Il XXI secolo ha scoperto i martiri tecnologici
Caro Franco, smettila con le tue illusioni, ormai viviamo nell'epoca degli uomini bomba. Determinati a usare il proprio corpo come detonatore - la più oscena delle armi improprie, la più inquietante delle manipolazioni genetiche -, con i martiri tecnologici dell'Islam ci stanno trascinando dentro a un nuovo Medioevo contemporaneo. Altro che Uomo Nuovo, sono mutanti. I martiri islamici provano indifferenza nei confronti del nemico da eliminare (ebrei/cristiani; militari/civili; maschi/femmine; adulti/bambini) perché provano indifferenza nei confronti di se medesimi. Qui si misura il divario fra noi e loro, decisivo, anche se altre circostanze mi impediscono di sentirli del tutto estranei.
Il loro corpo già probabilmente addestrato a respingere le tentazioni del sesso e dell'alcol viene plasmato come arma temibile, istruito alla guida di congegni sofisticati, ma non per garantirne la salvaguardia nella difesa e nell'offesa, bensì per propiziarne la disintegrazione. Attraverso questo passaggio il terrorismo religioso consolida e oltrepassa il terrorismo politico. Fornisce visione globale e logica di potenza a un odio generato dalla frustrazione, da un atavico sentimento di inferiorità, ben prima che dalla disperazione sociale.
È evidente ormai che alle spalle degli uomini bomba non si trova solo una piccola setta isolata nel mare magnum dell'Islam, ma un movimento vasto e diffuso. Un nemico vero, caro Franco. Un nemico che però - come ti accennavo - non riesco a sentire estraneo fino in fondo, e ciò naturalmente aumenta il mio disagio. Guardo sui giornali le foto segnaletiche e avverto intensamente una familiarità con questi corpi trasformati in ordigni. Gli stessi occhi scuri, lo stesso colorito olivastro, la stessa terra d'origine, le stesse h aspirate o gutturali delle lingue semitiche, lo stesso gusto per i cibi speziati e la sensualità orientale. Gli piaccia o meno, faccio parte del loro paesaggio e del loro immaginario fin da prima della nascita del Profeta. Con alcuni dei terroristi probabilmente, ho in comune anche la città natale, sebbene ormai la Beirut che ho lasciato bambino quarantacinque anni fa sia diventata l'ultimo posto in cui consiglierei a un ebreo di vivere. Al cambio di millennio ci ritroviamo in una moltitudine con l'anima ormai divisa in due fra la sponda nord e la sponda sud del Mediterraneo. Ma proprio la contiguità, l'essere destinato a convivere, esaspera la distanza.
Il ventunesimo secolo è stato inaugurato dai martiri assassini. Per questo ti propongo di avviare il nostro dialogo dalla nozione di martirio, che già aveva assunto una terribile ambiguità nel ventesimo secolo. Martiri gli ebrei sterminati ad Auschwitz? I preti spagnoli e i monaci russi perseguitati dall'ateismo? Gli sciiti iraniani che si battevano a mano nude contro l'esercito dello shah?
Ti ricorderai forse di quando, nel settembre del 2000, il rabbino integralista Ovadia Yossef, capo spirituale del partito Shas che rappresenta in Israele gli ultraortodossi orientali, interpretò lo sterminio nazista come punizione divina per gli ebrei europei inclini alla laicità. Una follia non dissimile da quella dei telepredicatori americani Jerry Falwell e Pat Robertson che dopo la strage delle Twin Towers e del Pentagono hanno arringato via etere un popolo in lutto: «Ce lo siamo meritato, è il frutto dei nostri peccati!»
Le interpretazioni provvidenziali del martirio come olocausto, sacrificio al Signore, rischiano sempre più di bestemmiare il loro Destinatario, alimentando inammissibili teorie speculari e attribuendo al Male una funzione salvifica proprio come nel caso dei martiri assassini sospinti al suicidio da al Qaeda, Hamas, Jihad, Hezbollah.