Gould, sulla Terra la vita è una partita di baseball

Paolo Mastrolilli

Con la sua tesi degli «equilibri punteggiati» rivide la teoria darwiniana: l´evoluzione delle specie non è stato un processo lento e continuo bensì una confusa e casuale successione di sbalzi «meravigliosi» «Chiedo scusa per l'intrusione in una mattinata altrimenti piacevole, con la notizia potenzialmente importuna che il mondo finirà oggi - per la precisione a mezzogiorno». Ecco l'esempio giusto, tratto da un articolo sulle paure del Millennio, pubblicato dal New York Times il 23 ottobre 1997. Come lo chiamereste voi un paleontologo evoluzionista così, forse il più famoso dai tempi di Darwin, capace di rivolgersi al pubblico come un romanziere?
Il Washington Post ha provato la definizione «cavallo volante» o «squalo che parla». Qualunque sia il neologismo preferito, questo era Stephen Jay Gould, morto lunedì sera nella sua casa di New York all'età di 60 anni. Un prodigio dell'evoluzione: un uomo, come ha scritto Joel Achenbach, che sconfiggeva la teoria seconda cui la natura distribuisce i suoi talenti in maniera equa. Non sempre va così: a qualcuno dà l'intelligenza scientifica, a qualche altro l'abilita artistica, e a Gould tutt'e due. Stephen era nato a New York il 10 settembre 1941 da Leonard Gould, stenografo del tribunale e militante comunista, e da Eleanor Gould, artista e imprenditrice. Il quartiere del Queens, dov'era cresciuto, è popolato da così tante razze, da rappresentare un microcosmo dell'evoluzione umana. La leggenda però racconta che lui decise di fare lo scienziato a cinque anni d'età, quando il padre lo portò a visitare l'American Museum of Natural History, e lo scheletro del Tyrannosaurus Rex riuscì insieme a spaventarlo e affascinarlo. Comunque sia, il giovane Gould fece le elementari alla Scuola Pubblica numero 26 e le superiori alla Jamaica High School, prese la laurea in geologia all'Antioch College dell'Ohio, e il dottorato alla Columbia University. All'età di 26 anni era professore ad Harvard, dove sarebbe rimasto per tutta l'esistenza, ed era già amato e odiato dai colleghi. Quando era ancora studente alla Columbia, infatti, aveva cominciato ad elaborare la teoria della sua vita, insieme all'amico Niles Eldredge, oggi studioso proprio al Museum of Natural History. La teoria si chiamava «punctuated equilibrium», gli equilibri punteggiati, ed era il più grande affronto a Darwin mai osato da un suo discepolo. Analizzando i fossili, in sostanza, Gould aveva visto che c'erano dei salti tra i vari cambiamenti subiti da una specie. Secondo i suoi colleghi, questo dipendeva dall'incompletezza dei campioni raccolti. Secondo lui, invece, dimostrava che l'evoluzione non era un processo lento e continuo, ma piuttosto una confusa e casuale successione di sbalzi. Niente male come esordio, in un mondo accademico popolato da fossili anche sulle cattedre.
Ma Stephen - che aveva due mogli e due figli - non era originale solo nel modo di pensare la scienza. Da buon newyorchese era fanatico del baseball, e gli Yankees erano la sua seconda passione dopo la paleontologia. Anzi, insieme alla paleontologia, perché nei suoi articoli mescolava i battitori Joe DiMaggio e Jogi Berra con Charles Darwin, per far capire la scienza anche al lattaio del Queens. La sua specialità, da cui erano partiti tutti gli studi, erano le lumache di terra delle Bahamas, e gli amici raccontano che quando ne trovava una festeggiava mettendosi a cantare. Sì, perché tra le altre fantasie di Gould c'era anche la musica, con tanto di concerti e prove ogni lunedì nel coro della Cecilia Society di Boston. Per capire il tipo, nel 1982 gli diagnosticarono una rara forma di cancro, il mesotelioma addominale, che in media uccide i malati nel giro di otto mesi. Lui reagì così: «In una situazione del genere, chi non conosce la statistica penserebbe di avere meno di un anno di vita. La media però è una percentuale, e io ho deciso di mettermi dalla parte delle eccezioni». Infatti continuò a lavorare, si fece curare con metodi sperimentali, e venti anni dopo è stato ucciso da un'altra forma di cancro ai polmoni. I colleghi, ammiratori e denigratori, sostenevano che non poteva dormire più di tre ore a notte, per sostenere un ritmo di produzione come il suo. Nell'elenco infatti ci sono 27 libri, da Ontogenesi e filogenesi del 1977, a I Have Landed: The End of a Beginning in Natural History del marzo scorso, da La vita è meravigliosa (Feltrinelli) a Il pollice del panda (Il Saggiatore), da Ripensare Darwin (Einaudi) a La vita in bilico (Einaudi). Oggi esce in Italia Le trame dell'evoluzione scritto insieme a Niles Eldredge (Raffaello Cortina). In mezzo, oltre alle lezioni universitarie, ci sono anche trecento articoli consecutivi, scritti per la rivista Natural History dal 1974 al 2001 e raccolti in varie antologie. Ormai era una figura così popolare, da finire persino nei cartoni animati della serie I Simpsons, mentre i lavori di rinnovamento del suo loft a Soho avevano conquistato le prime pagine dell'Architectural Digest. Tanta abbondanza non poteva non generare tante critiche, che lui liquidava come «gelosie», con un pizzico di arroganza. Ma forse la cosa che gli fa più onore è che gli attacchi arrivavano da tutte le parti. I creazionisti, convinti che l'universo è stato fatto da Dio secondo la tradizione biblica, ci litigavano perché lui si batteva per l'insegnamento dell'evoluzionismo nelle scuole. Gli evoluzionisti ortodossi invece lo guardavano storto, perché in fondo con la sua teoria dell'equilibrio punteggiato non aveva chiuso in maniera definitiva la porta all'ipotesi dell'intervento divino nella storia del mondo. Come si difendeva lui? Citando il motto della Paleontological Society: «Frango ut patefaciam, rompo per rivelare».