Carrón su Martini. Soncini (Ac): un lavoro comune per l'unità della Chiesa

Valentina Soncini

La scomparsa del Card. Martini ha fatto venire alla luce la consistenza reale di quanto si legge nel profeta Isaia al capitolo 55: la Parola discesa dal cielo, come la pioggia e la neve, non torna al cielo senza portare frutto. Quella Parola seminata da Martini per ventidue anni con tenacia e perseveranza nel cuore degli uomini ha portato molte persone a incontrare Gesù e ha suscitato cammini di fede e di speranza. E’ per questo che abbiamo potuto assistere a moltissimi segni inaspettati di gratitudine, affetto, riconoscimento a lui in quanto Vescovo di tutti, padre della fede, profondo e attento conoscitore dell’animo umano.
La manifestazione di questo frutto credo conoscerà un tempo lungo, necessario per far fiorire le intuizioni del suo ricco magistero, esercitato in una delle più grandi diocesi del mondo e in un passaggio di grande trasformazione culturale e sociale. Alcuni tratti del suo modo di leggere il rapporto tra Rivelazione e fede o di essere oggi Chiesa degli Apostoli alle soglie del terzo millennio, sono già emersi durante il suo episcopato, altri saranno da riscoprire. Don Julian Carron, Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, nella sua testimonianza ne ha evidenziati tre:
- la sua attenzione ad ogni frammento di verità presente nel cuore di chiunque
- la sua attenzione ai bisogni dell’uomo d’oggi
- la sua paternità consolante e incoraggiante di Vescovo.
Sicuramente sono tratti che come Presidente dell’Azione Cattolica Ambrosiana non posso che confermare e in un certo senso rilanciare con riferimenti ulteriori anche a Don Carron, per continuare a scoprire insieme il grande dono che Martini è stato per la nostra Chiesa di Milano. L’Azione Cattolica non ha avuto relazioni specifiche con Martini prima della sua entrata a Milano, ma lo ha conosciuto e amato come Vescovo, al quale competono l’ufficio e la responsabilità ultima di “custodire, narrare e tramandare la fede”.
Infatti l’Azione Cattolica non ha altro fine se non quello di concorrere con la gerarchia a realizzare il fine apostolico generale della Chiesa e in nome di ciò collabora in modo corresponsabile con ogni Vescovo. Ha fatto così anche con Martini, potendone scoprire già allora l’enorme ricchezza, che vorrei riprendere in alcuni suoi tratti.
Martini e la sua apertura al dialogo - Gli ambiti dentro i quali Martini si è speso per realizzare la sua missione di Vescovo sono stati variegatissimi e determinati dall’ascolto delle domande che intercettava: domanda di fede, di Dio, di consolazione, di comprensione, di accoglienza, suscitate da condizioni esistenziali particolari, complesse, scomode. L’arcivescovo Martini non si è difeso dalle domande per paura di non avere risposte: se ne è lasciato investire con la fiducia che nella Resurrezione di Gesù ogni parzialità e ogni fatica trovano pienezza e ogni male viene sconfitto.
Questa consegna di sé al Cristo Risorto lo ha reso capace di apertura universale, di condivisione umile dell’inquietudine spirituale dell’uomo d’oggi delle sofferenze morali, della malattia, fatiche vissute anche da lui Arcivescovo, non esente dalla ricerca della fede. Questo suo modo di porsi in ascolto apriva alla ricerca sincera, sempre animata e guidata dal primato della fede e capace di farsi relativa all’interlocutore. Forse non sempre sono stati colti il fondamento e lo spirito del suo dialogare, guardato da alcuni erroneamente come pericoloso cedimento al relativismo,da intendere invece, se sperimentato e scoperto come grande occasione di crescita e di condivisione della bellezza del Vangelo.
L’Arcivescovo gesuita - Martini va ricordato anche come Padre Carlo, religioso gesuita, rigorosamente radicato in Dio “Principio e fondamento”, nella regola di vita, nella pratica vissuta e donata degli esercizi spirituali e insieme caratterizzata dal voto di obbedienza al Santo Padre, voluto dallo stesso sant’Ignazio per servire al magistero del Pontefice in ogni situazione soprattutto in quelle avverse. Il punto di sintesi di questo animo dedito alla Chiesa e al Pontefice mi è sembrato essere l’abbraccio di affetto, di vicinanza , ormai senza più parole, del Card. Martini a Benedetto XVI a Milano lo scorso 2 giugno. Questo gesto di obbedienza affettuosa è stato l’ultimo di molti altri espressi in modo diverso.
Da Arcivescovo e Cardinale non ha mai fatto mancare il suo sostegno di parola, di intelligenza, di lettura della realtà per concorrere a edificare la Chiesa del Concilio: solidale con l’uomo, aperta all’ecumenismo e al dialogo interreligioso, in dialogo con la storia dentro cui opera lo Spirito, che .come disse in una sua lettera: “…c’è e non si è mai perso d’animo rispetto al nostro tempo; al contrario sorride, danza, penetra, investe, avvolge, arriva anche là dove mai avremmo immaginato. Di fronte alla crisi nodale della nostra epoca che è la perdita del senso dell’invisibile e del Trascendente, la crisi del senso di Dio, lo Spirito sta giocando, nell’invisibilità e nella piccolezza, la sua partita vittoriosa” A partire da queste parole si comprende qualcosa di quel volto di Chiesa leggera, lieta, coraggiosa che ha voluto praticare ed edificare.
Martini fautore della comunione fondamento della pluriformità - Obbedire al Pontefice ha significato per Martini non lasciarlo solo, concorrere al suo discernimento, offrire la sua competenza, porsi a servizio della comunione che non è per sé monolitica, univoca, ma apre e nutre, nella reciproca stima, la pluriformità nell’unità. Martini è stato letto troppe volte come voce fuori dal coro, stigmatizzato anche da certi opinionisti come l’anti – papa, giudizio improprio di chi ha una idea di Chiesa ristretta e intollerante, lontana dalla multiforme chiesa apostolica edificata fin da subito in modo assai diverso e comunionale da Paolo, Pietro, Giovanni, Sila, Barnaba… Ricordare sotto questo profilo Martini forse può aiutare a comprendere quella pluriformità nell’unità, cara al nostro Arcivescovo Scola, per praticarla nei luoghi della condivisione ecclesiale, senza paure, senza rigidezze, all’insegna della stima reciproca tra diversi.
Un’eredità da riscoprire insieme per il bene della Chiesa - Nei giorni della preghiera e del lutto abbiamo sperimentato, il grande valore del silenzio, della comunione, della riconoscenza. Così, forse, anche il riscoprire insieme, tra realtà laicali ed ecclesiali tra loro diverse, il dono che Martini è stato per ciascuno e per tutti, può diventare cammino fecondo per tutta la nostra Chiesa milanese. Un cammino purificatore capace di liberarci da paure, resistenze, pregiudizi, ipocrisie dai quali sono nati fraintendimenti spiacevoli che io credo oggi superabili proprio mettendo in pratica il metodo insegnato da Martini: quello di un profondo discernimento e di un dialogo franco.


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