Romania. Allargare lo sguardo dentro la pandemia

Negli ultimi mesi i problemi si sono moltiplicati. I ragazzi sono abbandonati a se stessi. A volte si è chiusi in 5 o 6 in un monolocale. Simona Carobene, della Ong Fdp, racconta i nuovi progetti nati sulla spinta dell'emergenza
Davide Perillo

«Si soffre vedendo la gente che soffre. C’è molta povertà, qui: non solo economica, ma educativa. E la pandemia ha moltiplicato i problemi. Però, se devo dirtela tutta, è un bel periodo. Ci sta aiutando ad allargare lo sguardo». Simona Carobene, italiana trapiantata a Bucarest, è la direttrice di Fdp – Protagoniști în educație (“Protagonisti nell’educazione”), associazione impegnata su tutto il fronte dell’esclusione sociale, ma con un occhio di riguardo ai bambini. Che da queste parti scontano il Covid e l’implosione delle loro vite in maniera più dura che in altre fette d’Europa: «Ci sono zone in cui i ragazzi non fanno nulla da mesi: non hanno i mezzi per fare scuola a distanza, gli insegnanti non sono preparati, le famiglie restano sole. A volte vivono in 5 o 6 in un monolocale, magari con il papà alcolizzato e senza energia elettrica né connessioni. Altro che tablet e Dad…».

Eppure, racconta lei, è stata proprio questa condizione particolare «a farci ripensare molte cose e a suggerirci di inventarne altre». Come EduacCes, la piattaforma online inaugurata all’inizio di aprile. È un punto di incontro per insegnanti, psicologi, operatori sociali e famiglie con bimbi che soffrono di un problema molto diffuso, in Romania: i disturbi dell’apprendimento. Ad esserne toccati sono tra i 30 e i 60mila minori, secondo le stime ufficiali: «Ma qui i numeri ballano spesso: probabile siano di più». Soprattutto se ai problemi classici e ormai codificati – come la dislessia, la discalculia o l’Adhd, il Disturbo da deficit di attenzione e iperattività («in netto aumento negli ultimi anni») – si aggiunge la zavorra del disagio sociale, appesantita proprio dal Covid: «Un bambino povero resta indietro facilmente: ha un vocabolario ridotto, manca di esperienze importanti, spesso la famiglia non riesce a seguirlo. Anche questo incide sull’apprendimento».

Da qui, la necessità di «allargare lo sguardo», appunto. E l’idea del portale. Che ha coinvolto il Ministero dell’educazione, il Cmbrae (Centro risorse assistenza educativa), aziende private (come Vodafone), un pool di psicologi ed educatori. «Si caricano documenti e strumenti di lavoro. C’è un dialogo con esperti. Uno sportello di domande e risposte per le famiglie». Si scambiano esperienze e ci si aiuta, insomma. Un bisogno molto sentito, se è vero che «nei primi quattro giorni online abbiamo avuto 2.700 visitatori e ne hanno parlato 22 giornali: per la Romania, è una novità assoluta».

Lo è anche per FdP, che compie 25 anni proprio in questi giorni così strani e drammatici. Sede centrale a Bucarest, una filiale a Cluj, una trentina di operatori e una rete di 400 volontari che si occupano da sempre di famiglie in difficoltà e abbandono scolastico. E che già da qualche tempo aveva iniziato a lavorare sui disturbi nello studio. «Mesi fa abbiamo aperto Wonder, un centro diurno per fare attività specifiche con i bambini», dice Simona: «Vengono qui, giocano, magari fanno logopedia. E intanto, con pedagogisti e psicologi, cerchiamo di fare valutazioni più accurate sui disturbi». In poco tempo se ne sono iscritti più di 40. «Abbiamo provato a fare dei momenti formativi ad hoc, dei webinar per gli insegnanti: e a uno dei primi, sull’Adhd, ce n’erano 130. Lì ci siamo resi conto che per affrontare fino in fondo il problema, dovevamo anzitutto approfondirlo noi».



La necessità era grande, quindi. Ma domandava di muoversi e di battere strade nuove, da affiancare a quelle che FdP percorre da un po’: gli aiuti portati nei villaggi Rom («l’anno scorso ai progetti educativi abbiamo dovuto aggiungere i pacchi alimentari») e le attività sportive per i bimbi (fatte con partner come Fondazione Real Madrid e Decathlon), le iniziative per combattere la povertà energetica («ci sono troppe case al freddo, senza corrente elettrica e a volte addirittura senza finestre») e la cooperazione internazionale, avviata assieme al Ministero degli Esteri («lavoriamo in Myanmar, Libano e Kenya, con partner rumeni e locali»).

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È tutta lì, quella che Simona chiama «l’occasione della pandemia: ci ha aperto prospettive impreviste. È diventata una possibilità di conoscere meglio i bisogni e di rimetterci in gioco. Prima di quest’anno, per dire, non avevamo mai investito così tanto su noi stessi e sul nostro desiderio di imparare». Mentre il Covid, paradossalmente, ha regalato chance impensabili anche in questo: «Io mi sono iscritta a un Master di secondo livello all’Università di Padova, per bambini con bisogni speciali: prima sarebbe stato impossibile».

Così, nella fatica di un anno drammatico per tutti, lo sguardo «si alza» e diventa più acuto. Si commuove davanti ai colleghi che già dai primi giorni di Covid, quando in giro non c’erano neanche le mascherine, sono andati a Cojasca per portare aiuti ai rom, dimenticati dal resto del mondo: «Eravamo spaventati, come tutti: ma ci siamo mossi. L’assistente sociale di lì, che non usciva più di casa per la paura, ci ha raccontato che quando ha visto noi, ha preso coraggio e si è rimessa al lavoro». O resta colpito da mosse più sommesse, nascoste, ma cariche di significato: dalle mamme che si rendono disponibili per accompagnare i figli degli altri, a quella che fa l’avvocato e vorrebbe dare una mano per aprire una sezione del portale dedicata alle leggi, a certe famiglie che «si sono affidate e si fanno accompagnare con una docilità che non ti aspetti», e ti apre il cuore.
In fondo, è questo che vale la pena festeggiare: venticinque anni di una storia che ti ha portato fin lì, a questo sguardo. Ad «aprire gli occhi e allargare la prospettiva», come dice il titolo dell’incontro che FdP ha organizzato per il 20 aprile, invitando pure l’Ambasciatore italiano e il Nunzio. Ospite (via Zoom): Mireille Yoga, che aiuta i bambini del Centro Edimar di Yaoundé, Camerun. Sarà solo il primo di una serie di eventi, dice Simona: «Ma non c’è modo migliore di far festa: seguire un cuore grande».