C'è la meta e c'è la vita
ScolaIl cardinale Angelo Scola, patriarca di Venezia, è intervenuto sul titolo
del Meeting. «È una bruciante alternativa. O autocondannarci come uomini impagliati a marciare
sul posto o fare nostra la testimonianza di Paolo: “Mi sforzo di correre
per conquistarlo,
perché anch’io sono stato conquistato da Gesù Cristo. Corro
verso la meta per arrivare
al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù“»
Il titolo del XXV Meeting di Rimini viene affidato dagli organizzatori alla riflessione
del patriarca di Venezia, sua eminenza Angelo Scola. Il Cardinale ci si immerge.
Nelle sue mani il titolo di un Meeting di fine agosto diventa una riflessione
sul cammino dell’uomo occidentale in una storia che è planetaria.
Sua Eminenza procede con metodo: ogni singola parte del titolo diventa oggetto
di tesi che, mentre si appoggiano alla precedente riprendendola, preparano quella
successiva. Se ne ha, infine, una visione d’insieme che ricongiunge in
un tutto unitario conclusioni e domande iniziali. Questa visione d’insieme
e il suo reggersi su ogni sua singola parte vogliamo qui sinteticamente riproporre.
1. La storia e la strada di casa
La grafia della prima lettera con cui inizia la Bibbia (bet, che in ebraico significa “casa”) è stata
spesso interpretata da molti studiosi come una sorta di ideogramma di Dio nell’atto
con cui Egli esce dalla sua casa eterna per dare avvio al cosmo e inizio alla
storia. A questa antica e così attuale interpretazione non sfugge poi
il dato che, all’inizio, tre porte della casa rimangono chiuse. La creatura è invitata
dal Creatore a inoltrarsi con decisione sulla strada, ma sulla strada che Egli
apre verso il futuro, in avanti. Due i rischi da evitare: 1) dimenticare che
la strada, e quindi anche il futuro, è nelle mani del Padre che ci apre
la Sua casa; 2) voler disporre da subito della chiave delle altre tre porte:
il prima della storia - cioè la pretesa di possedere l’origine di
tutto -; il sopra - cioè la presunzione di dominare l’esito della
storia, come se la meta fosse già a nostra disposizione -; e il sotto
della storia - cioè il tentativo ostinato di conoscere compiutamente e
afferrare per intero il mistero della libertà.
2. Compimento, progresso
e attrattiva della meta
La parola progresso vuole anzitutto indicare la tensione del singolo al compimento.
Ma questo io è costitutivamente in relazione. Il progresso diventa allora
il progresso della comunità degli uomini in tutte le sue accezioni: culturali,
sociali, politiche, scientifiche, economiche. Il suo slancio non può mai
tradursi nella presunzione di essere arrivati. La parola “progresso” viene
da progredior, che significa “corro in avanti”, se ritengo di essere
arrivato, non ho più ragione di correre, di progredire. Come si potrebbe
correre ragionevolmente, se non ci fosse la meta? La meta possiede una natura
singolare. Per un verso essa mi è già data; ma per un altro verso
non è ancora a mia disposizione. Se non fosse già presente, non
potrei neanche cominciare a correre. Ma se non esigesse il mio impegno totale
per raggiungerla, o sarei già arrivato e quindi niente più progresso,
o sarei sottoposto alla violenza di un destino ignoto.
3. “Uomini impagliati”?
Per correre spedito verso il futuro l’uomo occidentale - in particolare
l’europeo - deve esporsi e scoprire fino in fondo i tratti del suo volto
attuale. Egli deve accogliere con coraggio la bruciante provocazione del Padre,
che gli ha aperto la casa. In un certo senso si tratta della stessa provocazione
che Jahvé rivolse ad Adamo dopo il peccato originale quando andò a
cercarlo: «Adamo, dove sei?» (Gn 3,9). L’uomo europeo non può evitare
un giudizio sul suo presente, anche a costo di accettare un verdetto severo come
quello di Eliot: «Siamo uomini impagliati». Quali ragioni ci hanno
condotto a questa situazione, un po’ grottesca, di marcia sul posto?
4. Progresso e libertà:
la battuta d’arresto dell’Occidente
Nel suo apprezzabile intento di valorizzare la persona, la modernità ha
di fatto dato il via a un processo di riduzione ideologica del cristianesimo.
Relegando praticamente in un angolo il Padre, ha tentato a più riprese
(dalla filosofia alle scienze e alle tecnologie) di farsi padrone assoluto della
casa (realtà). Invece, facendo propria la preziosa e indomabile sete di
libertà della modernità e del postmoderno, è necessario
che l’uomo europeo riconosca con coraggio che, nella testimonianza biblica,
là dove nasce l’idea stessa di progresso, non esiste neppure un
passo in cui si parli di progresso indipendentemente dalla presenza libera e
amante, e perciò giudicante, del Padre nella storia.
5. Quale direzione per la storia?
Una prima direzione storica è suggerita dal filone politico. Da una parte,
l’uomo occidentale è riuscito a liberarsi da una concezione di storia
intesa come il progressivo realizzarsi di un’idea astratta e assoluta,
concepita a priori. Dall’altra, non ha saputo evitare l’ingenuità di
ritenere che la forma politica del liberismo potesse rappresentare la fase finale
del progresso, perciò la fase finale della storia. La seconda direzione è quella
scientifica con gli strabilianti risultati ottenuti, soprattutto in campo biologico,
grazie al connubio scienze-tecnologie. Ma come evitare che l’esaltante
avventura della libertà di ricerca, invece che a servizio della persona,
sia strumentalizzata dalla violenza ideologica trasformando l’uomo “nel
suo proprio esperimento”?
6. La meta ci è data
La struttura dei sistemi politici, dove il liberismo è spesso la ridicola
caricatura della libertà cristiana e, nella scienza, la vertigine di un
superuomo frutto del proprio esperimento, non riusciranno mai a sfiorare la dolcezza
dell’umano. Esso proviene ultimamente dalla possibilità per ogni
persona, a qualunque razza, cultura e religione appartenga, di dare un senso
a ogni singolo atto. Le domande sul perché ultimo, che fioriscono sul
terreno dell’amore, non sono altro che l’inoltrarsi dell’umana
ragione nel mistero. Ci è data una meta. E questa meta, lungi dal bloccare
la nostra libertà, la esalta inoltrandola verso un futuro, un futuro certo
perché è ancorato in una chiara origine: l’amorosa casa del
Padre che con tenace vigore regge tutte le cose.
7. L’idolo e il senso religioso
Se l’origine già presente, già donata, apre la libertà al
non ancora della meta, in cosa consiste propriamente il tendere continuamente
alla meta? Dice Lessing: «Il valore di un uomo non risiede nella verità che
possiede o presume di possedere, ma nella sincera fatica compiuta per raggiungerla.
Poiché è la ricerca e non il possesso della verità che aumenta
la perfezione dell’uomo. Il possesso rende quieti e indolenti, mentre soltanto
nella ricerca l’uomo trova la possibilità di un progresso continuo
verso la perfezione, il compimento». In questa alternativa tra l’eterna
ricerca della verità e il suo possesso si annida il rischio mortale a
cui è esposto il senso religioso. La scelta della continua ricerca della
verità potrebbe non essere affatto la scelta di Dio e per Dio che è la
verità, ma piuttosto la scelta orgogliosa di sostituire all’assoluto
di Dio l’assoluto del proprio cammino.
8. C’è la meta, ma non la via?
La meta c’è, ma la via? Commentando le prime pagine del Vangelo
di Giovanni, Agostino non può far a meno di formulare questo giudizio:
il Verbo, che viene amorevolmente al nostro incontro, è stato intravisto
nel Suo splendore e nella Sua verità anche dai grandi pensatori pagani.
Però Agostino vede con luminosa chiarezza l’impossibilità per
l’uomo di vedere il vero volto di Dio. Egli percepisce drammaticamente
l’inevitabile rischio che lo sguardo umano, anche il più ben intenzionato,
che riconosca l’esistenza e la presenza di Dio nella realtà, lo
raggeli idolatricamente, privando Dio del Suo soffio vitale che è l’anima
della storia del progresso. La meta, cioè il Padre amoroso della casa,
scorto da lontano, desta in noi il desiderio insaziabile di raggiungerlo. E tuttavia
Dio è così sconvolgentemente mistero di incandescente amore da
non poter essere alla nostra portata, ci deborda, ci supera da tutte le parti.
Affiora qui il dramma costitutivo dell’umano. Desidero l’infinito
perché l’ho intravisto, ma possederlo non è in mio potere.
9. La Via alla Verità e alla Vita
L’amore infinito del Padrone della casa, bet, ci sorprende. Manda il Suo
Figlio. Offrendosi nella fragilità di un’esistenza umana, rivela
a noi uomini il volto della meta che possiamo solo intravedere da lontano e a
essa orienta tutta la storia. L’uomo in cammino, aggrappato alla croce
di Cristo, può tendere continuamente alla meta.
Il progresso è possibile, la meta è donata, la libertà è mobilitata
e si può camminare spediti, l’enigma è sciolto, la libertà è liberata.
Lungi dal bloccare la libertà di pensiero e di ricerca, l’evento
cristiano la esige e la pretende, la potenzia, e apre così la possibilità di
un cammino verso la meta non più concepita come un destino ineluttabile.
10. Instancabili pellegrini
Il pellegrino è il vero autore del progresso. Egli è sorretto nel
suo cammino verso la meta dal desiderio di verità, di bontà e di
bellezza con cui il Padre lo ha mosso.
Pellegrini verso la casa che il Padre ci ha aperto, possiamo stare nella pace,
vigile e laboriosa, ripetendoci gli uni gli altri con Agostino: «Non temere
di stancarti, tale sarà il godimento di quella bellezza che sempre sarà dinanzi
a te e mai te ne sazierai, o meglio ti sazierai sempre e non ti sazierai mai...
non ci sarà noia».
11. “Eucaristia” e progresso
Saremmo astratti, se non accettassimo di passare attraverso la forma che il Risorto
ha scelto per attraversare il tempo e lo spazio. L’Eucaristia, culmine
e fonte della Chiesa, è la forma senza la quale diventa impossibile tendere
alla meta. Ma dire Eucaristia è dire la sorgente della comunione tra gli
uomini, sua insuperabile e permanente origine.
Nell’Eucaristia e nella Chiesa stanno i due pilastri del tema trattato.
In primo luogo, l’Eucaristia-Chiesa colloca il tempo nella prospettiva
dell’eternità, perché il Risorto ha strappato al tempo il
suo potere di annientamento. Passato, presente e futuro diventano un tempo orientato,
cioè garanzia di progresso ragionevole. E nell’Eucaristia-Chiesa è presente
anche il secondo pilastro: la libertà. L’Eucaristia è il
luogo dell’incontro tra la libertà di Dio e la libertà dell’uomo,
compagnia, che ci consente di sconfiggere il terzo libero attore della storia,
il maligno. Si apre ora una bruciante alternativa. O autocondannarci come uomini
impagliati a marciare sul posto o fare nostra la testimonianza di Paolo, che
potrebbe essere un’altra scrittura del titolo del Meeting: «Non però che
io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione;
solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch’io sono
stato conquistato da Gesù Cristo. Fratelli, io non ritengo di esservi
giunto, però questo so: dimentico del passato e proteso verso il futuro,
corro verso la meta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù,
in Cristo Gesù».
Il Santo Padre ha ricordato nel suo saluto al Meeting, il 22 agosto: «Il
cristianesimo, nonostante i limiti e gli errori umani, costituisce il più grande
fattore di vero progresso, perché Cristo è principio inesauribile
di rinnovamento dell’uomo e del mondo». Alla fine, questo rinnovamento
si concentra nell’affascinante tensione a rigenerare il popolo santo di
Dio.