Inerzia e coraggio

Pietro Ichino

La fortuna di un popolo non sta principalmente nei beni di cui dispone, ma nella coesione tra le sue parti, nella loro capacità di dividersi il lavoro e condividerne equamente i frutti; litigando, magari, ma sempre nella consapevolezza che non c' è un futuro per nessuno se non insieme agli altri. Allo stesso modo, la ricchezza di una grande metropoli sta tutta nella capacità di ogni sua parte di coordinarsi con le altre, nella percezione diffusa della prontezza reciproca come fonte di sicurezza e benessere per tutti: un grande gioco in cui tutti hanno da guadagnare. Fa parte di quella ricchezza anche un sistema di relazioni sindacali capace di realizzare il buon contemperamento degli interessi collettivi in gioco, sulla base di una visione condivisa dei vincoli generali, ma anche di un disegno di giustizia sociale da costruire progressivamente, perché tutti davvero partecipino dei guadagni. Oggi questo meccanismo si è inceppato nel settore cruciale dei trasporti municipali: nel volgere di pochi giorni una vertenza sindacale si è trasformata in guerra totale, col rischio del contagio in altri settori. E sono bastati questi pochi giorni per farci percepire il costo e il rischio altissimi di un azzeramento del sistema delle relazioni sindacali: un gioco al massacro, tanto più folle quanto maggiori sono le altre difficoltà che il nostro sistema economico, sociale e politico sta attraversando. Individuare e distribuire le colpe è fin troppo facile: ne hanno le imprese e chi le finanzia, che hanno fatto lo scaricabarile fra di loro durante due anni di trattative; il governo, che predica velleitariamente il federalismo da un lato, la fine della politica dei redditi dall' altro, ma non ha alcuna idea su che cosa ne consegua nel sistema delle relazioni sindacali; i sindacati autonomi e i comitati di base, che non hanno esitato a usare lo sciopero nelle forme più disastrose per le città, addirittura teorizzando che questo fosse l' unico modo efficace per far valere gli interessi dei lavoratori. Ma una responsabilità tutta particolare è quella che portano le confederazioni sindacali maggiori, capaci di praticare la moderazione nel ricorso allo sciopero, ma non di sostituirlo con altre forme di lotta altrettanto efficaci (che pure non mancano); capaci di accodarsi alle rivendicazioni di chi strilla di più, ma non di proporre un disegno complessivo di allineamento degli standard del trasporto pubblico italiano a quelli dei Paesi più civili. Cgil, Cisl e Uil hanno pagato carissimo questo errore, finendo col perdere il ruolo di rappresentanti dei lavoratori per assumere quello di incerti mediatori in un dialogo tra sordi. Ora è il momento di uscire dall' inerzia. Di fronte ai rischi gravissimi della situazione, Epifani, Pezzotta e Angeletti non possono restare defilati. Vengano a Milano, e spendano tutto quel che resta (per fortuna non è poco) del prestigio e della credibilità delle loro confederazioni per rifondare il sistema delle relazioni sindacali nel settore dei trasporti, sulla base di un progetto coraggioso e di respiro europeo. Se c' è un solo vantaggio nell' essere un Paese arretrato, esso consiste nella possibilità di copiare il meglio delle esperienze dei Paesi più avanzati. Questo potrebbe essere il nuovo patto dal quale ripartire: accordiamoci sul modello migliore, tra i molti ottimi che l' Europa ci offre, sia per lo standard di servizio agli utenti, sia per lo standard di trattamento dei lavoratori; e impegniamoci tutti a lavorare per realizzarlo, stabilendo le tappe di incremento progressivo di entrambi gli standard. Se si può fare ad Amburgo o a Vienna, si può fare anche da noi.