La moralità nel conoscere

Antologia
Luigi Giussani

Il senso religioso, Rizzoli, Milano 2001, pp. 41-42


Se la moralità sta nel definirsi di un atteggiamento giusto, è anch’essa determinata dall’oggetto in questione. Se uno deve insegnare e un altro è allo sportello di un ufficio postale, il primo deve essere morale nell’insegnare, il secondo nel riscuotere il denaro e far partire i versamenti su conto corrente: sono due dinamiche diverse. Anche la moralità ha una dinamica diversificata. Ora di quale applicazione della moralità trattiamo? Qui si tratta di un atteggiamento adeguato e giusto nella dinamica della conoscenza di un oggetto. Vogliamo descrivere in che consista la moralità per quanto riguarda la dinamica del conoscere.



Se questo oggetto non mi interessa, io lo lascio da parte, e tutt’al più mi accontento di una certa impressione che la coda dell’occhio, registrandolo, mi trasmette. Ma per fare attenzione a un oggetto sì da darne un giudizio, io debbo prenderlo in considerazione. Per prendere in considerazione un oggetto, insisto, debbo vivere un interesse per esso. Che cosa vuol dire un interesse per l’oggetto? Un desiderio di conoscere ciò che l’oggetto veramente è.



Sembra banale, ma non è così disinvoltamente praticabile, perché noi siamo troppo facilmente interessati a conservare e ad avallare le opinioni che già abbiamo sugli oggetti, specialmente su certi oggetti. Più precisamente noi siamo proclivi a rimanere legati alle opinioni che già abbiamo sui significati delle cose e a pretendere di documentare il nostro attaccamento.



Quando un ragazzo è innamorato di una ragazza, se la madre pur tentando di essere obiettiva e sincera gli fa notare qualche inconveniente, il ragazzo tende a non prenderla in considerazione, sfoderando con la madre questo o quello spunto che avalli l’opinione che lui della ragazza si è già fatto.



Nella applicazione al campo della conoscenza questa è la regola morale: l’amore alla verità dell’oggetto più di quanto si sia attaccati alle opinioni che già ci siamo fatti su di esso. Brachilogicamente si potrebbe dire: «Amare la verità più di se stessi».



Un esempio clamoroso: in un ambito mentale come quello creato dal potere, e dallo strumento supremo del potere che è la cultura dominante, proviamo a pensare che cosa ne sia riguardo a Dio, alla religiosità, o al cristianesimo dalla seconda metà dell’Ottocento in poi. Tutti cresciamo stipati di opinioni al riguardo, entrate quasi per osmosi o per violenza più aperta, imposte dall’ambiente: dover dare giudizi veri su questi problemi, che strappo impone, che faticosa libertà esige, per rompere l’attaccamento alle impressioni già riportate!



È un problema di moralità. Quanto più il valore è vitale, quanto più è per sua natura proposta alla vita, tanto più il problema non è di intelligenza ma di moralità, cioè di amore alla verità più che a se stessi. In concreto, è il desiderio sincero di conoscere l’oggetto in questione in modo vero più di quanto noi si sia abbarbicati a opinioni già fatte o inculcate.