Don Giussani, il fascino discreto dell'anti Sessantotto

Gad Lerner

Un impasto di ortodossia e anticonformismo, sostenuto dalla convinzione che "la verità non sia un prodotto della discussione, ma la preceda". L'opposizione alle idee di Bobbio, Calogero, Sapegno e Garin


Un balzo sulla cattedra, e via: il crocefisso staccato dalla parete era già sparito senza obiezioni in un cassetto per tutto il resto dell'anno scolastico. Il primo ricordo della prima ora del mio primo giorno di scuola al Berchet è tutto in quel gesto di un compagno di classe più agile della media. Come avrebbe reagito don Luigi Giussani, forse l'insegnante di religione più famoso del mondo, testimone di un cristianesimo apertamente sfidato dai giovani? Lui aveva frequentato per undici anni (1954-1965) le aule del nostro vecchio liceo milanese, lasciandoci in eredità quella strana razza di compagni di banco cattolici, chiamati prima giessini e poi ciellini, che ci stupivano già col sacrificio quotidiano di un'ora di sonno pur di andare a cantar le lodi nella chiesa di fronte, prima del suono della campanella. E' curioso scoprire come proprio nella tua scuola sia nato un movimento religioso cresciuto rapidamente nel mondo intero, Comunione e liberazione; tanto più se lì, in via Commenda, te li ricordavi tuttosommato minoritari, impacciati, perfino un po' bruttini e démodé, i ragazzi di don Giussani. Di fronte a un'allibita minoranza ciellina, certe vigilie di Natale i corridoi si popolavano di evocazioni blasfeme della natività, e l'irrisione nei confronti della fede tradizionale veniva ostentata come conquista di libertà. Forse ha ragione Massimo Camisasca, testimone diretto e autore di un'appassionante storia di Cl (di cui esce ora il primo volume), a definire il Berchet, fin dal 1954, come il liceo in cui "si era raccolta gran parte dei giovani rampolli della borghesia laica e socialista di Milano", oltretutto "sotto le ali del preside ebreo Joseph Colombo". Rincara la dose, nell'introduzione , il cardinale Joseph Ratzinger, elogiando la temeraria impresa di 'don Gius' "trasportato in un ambiente massonico, repubblicano e perciò antireligioso per impostazione". Scopriremo, sul finire di un volume che arriva sino al fatidico 1968, come la prima opera di missione e proselitismo nel territorio scristianizzato della scuola milanese sia destianta ad infrangersi proprio nella tempesta della contestazione, cui suo malgrado Giussani fornirà buona parte dei quadri dirigenti, fin quasi all'estinzione di Gioventù Studentesca. Ma prima di fare la conoscenza di Cl come "antisessantotto", rifiuto dell'utopia in nome della presenza cristiana, è necessario seguire le mosse del fondatore in azione nel campo nemico. Il profilo e la voce del trentaduenne don Giussani parevano infatti apposta per attirare le beffe degli studenti, ricorda uno dei primi fedelissimi, Pigi Bernareggi. E la lezione si trasformava in un campo di battaglia dialettica: "E' inutile che venga qui, professore, a farci scuola di religione, perchè per fare scuola bisogna ragionare", l'aveva apostrofato subito, già nella prima lezione, l'alievo Pavesi. In questi casi Gius cercava lo scontro, coinvolgendo nella polemica i professori di estrazione laica, riempiendo l'ora di religione di riferimenti letterali, storici, musicali, fino a raccogliere intorno a sé il nucleo fondativo del futuro movimento. Come dire: noi cristiani qui dentro saremo pure una minoranza, ma irriducibile, compatta, disposta a mettere in gioco tutto il futuro della nostra vita adulta. Ancora oggi in Cl "quelli del Berchet" restano il primo "raggio", il punto generativo, da Giuseppe Zola a Eugenia Scabrini a Chiara Saraceno (quest'ultima se ne sarebbe andata, col marito Gianenrico Rusconi, nel '67, e forse per questo risulta curiosamente esclusa dal racconto di Camisasca). Prima di loro c'è solo l'esperienza del seminario di Venegono, dove Giussani si lega per sempre a un altro rifondatore del tradizionalismo cattolico italiano: Giacomo Biffi. Insieme, i due giovani sacerdoti fonderanno addirittura un gruppo segreto denominato "compagnia degli scemi di Cristo". Dalle mattinate in via Commenda, dove si litigava con i compagni laici come Lorenzo Strik-Livers, i giessini si trasferivano, dietro il carisma dell'insegnante di religione, nei pomeriggi di via Statuto 2, sede del movimento. Qui l'invenzione del "raggio", momento di riflessione e autocoscienza colletiva, soppiantava le consuete attività di parrocchia e di Azione cattolica. Basti dire che l'unico tavolo da ping-pong venne ben presto rimosso, perchè del tutto inutilizzato. Un'esperienza intellettuale e umana coinvolgente, cui erano tentati di partecipare anche molti allievi di formazione cristiana, come il futuro filosofo della scienza Giulio Giorello. I ragazzi si appassionavano nella critica del razionalismo laico dei Bobbio, Calogero, Sapegno, Garin tanto diffuso a scuola. Nasceva in contrapposizione all'egemonia di costoro, nel '57, la prima edizione de Il senso religioso, riassunto delle elzioni di Giussani, destinato a diventare nei decenni successivi un best-seller dell'editoria cattolica. Fuori dalla scuola le attività di Gs, dalle opere caritative nella Bassa Milanese ai raduni spirituali di Varigotti, fino alla prima spedizione missionaria in Brasile, dovevano scontrarsi con la cultura di sinistra simboleggiata dal Piccolo Teatro di Paolo Grassi, ma anche con l'impianto tradizionale della Fuci guidata da Franco Bassanini e Fabrizio Onida. Il rifiuto di separare l'appartenenza cristiana dalla dimensione etica e politica avrebbe determinato i primi contrasti con l'arcivescovo Colombo e con il rettore della Cattolica, Giuseppe Lazzati. Ma paradossalmente, proprio quella stessa concezione integrale dell'impegno di fede avrebbe infine reso vulnerabile il movimento al fascino del nuovo marxismo proposto in forma di contestazione globale. Don Vanni Padovani, il sacerdote che Gius aveva voluto al suo fianco come coordinatore dei "raggi", divenuto nel '65 suo successore alla guida di Gs, incoraggerà la trasmigrazione dei cattolici nel nascente movimento studentesco, e verrà emarginato in una parrocchia di periferia. Mentre lui, il fondatore, viene descritto "incavolato nero", al bar della Cattolica, la sera del novembre '67 in cui prendeva il via la prima occupazione dell'università di largo Gemelli: "E' contro lo Stato che bisogna protestare, che non dà i soldi alla Cattolica". Furono duri, i primi anni Settanta, per il movimento che ormai aveva assunto il nome di Comunione e liberazione, scritto in calce a un volantino distribuito nel '69 alla facoltà di medicina da Giancarlo Cesana e altri studenti cattolici. La diocesi di Milano aveva sperato invano che le energie suscitate da don Giussani confluissero nelle sue istanze organizzative convenzionali. Diffidava di quell'inedito fervore carismatico, obbediente ma scalpitante, sempre imperniato sulla strana figura del fondatore. L'onda lunga del movimento nato al Berchet avrebbe rivelato tutta la sua influenza solo più tardi, sulle ceneri del Sessantotto, giungendo a costruire oggi l'ossatura di un bel pezzo di classe dirigente milanese e lombarda. I ciellini che piacciono tanto al Papa e a Ratzinger ci si presentano dunque come un impasto di ortodossia e anticonformismo, uniti nella convinzione che "la verità non è prodotto della discussione, ma la precede", per usare le parole del cardinale tedesco. Dopo un breve esilio in Texas, don Luigi Giussani, allontanato dalla guida di Gs, andrà a tenere dei corsi di introduzione alla teologia proprio all'università Cattolica del suo avversario Giuseppe Lazzati. Vi si affolleranno, anno dopo anno, migliaia di studenti entusiasti, fino al 1990. Il professore di religione del Berchet, ormai, guidava la riscossa del cristianesimo militante nella società secolarizzata che aveva ridotto la Chiesa ai suoi margini.