Amore Per sempre. L'Essere è positività

Tema
Davide Perillo

Alberoni, D’Alatri, Cesana alle prese con Gabriel Marcel: «Amore è dire all’altro: tu non morrai». La percezione della vita come positiva e l’avvenimento cristiano come possibilità di durata

Da una parte c’è quello che dice l’esperienza: l’amore e la bellezza muovono l’uomo e il mondo, sono «un fattore di grandi imprese, sia in bene che in male». Dall’altra, c’è un secondo dato, reale e drammatico come e più del primo: la morte, il nulla che di quelle imprese resta. «E allora, che cosa vale? Il nulla o ciò che è stato mosso dalla bellezza? Quando ci si innamora viene da dire all’altro: “Tu non morrai”. Si può dire questo?». Benvenuti nel cuore di uno degli incontri più seguiti del Meeting, introdotto da Giancarlo Cesana con una domanda che partiva da Elena e dall’Iliade per planare davanti a due interlocutori: Francesco Alberoni, sociologo di fama, consigliere d’amministrazione della Rai e firma di spicco del Corriere, e Alessandro D’Alatri, regista di cinema e spot e autore di quel Casomai che per molti è stato tra i film dell’anno.
Alberoni è partito proprio dall’esperienza. Anzi, da una «fenomenologia dei sentimenti», come la chiama lui; dal vedere e descrivere quello che accade quando ci si innamora. Raccontato con un linguaggio che echeggia Guardini («quando due persone sono profondamente innamorate, anche gli atti più comuni della vita quotidiana si trasfigurano»), che parla di «sacro» e «grazia» («solo il linguaggio religioso consente di dar conto di questa esperienza»). E che, a un certo punto, arriva al cuore della questione: alla positività profonda del reale, che l’innamoramento ti fa percepire così a fondo da assaporare un po’ di eterno. «Tutte le cose esistenti hanno un significato, un senso positivo. Il mondo è, nella sua essenza, buono. Vero. Eppure, la ferita resta aperta. Sotto forma di paura, magari di «perdere la persona amata». O di domanda: ma come può durare, l’amore? Per Alberoni è una chiave per interrogarsi anche su altro: i movimenti, le istituzioni, la politica... Se non restano in qualche modo allo «stato nascente» dell’innamoramento, decadono. Ma l’eterno? Il «non morrai»? «Soltanto Dio, soltanto Gesù Cristo può dire: “Chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno” (Gv 11,26)».
Bella questione, quella del «per sempre». In fondo, è anche il vero tema di Casomai, il film di D’Alatri su crisi, valore e battaglie di un matrimonio complicato. Per il regista romano è stato l’occasione per grattare sotto molti luoghi comuni e smascherare un dato: «L’amore come amore di coppia oggi è diventato scomodo, démodé». Svilito, ridicolizzato. O addirittura buttato via, come quelle cose che finiscono nella spazzatura anzitempo perché pensi non servano più «e invece poi ti ritrovi a cercarle rovistando nel secchio». Ma D’Alatri si è spinto anche più in là: è arrivato a parlare di «testimoni», di gente che «porta una testimonianza concreta attraverso le cose che fa, come vive. La cosa più importante, oggi, è riconoscerli». Questo dà speranza.
Tagli diversi, insomma. Ma capaci entrambi di andare «a quel sentimento positivo della vita che in fondo è la radice della nostra esperienza», dice Cesana, «perché c’è una percezione originaria della vita che è positiva. Fin da quando il bambino apre gli occhi percepisce che la realtà è fatta per lui. Bene, nell’amore questa corrispondenza addirittura ti cerca, ti vuole: è come se le montagne ti dicessero: “Io sono fatto per te, io voglio essere per te”. E infatti nell’amore la corrispondenza viene scoperta proprio come significato». Oltre all’altra scoperta, quella che «da soli non si vive: quindi si vive per un Altro, si vive per Altro». Ma anche qui: e il tempo? La durata? Come è possibile che tutto ciò permanga? «E che cosa vale, appunto, nella vita: questa esperienza di corrispondenza o il teschio di Elena?». Da qui sgorga il problema della fedeltà: «Non si può vivere positivamente se non si è fedeli all’amore incontrato. Penso a quando si parla di indissolubilità del matrimonio, che non è semplicemente un principio morale: è un principio di conoscenza. Perché la fedeltà è una parte fondamentale dell’amore (come diceva Miguel Mañara: “Amare a volte è duro come mordere un sasso”). Ma è per difendere l’essere, per difendere la positività della vita. Appunto, è un problema di ragione». Come di fronte al grande Fatto, accaduto proprio per difendere l’essere e affermare questa positività fino alla radice: «Il Fatto di Cristo. Cristo è risorto: certo, è morto. Ma è risorto. Vuol dire che tutto quello che abbiamo non è per essere sepolti, ma è per vivere». E allora si torna di nuovo al dramma della domanda di partenza, ma questa volta con un’ipotesi di risposta: «Io non morrò e tu non morrai perché siamo stati amati. L’aspetto definitivo della vita è questo: qualunque cosa succeda, la vita è fatta per questo. La speranza è una certezza affidata al Mistero. Cioè, io sono certo di quello che vivo, anche se non so come andrà a finire: ma questo è quello che mi fa vivere». Per sempre.