Io sono il mio popolo

Origine e appartenenza
Luigi Giussani

Proponiamo gli appunti delle parole di don Giussani alle Assemblee Responsabili di Cl del 6 marzo e del 4 aprile 2001

a cosa che più mi piace, che più mi è facile capire tanto quanto è difficile il realizzarla, è che il movimento si identifica con la nostra vita: vita nostra e avvenimento. Avvenimento, si può dire così: la vita nostra e l’avvenimento sono come uno spazio da riempire, e quanto più il nostro passo camminerà tanto più la suggestività dell’impegno ci persuaderà e ci farà vincere tutta l’opposizione più in negativo.
Così come i limiti, tutti i limiti sfuggono alla imperiosa volontà del cuore, la volontà del cuore, a sua volta, è una cosa veramente grande: si attua come grandezza quando si capisce l’impegno come preghiera.
Il movimento è la nostra preghiera oggettivata.

Sono qui dall’inizio a sentire quello che avete detto oggi, che è commovente tanto è giusto, perché giusto e bello. Soprattutto sono contento di sentire don Pino così immedesimato con la posizione in cui io sono stato messo da Dio.
Quello che io raccomanderei - la Madonna l’ottenga da Dio per me - è che l’origine implica cose che la nostra attenzione e le nostre convinzioni non possono ancora sapere, conoscere bene.
È grande il fatto della identità tra origine e appartenenza sottolineato da Giancarlo Cesana: origine e appartenenza, niente cioè viene a galla se non come espressione di qualcosa che appartiene a ciò che esprime.
Inoltre è realmente impressionante quanto cambia questa notizia; questa osservazione cambia: fa crollare i muri che sono d’attorno alla nostra coscienza delle cose, perché sconquassa, squassa - da un certo punto di vista - la sicurezza della sensazione che abbiamo di noi stessi.
La risposta alla domanda sull’ “io” assume l’apertura misteriosa che è quella del rapporto fra io e popolo: io sono il mio popolo, da me nasce quello per cui e in cui sono diventato capace di collaborare col Mistero che fa tutte le cose. Quindi il Mistero diventa azione sulla terra, su di me.
La dimensione del popolo è all’origine stessa della nostra presa di posizione, o accettazione o riconoscimento di noi stessi.
Proprio perché l’origine coincide con lo svelarsi di un’appartenenza, origine e appartenenza sono proprio le misure dello spazio che le parole che si usano accennano a definire o a riempire. Un ebreo non avrebbe mai fatto obiezione su questo nei tempi antichi: uno era il popolo in cui era stato scelto.
Insomma, dobbiamo stare attenti all’inizio al sovvertimento di tutte le sicurezze nostre così come sono o come sarebbero nella nostra vita. L’io sorgente, l’io sorgente di considerazione di sé, delle reazioni che si hanno, che abbiamo verso le cose, sorgente di quello, oppure l’io come fatto di epopea. Nessuno può parlare della terra e del sole e di una stella senza pensare, senza definire con ciò, senza iniziare la definizione di tutto il cielo, di tutto il valore “astronomico” delle nostre osservazioni.
Che si cresca senza questo finale, è come crescere senza crescere; dico “finale”, perché è il punto in cui l’eterno si identificherà con l’avvenimento, anche come occhi, anche come cuore, come mente, come presa nostra.
L’io e il popolo: il resto lo direte voi.
Grazie di quel che siete.