Italia, Giappone e quel miracolo dell'87 che dura ancora oggi

Emilia Guarnieri

Al centro dell’iniziativa che prenderà il via il 27 ottobre a Tokyo, cinque giorni di dialogo culturale tra cristianesimo e buddismo, proprio nella giornata in cui in Italia si svolge la giornata di Assisi, c’è una delle amicizie più sorprendenti nate nella storia della nostra manifestazione. L’amicizia è quella con i monaci del monte Koya della scuola buddista Shingon. Fu un incontro nel 1987 fra Shodo Habukawa, monaco buddista, e don Luigi Giussani, fondatore del movimento di Comunione e Liberazione, la scintilla che spinse il reverendo Habukawa e i suoi allievi a partecipare per 13 volte dal 1988 al Meeting di Rimini.
Ripercorrendo i passi di questo rapporto mai interrotto, gli incontri avvenuti in questi anni, le cerimonie di accoglienza al loro arrivo a Rimini, lo scambio dei doni e i gesti pieni di intensità e significato, è con stupore che ci accorgiamo di quanto abbiamo scoperto di avere in comune con una cultura così diversa dalla nostra.
Innanzitutto la preoccupazione per una società sempre più malata di materialismo e laicismo. Preoccupazione per il pericolo di un mondo che elimina il senso del Mistero, riducendo la realtà solamente alla sua apparenza, fino a concepire l’uomo stesso come un essere puramente materiale. Il destino sembra essere quello di ritrovarsi tanto esperti nelle cose materiali quanto inesperti riguardo alla nostra coscienza e al nostro destino.
L’amicizia con i monaci è stata invece uno di quegli avvenimenti in cui ci si accorge che il cuore dell’uomo è lo stesso in ogni angolo della terra, che ha le stesse aspirazioni e desideri, che è mosso in ogni istante alla ricerca di qualcosa di infinito nelle cose terrene. La stessa ricerca per strade e percorsi diversi.
In secondo luogo la scoperta della preoccupazione educativa. Il fondatore della scuola Shingon Kobo Daishi disse che l’educazione è portare fuori la dignità che ogni uomo ha dentro il cuore. E la dignità sono i suoi desideri, le sue aspirazioni, quel presentimento di essere di più, qualcosa di unico e irripetibile alla ricerca di infinito. Questa preoccupazione educativa è il secondo elemento che da sempre ci ha legato ai monaci del monte Koya, perché questa emergenza è la più urgente, come dimostrano anche i recenti fatti in Italia.
Ma questi due elementi, la percezione di un disegno grande nella realtà e la preoccupazione educativa, sono il grande contributo che possiamo dare al mondo in cui ci troviamo, in particolare ai giovani di oggi.
Nella nostra cultura occidentale spesso si afferma che i giovani sono demotivati, insicuri, scettici e già delusi della vita. L’analisi è realistica, ma forse bisogna anche domandarsi se noi adulti siamo per loro reali maestri, se abbiamo il coraggio di porci di fronte a loro come una proposta autorevole e affascinante, se abbiamo comunicato loro un senso della vita.
A Tokyo e al monte Koya in questi giorni la sfida per tutti noi è questa: riaffermare che è possibile un senso della vita, ritrovare insieme la possibilità di costruire positivamente nella società. Un tentativo per mostrare come le religioni possano contribuire al mondo attraverso l’educazione dell’uomo alla sua vera dignità. Come ha detto Benedetto XVI nell’Angelus per la Giornata Mondiale della Pace in cui ha annunciato la giornata di Assisi: «Là dove si riconosce effettivamente la libertà religiosa, la dignità della persona umana è rispettata nella sua radice e, attraverso una sincera ricerca del vero e del bene, si consolida la coscienza morale e si rafforzano le stesse istituzioni e la convivenza civile. Per questo la libertà religiosa è via privilegiata per costruire la pace».
Trovare in questo cammino compagni di viaggio, uomini come Shodo Habukawa, è testimonianza di un ecumenismo reale e possibile, ad ogni angolo della terra.