«Io e il fischio del treno di Pirandello»

L'emergenza Coronavirus ha rotto la scontatezza delle giornate di Emma. Ora la scuola, dicono, resterà chiusa fino a metà marzo. Nel frattempo c'è la possibilità per guardare in faccia le grandi domande della vita

Durante queste insolite settimane, ho avuto l’occasione di leggere la novella di Pirandello Il treno ha fischiato. Mi ha molto colpito perché l’avvento di questo covid-19 risuona, per me, come il fischio del treno che ha risvegliato dal torpore e dalla ripetitività della vita quotidiana il signor Belluca (protagonista del brano). Ultimamente, per esempio, davo per scontato il fatto di andare a scuola. Non mi rendevo conto della ricchezza ricevuta dal vivere e coltivare le amicizie giorno dopo giorno. Mi sembrava ovvio alzarmi al mattino, andare a Legnano, finita la scuola andare da qualche amico, tornare a casa di sera e andare, finalmente, a dormire.

Questa condizione, invece, mi sta richiamando molto a quello che Pirandello, nel primo capitolo di I quaderni di Serafino Gubbio operatore, esprime meglio di me, ovvero al fatto che: «Conosco anch’io il congegno esterno, vorrei dir meccanico della vita che fragorosamente e vertiginosamente ci affaccenda senza requie. Oggi, così e così; questo e quest’altro da fare; correre qua, con l'orologio alla mano, per essere in tempo là. - No, caro, grazie: non posso! - Ah sì, davvero? Beato te! Debbo scappare... - (...) Nessuno ha tempo o modo d'arrestarsi un momento a considerare, se quel che vede fare agli altri, quel che lui stesso fa, sia veramente ciò che sopra tutto gli convenga, ciò che gli possa dare quella certezza vera, nella quale solamente potrebbe trovar riposo».

Forse, questa situazione potrebbe essere un vero e proprio momento in cui fermarsi e ascoltare veramente l’esigenza, anche se molte volte viene messa in secondo piano, a cui ognuno vuole rispondere. Esigenza di capire il senso del quotidiano, il senso dei fatti che avvengono; desiderio di vivere fino in fondo ciò che accade, le amicizie, l’amore, lo studio, per poter riaffermare che è nella vita di tutti i giorni che si può essere felici.

Pochi minuti fa è arrivata mia mamma sul balcone (dove io sto prendendo il sole) annunciando: «Scuole chiuse fino a metà marzo!». Questo mi ha provocata ancora di più rispetto a quello che dicevo prima, accentuando le mie domande: a che cosa sono chiamata io? Come posso sfruttare questo momento? Da un lato, mi verrebbe da rispondere: «Stando con gli amici», «Godendomi il periodo di relax». Dall’altro, però, di fronte alla richiesta di molti amici di vedersi in gruppi numerosi, mi viene da pensare che io, stando continuamente con loro e trattando questo periodo come fosse una vacanza, non lo sto guardando e affrontando fino in fondo, con tutto quello che comporta, ovvero la richiesta dei medici e dei governanti (persone che ce la stanno mettendo tutta per migliorare la situazione e aiutare tutti) di limitare il più possibile il contatto con gli altri.

Queste questioni, da un lato, sono interessanti poiché mi fanno chiedere perché io voglia stare con i miei amici e perché io mi rattristi alla notizia della prolungata chiusura delle scuole. Dall’altro, mi mettono ancora di più in crisi sul come comportarmi. Comunque, questo periodo mi sta facendo prendere veramente sul serio, non mi lascia scappare dalle mie domande e da me stessa dandomi per scontata.

Emma, Legnano (Milano)