Elena Beccalli: «La mia università? Vorrei fosse la migliore "per" il mondo»

Dal 1º luglio ricopre l'incarico di rettore della Cattolica. In un'intervista si racconta: la sua formazione, l'eredità che ha ricevuto, i suoi progetti e i suoi obbiettivi, a partire dall’«educare a uno sguardo lungo e integrale»
Maria Acqua Simi

Sogna un’università che sia per il mondo, capace di dialogare, creare nessi e soprattutto «che sia un luogo a cui possano attingere la società civile, le istituzioni, il mondo del lavoro e la Chiesa». Ha le idee chiare Elena Beccalli, dal 1° luglio rettrice dell’Università Cattolica. Raccoglie la bella eredità di Franco Anelli, morto prematuramente lo scorso maggio, e dimostra di avere il piglio giusto per guidare uno degli atenei più rinomati d’Italia. Una passione per l’economia mutuata dal padre, una forte tensione ideale ed etica, il desiderio di innovare il mondo universitario perché serva realmente il bene comune: da qui prende le mosse la sua carriera come docente e poi preside della Facoltà di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative dell’ateneo di largo Gemelli. Prima donna a ricoprire l’incarico di rettore, si racconta in questa intervista a tutto tondo.

Presentiamoci. Chi è Elena Beccalli? Qual è stato il percorso che l’ha portata a diventare rettrice di uno dei più prestigiosi atenei italiani?
Il mio percorso di formazione universitario è iniziato in Università Cattolica con una laurea e un dottorato in discipline economico-finanziarie con i professori Agostino Fusconi e Francesco Cesarini, due figure fondamentali nel mio percorso accademico ed umano. Sono loro ad avermi trasmesso una forte tensione alle questioni morali ed etiche che mi accompagna ancora oggi. La passione per le materie economiche e bancarie l’ho mutuata invece da mio padre, anche lui laureato in Economia proprio in Università Cattolica. La mia formazione si completa alla London School of Economics nel Regno Unito, dove ho perfezionato il mio dottorato. Ricordo le intense giornate nel Dipartimento di Accounting and finance, sotto la guida del professor Peter Miller, e il concorso vinto che mi ha portato ad avere la mia prima esperienza di docente. Negli anni successivi ho avuto la fortuna di poter insegnare in Cina, presso la Pecking University, e a Singapore presso il Singapore Institute of Management. Sono esperienze che mi hanno realmente aperto al mondo.

Molti giovani, come fece lei, investono negli studi universitari ma talvolta sembrano smarriti di fronte al mondo. Qual è secondo lei, oggi, il compito di un’Università? Che direzione intende dare alla Cattolica durante il suo mandato?
Certamente l’università ha un compito decisivo nella formazione dei giovani e, dovessi sintetizzare, direi che la direzione che intendo dare all’Università Cattolica del Sacro Cuore si articola su due linee. La prima è un processo di innovazione dove l’interdisciplinarietà diventa cruciale. Non a caso il nostro Ateneo conta dodici Facoltà che spaziano dalle scienze umanistiche a quelle sociali o mediche. Io vorrei allargare il dialogo tra discipline, sia nella progettazione di percorsi di studio che favoriscano l’ibridazione di conoscenze e competenze, sia nelle attività di ricerca sui grandi temi del nostro tempo. Per farlo conto molto sul nostro corpo docente per alimentare il circolo virtuoso tra didattica e ricerca. Ecco, sogno una research university che non perda però la sua cifra distintiva: essere una comunità educante. E qui si inserisce la seconda linea: rendere l’Ateneo un agente di cambiamento sociale a livello globale. L’Ateneo dei cattolici italiani è da sempre riconosciuto come un agente di cambiamento a livello nazionale: abbiamo formato dal 1924 oltre 300mila laureati. Un’ulteriore spinta per il futuro sarà alimentare un network di partnership strategiche nelle aree più povere del pianeta, in particolare in Africa.

Le università storicamente sono centri di pensiero, di cultura, di ricerca, luoghi dove si formano anche le classi dirigenti delle nazioni. Ma è sufficiente la professionalizzazione?
Sono d’accordo, la professionalizzazione non è in alcun modo sufficiente. Per questo motivo la nostra offerta formativa ha come obiettivo “educare a uno sguardo lungo e integrale”. Percorsi di studio che si caratterizzano non solo per la solidità dei contenuti, ma anche per l’innovatività in modo da tener conto delle continue trasformazioni sociali e del mondo del lavoro. Il tutto, nel solco della nostra centenaria tradizione, attenti a valorizzare gli aspetti etici, a sviluppare pensiero critico e a curare la dimensione relazionale. Ma anche, e soprattutto, a favorire una formazione integrale della persona, per consentire di mettere a frutto i talenti di ciascuno, con percorsi di qualità accessibile a tutti. Ma questo non è sufficiente e credo davvero sia necessario sviluppare un’offerta formativa riconoscibile, che sappia interpretare e declinare l’aggettivo “cattolica”, ponendosi non come la migliore università “del” mondo, ma come la migliore “per” il mondo.

Lei ha detto che in aula incontra giovani ancora desiderosi di essere protagonisti. Allo stesso tempo non può sfuggire anche all’osservatore più disattento la sempre più frequente disaffezione (alla politica ad esempio), una certa sfiducia negli adulti, una fragilità diffusa. Come l’università può tenere desto il desiderio di ogni studente di formarsi e spendere la propria vita per qualcosa di buono?
Il nostro è un Ateneo che da oltre un secolo ha fiducia nei giovani, come amava ripetere il nostro fondatore, padre Agostino Gemelli. In occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico del 1951/52 disse: “Io sono persuaso, ed è questa la politica scolastica che seguo, che bisogna avere fiducia nei giovani, bisogna aiutarli, bisogna seguirli, comprenderli”. Per questo ci impegniamo ancora oggi a far vivere ai nostri studenti e studentesse un’esperienza universitaria capace di prepararli al futuro, contribuendo alla loro formazione professionale, culturale e personale, rendendoli protagonisti.

Viviamo in un’epoca di incertezza: quale è il ruolo di un ateneo cattolico? Come può tenere viva la sua vocazione culturale ed educativa?
Il ruolo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore è sempre stato quello di essere al servizio del bene comune a partire da chi è ai margini, più fragile e bisognoso, e per contrastare quelle forme di individualismo sempre più dominanti. Come si fa? Educando le nuove generazioni a interrogarsi sulle questioni radicali dell’esistenza e allo stesso tempo aiutandoci a formulare domande di senso che guardino al futuro. Questo è l’impegno quotidiano di tutta la comunità universitaria, chiamata a proporre adeguati modelli di pensiero secondo le specificità di ogni disciplina con uno spirito libero e orientato alla ricerca della verità. In tal modo l’Università sarà in grado di offrire - con rigore, creatività, coraggio - un contributo di pensiero alle questioni di frontiera da quelle ambientali a quelle economiche, da quelle sociali a quelle demografiche.

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Anche don Giussani, che proprio in largo Gemelli trovò casa, fu mosso da una passione educativa che sfidava i giovani sulle domande di senso più profonde…
Esattamente. Devo dire che il tratto che mi ha sempre affascinato di don Giussani è stata questa continua tensione a vivere il senso religioso attraverso l’esperienza della realtà. Credo che sia per questo che ancora oggi rimane per molti che vivono nella nostra comunità universitaria un punto di riferimento. Non un idolo da celebrare ma una fonte per vivere l’oggi. Se dovessi individuare la traccia più visibile della sua opera la indicherei nella vivacità con cui i gruppi universitari di CL presenti in Ateneo mantengono vivo il suo pensiero nel quotidiano, con un impegno che va dai gruppi di studio all’animazione delle celebrazioni religiose. Per noi è un contributo importante perché, come dicevo, la nostra università è una comunità educante che poggia sul contributo che ogni componente, inclusi gli studenti e le studentesse. Anche per questo il primo gesto dopo la mia nomina è stato inviare una lettera aperta agli studenti in cui li ho invitati a impegnarsi nelle attività universitarie, anche a beneficio degli altri, rendendosi disponibili come tutor, rappresentanti negli organi, membri delle commissioni paritetiche e di riesame, di associazioni studentesche. Tutte esperienze di partecipazione attiva alla vita universitaria che rappresentano una forma di contrasto all’individualismo e un modo per vivere davvero “in prima linea”. Da protagonisti, appunto.