Casa Emilia, la speranza abita qui

Angelo Picariello

In Romania ottomila bambini infettati da vaccinazioni poco sicure


BUCAREST. "Fiare veichi, fiare veiche", il carretto avanza lento nella stradina sterrata, spinto pigramente dal cavallo, e una donna rom ripete con un filo di voce la cantilena, "Ferri vecchi, ferri vecchi". Ma è raro che i poveri facciano i loro affari fra loro. Non fa eccezione Chiajna, periferia desolata di Bucarest. Però qui se manca il lavoro si cerca almeno un'occupazione per la giornata. Come a dire: ci ho provato. E nei villaggi rom della zona il lavoro è questo: andare in giro a raccattare i ferri vecchi. O fabbricare mattoni che nessuno compra. In queste casette di campagna invece (altrettanto tristi eppure così diverse dagli enormi palazzoni della città messi su tutti orribilmente uguali dal regime di Ceausescu) un pò di lavoro c'è, ma si tira avanti in genere con uno stipendio solo. E se in Italia dare il "lei" è una cortesia, qui è un lusso. Perchè di "lei" (si chiama proprio così la moneta rumena) chi lavora ne guadagna mediamente 4-5 milioni al mese, che sembrano tanti, ma valgono sì e no 400 mila italiane, ci si paga a stento l'affitto e per il resto tocca arrangiarsi. In questa stradina sperduta, in cui l'unica realtà "significativa" era - fin qui - il cimitero del paese c’è ora una bellissima villetta nuova di zecca. No, non è roba da ricchi. Succede che la pietra scartata dai costruttori è diventata testata d'angolo. Succede che a "Casa Emilia" (dal nome di Emilia Cesana, moglie di Giancarlo, responsabile di Cl, morta l’anno scorso in Paraguay) sette ragazzi sieropositivi, di quelli che neanche le rispettive famiglie hanno voluto, hanno ora un padre, una madre e un fratellino. Oppure, invertendo, si può dire che una bella famigliola rumena ha aperto le braccia, accettando di farsi carico di un progetto di cooperazione avviato dalla presenza dei volontari dell’Avsi. Bambini dimenticati da tutti, finiti agli inizi degli anni ‘90 nel vortice della terribile malattia, come altri sette-ottomila in Romania (il numero esatto non si sa) per via - sembra - di vaccinazioni infette effettuate senza le più elementari precauzioni. "Casa Emilia" era piena di gente, per la cerimonia di inaugurazione, avvenuta qualche giorno fa. Per il taglio del nastro c’erano l’arcivescovo romano-cattolico Ioan Robu e il vescovo ortodosso Sebastian Ilfoveanu. E c’era Smaranda Popa per l’Unicef, che ha contribuito con gli arredi, nonché l’amministratore delegato dell Avsi Alberto Piatti. Calin Pop, direttore di Fundatia, la filiazione rumena dell’ Avsi, ha fatto gli onori di casa. ll pomeriggio, invece è il momento del riposo. Ci accompagna ClaudiaTerragni, volontaria brianzola coordinatrice del progetto. Ad accoglierci ci sono Liviu Marcu e sua moglie Mihaela. In una stanzetta Rozica, di 11 anni, e Monica, che ne ha 13, dormono rannicchiate che sembrano due angioletti. Chi è sveglio è Andrei. "Andrew, Andrea", aggiunge, per chiarire subito che può assecondare l’interlocutore con la lingua più gradita. Poteva restare un figlio unico, studioso e viziato, e invece è stato lui proprio a condurre i suoi genitori in questa bella storia. Spiega il papà Liviu: "Andrei lo vedete, è così, aperto, gioviale. Aveva conosciuto un anno fa un’assistente sociale di Fundatia, Teresa. Stava spesso con loro, così Teresa chiese di conoscere i suoi genitori". Della serie: quando la Provvidenza ci mette lo zampino. Dice Claudia: "Il progetto lo avevamo già pronto da tempo, c’erano pure i fondi dell’Unione Europea per partire...". Mancava però una famiglia disposta a farsene carico e certe cose non nascono per decreto. "All’inizio non demmo peso a quella proposta. Mia moglie - prosegue Liviu - lavorava come educatrice in un orfanotrofio, io invece ero manovratore nelle ferrovie, ma avevo voglia di impegnarmi in qualcosa di veramente utile. Mi iscrissi per questo a un corso per infermieri sulla cura dei ragazzi malati di Aids e capii che cercavo proprio un’esperienza così. Fu allora che prendemmo sul serio quella proposta arrivataci attraverso Andrei. Con mia moglie su certe cose ci intendiamo al volo, non c’è stato neanche bisogno di parlarci. Ed eccoci qua".
Mihaela in mattinata ha fatto un piccolo discorso all'inaugurazione. Era un po’ emozionata, e i ragazzi se ne sono accorti:"La mamma tremura", diceva uno di loro, Catarin, soprannominato "Seneca" per le frasi pungenti di cui è capace. "Io - racconta Mihaela - ho studiato teologia, posso insegnare, ma desideravo seguire in concreto l'esempio di Gesù, in aiuto a chi ha bisogno". Dare la propria vita, in un paese povero, per ragazzi poveri fra poveri. Di questi tempi la domanda, come si dice, sorge spantanea. "Conoscete le ragioni del popolo di Seattle?" Liviu e Mihaela si guardano attoniti. No, Seattle proprio non sanno cos’è. Come non detto. Sono ragazzi, questi, che si portano dentro il dolore dell’abbandono. "L’altra sera - prosegue Liviu andai a dare la buonanotte all’altro Andrei. Si chiama come mio figlio, per non fare confusione spesso lo chiamano col soprannome "pisoi", il gattino, perché ama star solo. Lo abbracciavo e lui non mollava la presa. “Liviu Liviu”, diceva. Poi a un tratto ha cambiato, “Mamma, mamma”, ha iniziato a dire. Così ho capito perché era taciturno, è l’abbraccio della mamma che gli manca". Ecco arrivare Catalin-Seneca, appena svegliato. Ti manca qualcosa qui? "Nimic, nimic, nimic" (niente, niente, niente), ripete l'affermazione resa in mattinata alla troupe della Rai. Si sono svegliate anche Monica, che sorride stropicciando gli occhi, e Rozica. Ecco anche Alexandru, occhi vispi e indagatori, è toccato a lui in mattinata impugnare le forbici per il taglio del nastro. Ci sono proprio tutti, anche l’altra Monica, Costantin, Eugen, Cristian. "Per loro spiega Claudia - c’è da riprendere, spesso da iniziare addirittura, il percorso scolastico. Alla scuola del paese, però, quando hanno saputo della malattia non hanno neanche voluto parlarne. Per miracolo invece - non è lunico in questa storia, come si vede - nel paese accanto, Rosu, iI direttore, non ha fatto problemi". "Vorremmo tanto che i progressi della scienza ci aiutino a dare un futuro, un futuro normale a questi ragazzi. È il nostro sogno", dice Liviu. Ora l’obiettivo è allargare quest’esperienza creare tante case che si aiutino fra loro, e già spunta la disponibilità della sorella di Liviu. Lei insegna biologia, il cognato matematica, con un figlio di otto anni. L’ideale per mettere in piedi la seconda casa dei ragazzi sieropositivi. Ora che ci sono tutti si passa ai canti. Il campione del settore è Cristian. "Siamo andati alla caccia del leon, pum-pum", "Stendi i panni, po-ro-po-po": il repertorio è vasto. Ci mostrano le foto. Scopriamo che Mihaela ha cambiato più volte il colore dei capelli, mora, rossa e ora bionda. "E che importa?", risponde salutandoci. "L’importante è che noncambia...", e indica il cuore.