in cui gran parte del pensiero dominante - infiltratosi anche nella Chiesa - sembrava affidare ogni chance di futuro alla capacità organizzativa, alla creazione di strutture e organismi funzionali e impeccabili, don Giussani, ancora una volta, scommise sulla libertà. E sul finire degli anni 70 indicò ai ragazzi che erano cresciuti con lui, ed erano ormai adulti, quale fosse l’unico modo per reagire alla “demoralizzazione” della fede, che può avvenire col passare del tempo e di fronte alle difficoltà della vita che cresce: una lealtà col proprio cuore e un’amicizia libera, che aiuta a rialzare sempre gli occhi sul dono della presenza di Cristo, per riconoscerLo quando se ne incontrano le tracce.
C’è nella Fraternità una genialità controcorrente. Contro il luogo comune secondo cui il tempo e le vicende della vita strappano dall’entusiasmo dell’inizio. Facile in quegli anni, e ancora oggi, ritenere che la fede mantenga vivo il proprio ardore grazie all’impegno profuso in faccende civili, culturali, sociali. Facile allora, e oggi, ritenere che il cristianesimo sia un’esperienza forte grazie ai discorsi cristiani o agli esiti del proprio fare. E intendere la presenza della Chiesa solo come quella di una forza organizzata per dialettizzare col mondo. Analogamente a quel che accadde agli inizi del cristianesimo e in diverse epoche di crisi e di prova, quando la fede fu testimoniata da gruppi di uomini che si univano in case, in monasteri, in confraternite che divennero fulcri di carità, di giudizio libero, di valorizzazione di ogni cosa buona, anche ora la fede realizza allo stesso modo la propria influenza di positività sulla vita dei popoli.
Sostenendo ogni impegno di adulto nell’ambiente civile e di lavoro, la Fraternità è il modo con cui ciascuno può tenere desta la domanda di familiarità con Cristo. La stessa domanda dei primi che Lo seguivano. E al modo stesso loro indicato da Cristo: «Dove due o tre si riuniranno nel mio nome…». La stessa domanda semplice di stare con Lui, poiché in quella Presenza sta la speranza e la letizia nella vita. Un movimento che, allora come oggi, viene giudicato e stimato, come nelle parole del cardinale Bertone nell’intervista a Tracce, per l’intensa capacità di coinvolgimento con ogni aspetto del reale, trova nella esperienza della Fraternità il suo fuoco centrale, la sua immagine più matura. Come dire che tutto, duemila anni fa come ora, dipende dal rapporto che ognuno ha con Cristo e il destino che in Lui si rivela.
Nessuna struttura organizzativa, nessun discorso ben fatto, può sostituirsi all’esperienza personale della fede. Lo dimostrano le tante storie di fraternità vissuta di cui in queste pagine diamo conto. Ce n’è di ogni genere, a ogni latitudine.