La densità dell'istante
AvventoL' inizio, prima che nel seme, è nella terra,
quando tutto è determinato dall'attesa e l'uomo non ha in mano niente,
neanche il seme da buttare dentro l'orto, e perciò è alla
mercé dell'onnipotenza del Mistero che fa tutte le cose. L'attesa
è il luogo di chi ha fame e sete, e stende la mano: attende, tende
a ciò che lo fa vivere, a ciò per cui potrà vivere.
Non c'è niente di più refrigerante ed equilibrante la coscienza
dell'uomo che l'accorgersi della sua povertà, del suo non possedere
nulla. Refrigerante ed equilibrante, perché è la verità,
semplicemente la verità. E l'uomo sta nel suo equilibrio e risente,
anche in mezzo ai peccati propri, la freschezza della vita solo se sta nella
verità, o, per usare un termine dissueto in questi tempi, se vive
l'umiltà.
L'inizio del nuovo anno liturgico è totalmente dominato dall'idea
della fine. Forse una preghiera dell'Avvento ambrosiano è la più
sinteticamente espressiva di quello che vorrei comunicare: Declinant
anni nostri et dies ad finem. Quia tempus est, corrigamus nos ad laudem Christi.
Lampades sint accensae, quia excelsus Iudex venit iudicare gentes.
Gli anni nostri se ne vanno, declinano verso la fine. Mentre abbiamo ancora
del tempo, corrigamus nos - parola difficile da tradurre nella sua
forza latina, letteralmente: correggiamoci. Correggiamoci per l'amore di
Cristo, reggiamoci insieme, sosteniamoci l'un l'altro; per l'amore di Cristo
sosteniamoci, perché la nostra vita sia gloria di Cristo. Le nostre
lampade siano accese: siamo vigilanti, non abbiamo a dormire, non siamo
distratti o smemorati, perché l'eccelso Giudice, il Giudice supremo
- excelsus Iudex - viene a giudicare gli uomini, a giudicare la società.
Dante dice che l'uomo deve seguire il proprio essere, e l'essere proprio
di un uomo è la ragione: coscienza di ciò a cui si va, cioè
lo scopo dell'azione. Il richiamo della liturgia, all'inizio dell'Avvento,
è semplicemente il richiamo ad essere ragionevoli, vale a dire coscienti
che in ogni inizio bisogna essere pieni della fine; cosicché sia
piena anche la coscienza dei propri passi.
Ecco il punto: l'inizio dev'essere gravido della fine, perché solo
così accende realmente un cammino, altrimenti non è neanche
un inizio, è niente. Bene, questo inizio si chiama "istante".
Questa è la parola che segna la sezione aurea del tempo, del tempo
del vivere: l'istante. Al di fuori di questo termine non esiste niente,
niente, vale a dire, esistono soltanto i padiglioni tumidi - direbbe Pascoli
in una sua poesia, Il Cieco - dei nostri risentimenti, dei nostri
ricordi aridi, infecondi, o dei nostri progetti inconsistenti, dei nostri
sogni, perché è nell'istante che tu sei, ed è nell'istante
che tu vivi, ed è nell'istante che le cose ci sono, per te. La ponderosità,
la forza creativa, la suggestività e l'attrattiva del vivere stanno
tutte quante pigiate nell'istante.
L'istante è come l'Avvento, poiché l'istante non è
ancora il compimento. E se è già compiuto, perché Cristo
è venuto, se l'istante porta nel suo grembo un "già",
anche in questo senso è ancora attesa del compimento, o meglio,
è attesa che si manifesti ciò che è già avvenuto,
e che esso porta nel suo grembo.
La parola più amica dell'istante, perciò, è la parola
"Avvento". E il sentimento che domina l'istante e lo fa diventare
ricco di pace, carico di vigilanza e produttivo, è proprio l'attesa.
Age quod agis - fa' quello che fai, fa' quello che stai facendo -
è la norma suprema dell'agire, non ve n'è di più inevitabile.
Ma questa è anche la formula dell'istante. Una vita d'uomo cristianamente
affrontata, una vita vissuta nella fede, è donazione dell'istante,
amore all'istante, riconoscimento della preziosità dell'istante.
Non sto parlando dell'istante vuoto o cronologico, ma dell'istante umano:
di te che lavi i piatti, o di te che stai accendendo l'auto che non parte
per il freddo, o di te che ti senti ribollire entrando a casa e vedendo
che tua moglie - o tuo marito - non ha fatto una certa cosa.
La prima coordinata di questa risultante che è l'istante è,
dunque, la coscienza della fine, cioè la coscienza del fine, perché
la fine è il fine. Il frutto del tempo, infatti, che cosa è?
Il compiersi dell'uomo, il realizzarsi dell'uomo, che cosa è? Il
frutto della vita è Cristo, perché tutto, tutto quello che
stai facendo, non ha che uno scopo: realizzare Cristo. Vale a dire, il Dio
dentro la realtà, il Dio attraverso la realtà: Dio, ciò
di cui tutta la realtà consiste e nella quale si rivela. «Tutto
è vostro, ma voi siete di Cristo» dice san Paolo: tutto ciò
che sei e fai appartiene a Cristo. La coscienza di questo, che è
memoria di Cristo, genera l'istante.
La seconda coordinata dell'istante è la circostanza, ciò di
cui è totalmente segnato, cosicché esso non è più
tuo, poiché è tutto determinato, compresa la grande circostanza
della tua libertà. Per vivere l'istante devi accoglierlo e abbracciarlo.
Abbracciare una cosa che non è tua, affinché sia la tua vita,
questa è obbedienza. Nell'istante l'uomo obbedisce a Dio, perciò
abbraccia ciò che attende come felicità sua. La stessa cosa
che l'istante attende, ciò che desidera, che ama, proprio questo
l'uomo deve obbedire: nell'istante l'uomo aderisce a ciò che avverrà.
Non esiste niente di più saggio, di più esaltante, di più
grande di questa norma suprema dell'ascesi, o del cammino dell'uomo verso
il suo Destino: il vivere l'istante con la coscienza del fine che è
Cristo. Tanto che un uomo, per essere se stesso, cioè degno del suo
Destino, degno di Dio, degno dell'eternità, non avrebbe bisogno di
nient'altro se non dell'istante. L'istante procura, merita, costruisce l'eterno,
perché è il punto d'arrivo di tutta la storia.
Come esercizio impariamo il valore dell'istante, utilizzando queste settimane
che ci separano dal Natale! Ma impariamolo anche nelle settimane successive,
perché il Natale è l'esempio supremo del valore assoluto dell'istante.