Tracce N.7, Luglio/Agosto 1998

La gloria della figlia del re
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«La vita dell'uomo è un grande interrogativo. Noi, per noi stessi, non abbiamo nulla, non possiamo nulla, non abbiamo certezza e sicurezza di cosa alcuna: neanche il momento seguente ci appartiene. Anche nell'ordine semplicemente naturale, il nostro avvenire è un grande punto interrogativo; anche il nostro avvenire immediato: lo stesso tetto che ora ci ricopre e protegge può divenire tra poco la nostra tomba; la stessa terra che ci sostiene può divenire da un momento all'altro il baratro che ci inghiottisce».
Quando, nel 1958, don Giussani scriveva queste cose sulla rivista delle claustrali benedettine Ora et labora (ora in: Porta la speranza. Primi scritti, ed. Marietti), non era uno dei tanti facili profeti di sventura di fine millennio. Era semplicemente realista: qualunque uomo, infatti, credente o no, può sentire come immediatamente vere quelle parole.

Ma perché quell'affermazione non è disperata o il preludio a un nichilismo che tutto scolorirebbe e cancellerebbe? La strada della risposta è in quello stesso scritto di quarant'anni fa: «Dio non "ci ha fatti", ci fa. Egli non è solo all'origine della nostra vita, ma è il Principio del nostro stesso essere attuale, di ogni nostra azione, anche semplicemente umana; senza di Lui non potremmo sussistere. Egli continuamente ci crea e ci ricrea, ci dà la vita momento per momento, tanto che se per un istante cessasse di comunicarci l'essere, noi ricadremmo nel nulla».
Siamo nulla, eppure esistiamo. Che paradosso!
Prosegue quel testo: «In questa povertà e dipendenza totale, in questa incertezza dell'avvenire, che fare? L'apprensione, il senso di sgomento profondo in cui l'anima si dibatte finché resta in se stessa o tenta di appoggiarsi sulle creature, sfocia, deve sfociare naturalmente nell'abbandono. Il "dipendere da" esige un "abbandonarsi a". Abbandonarsi, affidarsi a Colui dal quale si dipende Non si deve credere però che tale abbandono sia un atteggiamento supino dell'anima: esso richiede tutta la sua energia interiore e spesso anche esteriore: ed è perciò il frutto della vera e completa libertà».

Dice il versetto di un Salmo: Omnis gloria filae regis ab intus. «Ogni gloria della figlia del re è dentro, dal profondo», da ciò che la Bibbia chiama "cuore" (ragione e affettività). Tutto nasce nell'io, ma non è prodotto dall'io: sboccia come una novità desiderata, ma sempre imprevista quando accade.
Viviamo in un tempo povero di ragione, cioè di coscienza di sé, e quindi povero di libertà; non solo la pubblicità e i mass media, infatti, ma anche l'organizzazione sociale si contendono l'energia affettiva della persona, distogliendola dal suo proprio oggetto - ciò che è vero, bello, buono, giusto - e orientandola verso mete che durano lo spazio di una stagione: ogni moda, infatti, in quanto tale "passa", perché è definita dal potere secondo la convenienza del momento. Questo vale anche per i valori e i comportamenti morali.

L'avvenimento cristiano porta una sfida di rinnovamento dentro le cose solite, lavoro, amore, interessi, convivenza sociale: l'annuncio che ogni istante, circostanza, volto, opera, non passano, non vanno "fuori moda", ma sono per sempre. Quale altra speranza è umanamente più desiderabile per se stessi e per i propri figli?