L'errore e la strada verso la meta
FilosofiaIl concetto di “errore”. Da Parmenide ai pensatori odierni, passando
da sant’Agostino. Ne hanno parlato Esposito, Ponzio e Savini, docenti universitari.
Un contributo al titolo del Meeting
«Se il nostro progresso non consiste nel presumere di essere arrivati,
ma nel tendere continuamente alla meta, allora l’esperienza dell’errore è enigmaticamente,
drammaticamente parte del percorso». Costantino Esposito enuncia così il
senso del contributo che il suo “terzetto” di filosofi ha voluto
dare alla comprensione del titolo del Meeting. «Perché ci interessa
l’errore? - si chiede - Perché non si tratta solo di una inevitabile
défaillance, piuttosto di qualcosa che è in un inevitabile rapporto
con la Verità», che proprio attraverso gli inciampi della vita si
fa strada e si rivela. Due frasi e siamo già al cuore della questione
messa a tema dal Meeting: non un invito a lasciar perdere le pareti scoscese
della vetta, godendosi il piacere di andare a zonzo per l’esistenza, magari
riscaldati dal calore di una compagnia vivace. Il fatto è che la meta
del cammino e i sentieri interrotti, la Verità e gli errori, l’Essere
e il nostro nulla sono legati.
Amici dell’errore
«
L’errore è, in qualche modo, la prova dell’esistenza dell’io
- staremmo per dire», dichiara Esposito. Chiamando a testimone sant’Agostino,
che nel De civitate Dei già faceva notare: «Si fallor, sum».
Se mi sbaglio, vuol dire che esisto: colui che non esiste, nemmeno si potrebbe
ingannare.
L’epochè di Agostino potrebbe rivelarsi più chiara, più precisa
di quella di Cartesio, che si illudeva (con il suo “Cogito, ergo sum”)
che la prima percezione dell’io fosse quella che ci identifica con il pensiero
puro, che si dirige nudo alla meta. I cristiani, paradossalmente, sono più amici
dell’errore, dei meccanismi che s’inceppano, dei moralismi che tentennano:
sono un po’ meno presuntuosi.
I loro avversari, in campo filosofico, sono stati passati in rassegna dal quartetto,
attraversando i secoli al volo. Paolo Ponzio ha spiegato il più grande:
Parmenide. Per il genio di Elea l’errore è impossibile semplicemente
perché non c’è nessun cammino, nessun fine: l’Essere è,
immutabile, e tutto va dove deve andare. Come è noto, questa è forse
l’obiezione più frontale al cristianesimo.
Scettici e sofisti
Tutto sommato, sono meno pericolosi i sofisti e gli scettici, fra i quali, dopo
Gorgia e Sesto Empirico, militano a frotte i “pensatori” di oggi,
e soprattutto l’“uomo della strada”, quello che ritroviamo
in cattedra al Maurizio Costanzo Show: non esiste più nessuna certezza, «scompare
ogni criterio per giudicare la verità delle cose», e dunque ciascuno
si faccia gli affaracci suoi.
Destra e sinistra si toccano, fa notare Esposito. E introduce due “centristi” leggendari:
Platone e Aristotele. La sua squadra tifa smaccatamente per il primo, perché ascolta
le sue parole con le orecchie di Agostino. Esposito apre il Fedone, ma non gli
basta: passa al Contra academicos per spiegare quanto l’errore sia materia
d’affetti, d’inclinazioni e non di pura logica; sbagliamo con la
volontà, con tutta quanta la passione di cui siamo capaci, cioè pecchiamo,
come dice il Catechismo. Certo è che «l’errore evidenzia qualcosa:
che la Verità si può trovare» conclude. Anche Einstein, probabilmente,
sarebbe d’accordo. Gianni Vattimo no.