«La sinistra è statalista, teme l’individuo»

Stefano Zurlo

Lo danno in avvicinamento al terzo polo andreottiano-dantoniano. Lui frena: «Non siamo la corrente di nessuno. Sbaglia chi ci identificava prima con Berlusconi, sbaglia chi ci identifica adesso con Andreotti». Di più, rispedisce con toni ruvidi la domanda al mittente: «Ritengo umilianti questi continui quesiti sullo schieramento, questo pressing per appiccicarci etichette e ridurci a pedine del gioco partitico». Lo si può anche leggere come un esercizio di acrobazia politica, ma Giorgio Vittadini non è uno che ama le manovre di palazzo e le trattative dietro le quinte. Anzi, il presidente della Compagnia delle opere prova a svincolarsi, a due mesi dalle elezioni, dalla logica del voto: «Prima del bipolarismo o del tripolarismo, mi interessano i contenuti, le esperienze, le persone».
Appunto.
«No, un attimo, i nostri sono contenuti assolutamente originali che riassumerei in tre punti. Primo: ciò che è pubblico non necessariamente dev’essere statale. Il privato può fare cose di pubblica utilità. Per questo, ed è il secondo passaggio, ben vengano le realtà che si impegnano in questo senso. Le public utilities, per dirla all’americana. Terzo, il cittadino dev’essere messo in condizione di poter aiutare tutte queste realtà che fanno crescere la società. Chi l’ha detto che l’unico modo per adempiere ai propri doveri sia quello di pagare le tasse?».
Che fa, incita all’evasione fiscale?
«No, dico che c’è la strada dei buoni, delle deduzioni, delle esenzioni, delle donazioni. Ci vuole flessibilità. Per fare la welfare society».
Che è l’opposto del welfare state.
«Infatti noi vogliamo svincolarci dall’abbraccio soffocante dello Stato. Vogliamo liberare le energie, vogliamo creare, senza dogmi, un sistema misto pubblico-privato, vogliamo aiutare le piccole imprese che vanno all’estero senza alcun supporto. Ben venga chi ci segue su questa strada».
Mettiamola così: chi vi ha aiutato finora?
«Purtroppo, e lo dico senza supponenza, pochi interlocutori. Questo centrosinistra, per esempio, ci ha deluso».
Quando?
«Le due riforme cardine, quella della sanità e quella della scuola, sono da bocciare. Sono ultimamente il frutto di una cultura cattocomunista che diffida delle persone, penalizza la creatività, vede tutto in funzione dello Stato. E guardi che noi abbiamo dialogato, fino a quando è stato possibile, con Berlinguer. Poi è stato lui a chiuderci la porta in faccia».
Se non vi schierate col centrosinistra, con chi state?
«Con chi considera il desiderio come motore della politica. È la lezione tenuta da don Giussani ad Assago nel 1987. Una lezione inascoltata allora, completamente dimenticata oggi».
Qualcosa si muove: l’Ulivo sta approvando il federalismo.
«Il vero federalismo è quello dei soldi. Anche la devolution, tanto cara a Formigoni, di per sé non significa niente. L’importante è dare alla gente la possibilità di costruire scuole, opere, pubblic utilities. Purtroppo siamo molto indietro in Italia e nessuno studia. Lo sa che nel nostro Paese non c’è nemmeno una cattedra di Economia dell’istruzione? Lo sa che nessuno sa valutare i parametri della qualità, per esempio di un ospedale? Quanto hai curato?, ecco una domanda che mi piace molto e che ai politici di professione non interessa».
Se l’Italia è indietro, la «responsabilità» è anche della Dc del suo maestro Andreotti.
«Andreotti ha sempre difeso la sussidiarietà».
E Berlusconi?
«Ha un sincero desiderio di costruire il bene comune».
Chi ha incontrato dei due ultimamente?
«L’uno e l’altro. Ma anche Ghigo, Storace, Fini e due diessini che stimo molto: Errani e Bersani».
Chi voterà Giorgio Vittadini?
«Dipende da chi troverò nel mio collegio».
Chi non voterà?
«I popolari che sognano un partito etico, quelli di Rifondazione e di area Cgil, la sinistra veltroniana, impasto nefasto di radicalismo e giustizialismo».