Papa Francesco e gli orfani di Bucarest
Vent’anni fa, l’incontro tra l’associazione romena FDP e i bambini di un orfanotrofio alla periferia della capitale. Un’amicizia che li ha portati, il 4 gennaio, in Vaticano. La loro storia e il dialogo col Papa. Da "Tracce" di febbraioUn centinaio di bambini, abbandonati e malati. «Costretti a dormire in letti piccoli, perché tanto non valeva la pena prendersene cura. Lavati a getto dagli infermieri con delle pompe a distanza. Esclusi dalle scuole...». Li hanno trovati così, nell’agosto del 1998, in un orfanotrofio alla periferia di Bucarest, come racconta Simona Carobene, direttrice di FDP-Protagonisti nell’educazione: un’associazione romena che era nata due anni prima, grazie all’amicizia con alcuni volontari di Avsi, e che è cresciuta nel carisma di don Giussani, dedicandosi alle persone a rischio di esclusione sociale.
Da quell’incontro di vent’anni fa è nato molto più di un progetto. «È nata una vita che ci vede insieme ancora oggi». Oggi che quei piccoli orfani sono padri e madri, lavorano, hanno una casa. E lo scorso 4 gennaio hanno festeggiato quest’amicizia incontrando in udienza privata papa Francesco, come potete leggere negli appunti che pubblichiamo a seguire, tratti dal dialogo con lui.
«In questi vent’anni», continua Simona, «loro ci hanno insegnato tanto. Ci hanno sempre stupiti e continuano a farlo». Innanzitutto, sono ancora vivi e desiderano vivere. «Oltre ad essere segnati nello spirito e nella mente, a causa dell’abbandono, sono piccoli, gracili. Se non sei voluto, se vieni abbandonato, non cresci in nessuna dimensione: psichica, cognitiva e fisica. Loro hanno visto altri bambini morire e hanno sempre pensato di morire così. Presto. Da soli».
Invece, tra il 2000 e il 2002 la FDP ha aperto tre case per accoglierne ventuno. Altri sette sono stati presi in affido da famiglie. Quindi, ventotto di quegli oltre cento bambini hanno lasciato l’orfanotrofio. E oggi sono loro ad essere genitori. Sono già sette i nuovi nati. «Sembrerebbe la cosa più normale del mondo, invece è straordinaria, per nulla scontata». A partire dal fatto di aver portato avanti le gravidanze. In mezzo a situazioni che continuano a non essere facili, «in questi loro figli è così evidente che la vita è un dono. Potevano veramente non esserci».
Nella lettera inviata per chiedere udienza al Papa, gli amici dell’associazione hanno scritto così: «Questi piccoli ci costringono a cambiare ogni giorno. Come accompagnare le nuove famiglie? Che cosa dire di fronte ad un genitore che muore? Una di loro l’anno scorso, quando aveva 4 anni, ha visto morire suo padre... Come possiamo continuare ad accompagnarci? Cosa ci aspetterà nei prossimi anni?». E tante altre domande che nascono da questa amicizia, che nel tempo è diventata una compagnia su tutta la vita: dal desiderio del lavoro, ma di «un lavoro vero» (hanno avviato un’impresa sociale che produce mosaici) al problema della casa. Era difficile per questi ragazzi trovare anche solo delle camere in affitto, in un mercato dove i più fragili vengono sfruttati, per cui l’associazione ha dato il via a quattro appartamenti sociali. «Sono tutti tentativi ironici», conclude Simona, «perché la ferita di ognuno non si potrà mai colmare veramente. Ma dentro questa ironia c’è già tutto, perché sono stati voluti, uno ad uno. Amati e guardati con stima sono diventati protagonisti della loro vita e hanno generato nuove vite. Dio ha fatto fiorire qualcosa di molto più grande rispetto a quello che avremmo potuto immaginarci noi, nell’agosto di quasi 20 anni fa...».
Appunti dall’incontro del 4 gennaio con il Papa. «Non sappiamo il “perché” nel senso del motivo, ma sappiamo il fine che Dio vuole dare: è la guarigione, la vita»
Simona Carobene. Carissima Santità, siamo qui oggi pieni di stupore e di gratitudine per questi venti anni di amicizia che hanno segnato per sempre la nostra vita. Con noi c’è un gruppo di ragazzi romeni, che hanno vissuto le ferite dell’abbandono e della malattia, insieme ad alcuni dei loro bambini. Bambini stupendi, felici, che ci richiamano ogni istante che la vita è un dono. I nostri bambini sono il regalo più bello che ci potesse capitare. Un dono inaspettato, soprattutto perché ci dicevano che non sarebbe stato possibile, o addirittura che sarebbe stato meglio dire di “no” a queste vite. E, invece, questi bambini ci aiutano a ricordare che la vita di ognuno è un dono, bellissimo, anche dentro circostanze che forse non avremmo desiderato.
Noi oggi siamo qui a festeggiare la vittoria della nostra vita. Una vita che apparentemente valeva poco - almeno così ci hanno fatto credere - e che invece si è rivelata generatrice e segno di bellezza per tutto il mondo. Perché Dio ci guarda in un modo diverso. A Lui non importa se siamo piccoli, se siamo disabili, se abbiamo sofferto tanto. Lui ci guarda e ci vuole bene così come siamo.
Abbiamo bisogno tutti di una mamma. Abbiamo bisogno tutti di un padre. Quando non ci sono, la vita è difficile e sembra che non ci si possa fidare di nessuno. Invece quando accade che qualcuno ci vuole bene, iniziamo a fidarci e la vita diventa più bella. Quando ci accorgiamo di qualcuno che ci guarda con simpatia per quello che siamo veramente, la nostra vita diventa più bella.
Come oggi, Santità! Essere qui per noi è un regalo fantastico! Le siamo veramente grati! Noi desideriamo essere guardati sempre così. Per quello che siamo: persone che valgono tantissimo, uniche, irripetibili, piene di desideri e di speranza. Persone che hanno lottato tutta la vita con coraggio, che soffrono ancora tanto per le loro ferite del passato e le difficoltà del presente, e hanno anche tante domande.
Papa Francesco. Cari ragazzi, cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per questo incontro, e per la confidenza con cui mi avete rivolto le vostre domande, in cui si sente la realtà della vostra vita.
Prima di rispondervi vorrei ringraziare con voi il Signore perché siete qui, perché Lui, con la collaborazione di tanti amici, vi ha aiutato ad andare avanti e a crescere. E insieme ricordiamo tanti bambini e ragazzi che sono andati in Cielo: preghiamo per loro; e preghiamo per quelli che vivono in situazioni di grande difficoltà, in Romania e in altri Paesi del mondo. Affidiamo a Dio e alla Vergine Maria tutti i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze che soffrono le malattie, le guerre e le schiavitù di oggi.
E ora vorrei rispondere alle vostre domande. In queste domande ci sono molti “perché”. Ad alcuni di questi “perché” posso dare una risposta, ad altri no, solo Dio può darla.
DOMANDA. Perché la vita è così difficile e tra noi amici litighiamo spesso? E ci imbrogliamo? Voi preti ci dite di andare in Chiesa, ma immediatamente quando usciamo sbagliamo e commettiamo peccati. Allora perché sono entrato in Chiesa? Se io considero che Dio è nel mio animo, perché è importante andare in Chiesa?
I tuoi “perché” hanno una risposta: è il peccato, l’egoismo umano: per questo - come dici tu - “litighiamo spesso”, “ci facciamo del male”, “ci imbrogliamo”. Tu stesso lo hai riconosciuto, che anche se andiamo in Chiesa, poi sbagliamo ancora, rimaniamo sempre peccatori. E allora giustamente tu domandi: a cosa serve andare in Chiesa? Serve a metterci davanti a Dio così come siamo. A dire: «Eccomi, Signore, sono peccatore e ti chiedo perdono. Abbi pietà di me». E Gesù ci dice che se facciamo così torniamo a casa perdonati. E così piano piano Dio trasforma il nostro cuore con la Sua misericordia, e trasforma anche la nostra vita. Non restiamo sempre uguali, ma veniamo “lavorati”, come l’argilla nelle mani del vasaio, e l’amore di Dio prende il posto del nostro egoismo. Ecco, caro, perché è importante andare in Chiesa.
DOMANDA. Perché ci sono dei genitori che amano i bambini sani e invece quelli malati o con problemi no?
Ti direi questo: di fronte alle fragilità degli altri, come le malattie, ci sono alcuni adulti che sono più deboli, non hanno la forza sufficiente per sopportare le fragilità. E questo perché loro stessi son fragili. Se io ho una grossa pietra, non posso appoggiarla sopra una scatola di cartone. Ci sono genitori che sono fragili. Perché sono sempre uomini e donne con i loro limiti, i loro peccati e le fragilità che si portano dentro. E magari non hanno avuto la fortuna di essere aiutati quando loro erano piccoli. Sei d’accordo?
«In queste domande ci sono molti “perché”. Ad alcuni di questi “perché” posso dare una risposta, ad altri no, solo Dio può darla»
DOMANDA. L’anno scorso è morto uno dei nostri amici che era rimasto in orfanotrofio. È morto la Settimana Santa, il Giovedì Santo. Un prete ci ha detto che è morto peccatore e per questo non andrà in Paradiso. Io non credo che sia così.
Mi sembra molto strano quello che hai sentito dire da quel sacerdote, bisognerebbe capire meglio, forse non è stato capito bene. Comunque, io ti dico che Dio vuole portarci tutti in Paradiso, e che nella Settimana Santa noi celebriamo proprio questo: la Passione di Gesù, che come Buon Pastore ha dato la sua vita per noi, che siamo le sue pecorelle. E se una pecorella è smarrita, Lui la va a cercare finché non la ritrova, e quando la trova se la mette sulle spalle e pieno di gioia la riporta a casa. Ecco cosa fa il Signore nella Settimana Santa, anche con il vostro amico.
DOMANDA. Perché noi abbiamo avuto questa sorte? Perché? Che senso ha?
Il tuo “perché” è uno di quelli che non hanno una risposta umana, ma solo divina. Non so dirti perché tu hai avuto “questa sorte”. Non sappiamo il “perché” nel senso del motivo, ma sappiamo il “perché” nel senso del fine che Dio vuole dare alla tua sorte. E il fine è la guarigione, la vita. Lo dice Gesù nel Vangelo quando incontra un uomo cieco dalla nascita. I discepoli gli chiedono: «Perché è cosi? Per colpa sua o dei suoi genitori?». E Gesù risponde: «No, non è colpa sua né dei suoi genitori, ma è così perché si manifestino il lui le opere di Dio» (cfr. Gv 9, 1-3). Vuol dire che Dio, davanti a tante situazioni brutte in cui noi possiamo trovarci fin da piccoli, vuole guarirle, risanarle, vuole portare vita dove c’è morte. Questo fa Gesù, e questo fanno anche i cristiani che sono veramente uniti a Gesù. Voi lo avete sperimentato.
«Gesù è venuto a formare una nuova famiglia, la sua famiglia, dove nessuno è solo e siamo tutti fratelli e sorelle, figli del nostro Padre del cielo e della Madre che Gesù ci ha dato, la Vergine Maria»
DOMANDA. Succede che mi sento sola e non so che senso abbia la mia vita. La mia bambina è in affido e alcune persone giudicano che non sono una buona mamma. Invece io credo che mia figlia stia bene e che ho deciso correttamente, anche perché ci vediamo spesso.
Sono d’accordo con te che l’affido può essere un aiuto in certe situazioni difficili. L’importante è che tutto sia fatto con amore, con cura per le persone, con grande rispetto... Capisco che spesso ti senti sola. Ti consiglio di non chiuderti, di cercare la compagnia della comunità cristiana: Gesù è venuto a formare una nuova famiglia, la sua famiglia, dove nessuno è solo e siamo tutti fratelli e sorelle, figli del nostro Padre del cielo e della Madre che Gesù ci ha dato, la Vergine Maria. E nella famiglia della Chiesa possiamo ritrovarci tutti, guarendo le nostre ferite e superando i vuoti d’amore che spesso ci sono nelle nostre famiglie umane.
DOMANDA. Quando avevo due mesi di vita mia mamma mi ha abbandonato in un orfanotrofio. A 21 anni ho cercato mia madre e sono rimasto con lei due settimane, ma non si comportava bene con me e quindi me ne sono andato. Mio papà è morto. Che colpa ho io se lei non mi vuole? Perché lei non mi accetta?
Non è questione di colpa, è questione di grandi fragilità degli adulti, dovute nel vostro caso a tanta miseria, a tante ingiustizie sociali che schiacciano i piccoli e i poveri, e anche a tanta povertà spirituale. Sì, la povertà spirituale indurisce i cuori e provoca quello che sembra impossibile, che una madre abbandoni il proprio figlio: questo è il frutto della miseria materiale e spirituale, frutto di un sistema sociale sbagliato, disumano.
Simona. A me ha colpito tantissimo il Suo messaggio in occasione della Giornata mondiale dei poveri. Mi ha fatto sobbalzare, perché mi sono chiesta: io come guardo i miei ragazzi? Alle volte mi accorgo che sono presa dal “fare” e dimentico perché Gesù ci ha messi insieme. Occorre che io faccia ancora un cammino di conversione, e questo cammino è continuo e non può mai essere dato per scontato. Per questo continuo a seguire i miei ragazzi, perché sono “i miei santi”. E rimango incollata a Santa Madre Chiesa attraverso il carisma di don Giussani, che è la modalità concreta che mi ha fatto amare Gesù. Allo stesso tempo, però, il richiamo del Suo messaggio era molto concreto. Parlava di condivisione vera. Ho iniziato a chiedermi se forse non sia arrivato il momento di fare ancora un passo in più nella mia vita, di accoglienza e condivisione. È un desiderio del cuore che mi sta nascendo e che vorrei verificare nel prossimo periodo. Quali sono i segni da guardare per capire quale è il disegno per me? Cosa vuol dire vivere la vocazione della povertà fino in fondo?
Francesco. Simona, grazie della tua testimonianza. Sì, la nostra vita è sempre un cammino, un cammino dietro al Signore Gesù, che con amore paziente e fedele non finisce mai di educarci, di farci crescere secondo il Suo disegno. E a volte ci fa delle sorprese, per rompere i nostri schemi. Il tuo desiderio di crescere nella condivisione e nella povertà evangelica viene dallo Spirito Santo, e Lui ti aiuterà ad andare avanti in questa strada, nella quale tu e gli amici avete fatto tanto bene. Avete aiutato il Signore a compiere le Sue opere per questi ragazzi.
Grazie ancora a tutti voi. Incontrarvi mi ha fatto tanto bene. Vi porto nelle mie preghiere, e mi raccomando, anche voi pregate per me!