Il deserto dei Catari

Gianluigi Da Rold

Giorgio Vittadini, presidente della Compagnia delle Opere, festeggia la Pasqua e spiazza tutti. C'è la campagna elettorale? Volete conoscere la posizione della Cdo? Puoi preparare tutte le domande che vuoi. Ma Vittadini esce dai temi della gran cassa mediatica, parte da solo."Io ragiono e mi rendo conto che lo scarto è violento. Paragono il desiderio dell'uomo con la frase pronunciata dal ministro della pubblica istruzione Tullio De Mauro. La voglio ripetere io questa frase: "Mi sento artefice di aver introdotto un meccanismo nuovo. Tu insegnante, il primo giorno di scuola, devi prendere visione degli alunni, tutti, uno per uno. Il tuo compito è prenderli con i loro difetti, con i loro guai, con i loro handicap e la loro stupidità, ma anche con le loro eccellenze, per portarli agli obiettivi che io, Stato centrale, ti dico". Questa è violenza, la violenza del potere, la violenza dello Stato. E questa violenza è più estesa di quanto pensassi. De Mauro non rappresenta neppure l'idolatria, ma è l'ideologia, il rilancio dell'ideologia".
Però in fondo ci sentiamo tutti un po’ dei De Mauro. Come possiamo fare per non costruire una società violenta?
"La risposta più semplice sarebbe: fare delle opere. Ma anche le opere possono nascere e morire, com’è avvenuto per alcune opere cattoliche e non cattoliche. Il problema è di trovare il nesso tra la politica e le opere".
Cioè'? Ci faccia capire.
"L'unica cosa che non muore è il desiderio dell'uomo. E' imprevedibile. Né la politica né il potere possono ucciderlo. Possono limitarlo, ma non cancellarlo. Né la politica, né le stesse opere sono in grado di dare la felicità. Ma la politica e le opere possono lasciare lo spazio, devono porre le premesse per favorire il desiderio dell'uomo. Tutti facciamo esperienza del contrario: siamo tutti peccatori, abbiamo bisogno che ci sia qualcuno che ci liberi dal male, abbiamo bisogno di educatori. Quindi politica e opere devono porre le premesse perché esistano gli educatori, quelli che fanno impresa, quelli che insegnano, quelli che fanno gli operatori sociali e via dicendo. La politica deve essere lo spazio degli educatori".
Se ben capisco, è questo che intendete per sussidiarietà?
"Certamente, perché la radice della sussidiarietà è antropologica. Tanto è vero che la sussidiarietà verticale, quella del federalismo e delle varie leggi Bassanini, senza la sussidiarietà orizzontale, può essere addirittura pericolosa".
Da dove occorre partire allora?
"Dalla realtà totale, da quello che è presente. Da chi spende tempo e denaro per il bene comune, da chi è animato da un ideale vero. In definitiva, da chi spende la vita per il bene pubblico, comune, di tutti. Pubblico non significa statale. L'originalità della storia italiana ci dà ragione. Pensiamo ai fondatori di opere cattoliche (don Gnocchi, San Giovanni Bosco, Cafasso, don Orione, San Camillo) e pensiamo anche ai laici (chi ha fatto banche di mutuo soccorso, cooperative e certe case del popolo). Il risultato del bene che hanno fatto è evidente a tutti, la gente lo riconosce. Tanto è vero che le persone lasciavano un tempo soldi, eredità, donazioni a queste opere non statali ma per il bene di tutti".
Ma questo in Italia non esiste più.
"E' un incredibile e drammatico paradosso. In Italia c'era una tradizione che è stata uccisa, sradicata. All'estero, senza tradizione, si sono date le risposte, si è creato il "non profit", con patrimonio e reddito, con il solo vincolo di non distribuzione degli utili. Così noi dobbiamo sentire Robert F. Wagner che spiega la coesistenza di imprese profit, Stato e imprese con finalità ideali in un sistema misto. Dobbiamo ascoltare Ralph Darendhorf che dimostra interesse per il "non profit" come risorsa occupazionale".
Per quale ragione?
"Mentre il mondo va avanti superando gli steccati ideologici, il cattocomunismo italiano (che unendo gli aggettivi ha perso entrambi gli ideali) ha condotto a un'idea di società "pelosa", una copia dell'eresia dei catari (chi non ha soldi, chi non rischia, chi non fa nulla di significativo). Si opera così una riduzione del "non profit" a volontariato. Persino Scalfaro definiva volontariato le opere di pubblica utilità. Questa idea avvolge inevitabilmente il "non profit" dalla cultura del sospetto. Quella che poi ritrovi nelle procure della repubblica, secondo le quali dietro il "non profit" si nasconderebbero interessi pericolosi. In questo caso non siamo più di fronte al peccato originale, ma c'è una parte, gli altri, che è il male. Il male, in questo caso, sarebbe anche chi maneggia i soldi…per il bene comune"
Quindi?
"Si arriva all'immobilismo, dettato da una posizione mista di giacobinismo e calvinismo. Così, chi si muove è perduto. Si dimostra vera l'intuizione di Pasolini nella sua ultima intervista, quella fatta all'aeroporto di Parigi prima di morire, quando affermava: "Soprattutto il complotto ci fa delirare. Ci libera da tutto il peso di confrontarsi da soli con la verità…"
Che cosa deve cambiare allora?
"Occorre riconoscere legislativamente il settore "non profit" di pubblica utilità, riconoscere questa realtà com’è stato fatto in America e in altri paesi di democrazia europea. Sono realtà che svolgono una funzione di pubblica utilità, dotate di patrimonio e reddito, che non distribuiscono gli utili".
Scusi, che cosa vuol dire servizio di pubblica utilità?
"A livello internazionale è definito "non profit" qualsiasi realtà di patrimonio e reddito che non distribuisce utili e può essere mutual, per i soci, o di public utilities, se compie servizi di utilità per le persone. Non si può dire che uno che abbia dipendenti e milioni di dollari lo faccia per il profitto. Nei paesi a democrazia avanzata le leggi riconoscono queste realtà che non sono statali, sono senza fini di lucro e tuttavia operano come imprenditori: le grandi università, i grandi ospedali. Per tutte queste realtà ci vuole una legge anche in Italia, con lo Stato che definisca gli standard di qualità, gli accreditamenti, perché così il cittadino possa fare una libera scelta in un sistema misto. La famosa sussidiarietà appunto. Se non ci si regola così, certe realtà diventeranno drammatiche e senza soluzione. Come per i malati cronici: lo Stato non ce la fa più a curarli e poi li sbatte fuori dagli ospedali, mentre i privati non li prendono neppure. Se non ci pensa un privato con un ideale, chi altri può farlo? E tutto questo si può introdurre anche nel campo dell'ambiente, della cultura, in tanti altri settori".
Non rischiate di essere isolati su questa posizione?
"Non è vero. Io penso a molti uomini della Casa delle libertà, ma anche a molti personaggi del centrosinistra, penso a Pierluigi Bersani, alla Confcooperative. Penso a Ermete Realacci di Legambiente. Penso a diversi esponenti del mondo cattolico che, pur maturati in un’esperienza diversa dalla nostra, sono interessati a questo discorso".
Lei, sulla sussidiarietà, è entrato in polemica con il ministro Bassanini. Perché?
"L'ho già detto. La sussidiarietà verticale può essere in contrasto con quella orizzontale. Gli stessi trasferimenti di competenze alle regioni possono moltiplicare gli uffici e i responsabili, ma non risolvono nulla. Si rischia di ritornare a una logica feudale, con tanti valvassori e valvassini che stanno negli uffici cosiddetti periferici. Molte regioni e molti comuni non avranno la possibilità di far fronte ai bisogni. I poteri pubblici che erano inefficienti al centro, rimarranno presumibilmente inefficienti alla periferia. Più che ai trasferimenti bisogna pensare alla libertà, alla possibilità che il singolo cittadino e le formazioni sociali possano non solo dare alcune risposte ai bisogni, ma anche costruire servizi di pubblica utilità. Buoni, detassazioni, agevolazioni fiscali e libere donazioni non sono "costi" per la collettività, ma strumenti perché persone educate con principi ideali costruiscano e promuovano scuole, ospedali, opere di assistenza, centri culturali".
Oggi esiste anche un'emergenza lavoro in Italia.
"Eccome, se esiste. E si ha il coraggio di fare un uso scorretto delle fonti statistiche. Si proclamano passi, prendendo a testimonianza la diminuzione del tasso di disoccupazione. Ma usare il tasso di disoccupazione (che è comunque tra i più alti in Europa) come indicatore del mercato del lavoro è un errore gravissimo, perché questo è inficiato dal fatto che dipende da quanti sono quelli che dichiarano di cercare lavoro. Ci sono molte persone che non dichiarano neppure di cercare occupazione, perché sanno che non è neppure il caso di mettersi in coda…Il tasso di disoccupazione va valutato più oggettivamente. Il nostro tasso di occupazione, cioè il numero di persone tra i 15 e i 64 anni che lavorano, è in Italia del 53 per cento. E' in assoluto il più basso d'Europa. Tanto per intenderci, il numero di persone che lavorano in Italia, sulla popolazione complessiva che potrebbe lavorare, è più basso di quello della Grecia, della Spagna e del Portogallo".
Che cosa ha fatto lo Stato, in questi ultimi anni, di fronte a questa realtà?
"Rispetto al bisogno di lavoro e alle possibilità di lavoro che ci sono, rispetto all'apertura che la Comunità Europea ha fatto sulla possibilità di creatività nelle forme di lavoro, il ruolo del ministero del Lavoro, di questo governo e della politica di maggioranza di questi anni è stato quello di bloccare e impedire lo sviluppo del lavoro. Hanno esplicitamente, continuamente, fino all'ultimo, emesso circolari limitative su tutte le nuove forme di lavoro. Bisognerebbe dare al ministro Salvi il titolo di grande protagonista di questo impedimento del lavoro. Bisognerebbe andare a fare la fila davanti a lui invece che agli uffici di collocamento. Il ministro riconosce l'utilità dell'intervento privato, ma impedisce a chi fa formazione di fare orientamento; a chi fa orientamento di occuparsi dell'incontro domada-offerta di lavoro; a chi si occupa dell'incontro domanda-offerta di lavoro impedisce di fare orientamento e formazione. Si vede che in Italia il lavoro deve essere sotto la tutela della "mamma" sindacato egemone, la cui maggioranza è costituita oggi da pensionati".
Si potrebbe commentare : si Salvi chi può. Ma allora?
"E' necessario che si permetta, anzi si favorisca la nascita di un sistema integrato dei servizi al lavoro. Occorre che sia data la possibilità al cittadino di incontrare un unico interlocutore, con il quale verificare contestualmente il suo profilo professionale, colmare le lacune formative e avere a disposizione le offerte di lavoro in tempo reale. Ed è necessario allora creare un sistema di accreditamento, basato sulla qualità del servizio. Come accade in quasi tutti i paesi del mondo".