La vera sussidiarietà è anche fiscale

Inetrvento
Giorgio Vittadini

Esiste un filo rosso che collega i punti su cui costruire l’edificio di un nuovo Welfare, proprio nel momento in cui il vecchio Welfare State sta abdicando alla sua funzione di ammortizzatore dei contrasti sociali. Complessivamente si tratta di cinque punti. Il filo rosso del rinnovamento parte dal principio di sussidiarietà: dal riconoscimento giuridico di una antica tradizione italiana, quella che è riuscita, a livello sociale spontaneo, a creare enti privati in risposta a bisogni pubblici nei campi dell’assistenza, del lavoro, dell’istruzione e della sanità, per rimanere ad alcuni esempi. E la realtà di un “privato non statale”, del privato di pubblica utilità, rappresentato da una serie di attori che sono ancora oggi visibili agli occhi di tutto il mondo. Il secondo punto è la creazione di un sistema misto nel settore del Welfare, dei servizi alla persona di pubblica utilità. E perché questo sistema misto esista occorre che siano riconosciute giuridicamente vere e proprie realtà non profit, ben diverse da questi mostri giuridici chiamati Onlus. In tutto I’Occidente democratico, le realtà non profit non sono solo associazioni di volontariato, ma possono essere piccole, medie e grandi imprese che hanno patrimonio, reddito, che danno occupazione e che per statuto non distribuiscono utili ai promotori dell’impresa. Se consideriamo che le grandi università americane o i grandi ospedali sono organizzazioni non profit, in grado di vendere prodotti di formazione e ricerca attraverso i quali realizzano utili che poi reinvestono per fini sociali, noi ci troviamo di fronte a una nuova realtà agile, efficace, dinamica, in grado di svolgere la funzione di quello che viene chiamato pubblico non statale, di rispondere cioè a bisogni pubblici attraverso una struttura privata. Il mancato conoscimento del non profit riduce l’Italia a fanalino di coda delle società moderne nel campo del Welfare. Il terzo punto è costituito dalla libera scelta del cittadino nell’usufruire di servizi pubblici. Questa libertà può essere garantita solo in un sistema aperto di concorrenza, dove convivano agenti privati, agenti non profit, agenti statali. Sistema in cui il singolo consumatore sceglie l’agente ove soddisfare le sue esigenze, secondo le qualità o la consonanza ideale. Quarto punto è la sussidiarietà fiscale. Nel momento in cui si accetta l’idea che esiste una realtà di pubblico non statale, realtà che contribuisce al benessere collettivo, ne consegue il riconoscimento di un sistema alternativo rispetto alla tassazione tradizionale. Le persone devono dunque poter contribuire, in proporzione al loro reddito a finanziare strutture riconosciute per svolgere un ruolo di pubblica utilità. E' un punto cruciale, che ha numerose articolazioni nella sua applicazione: si può parlare di esenzione fiscale, di riduzione d’imposta, di buono. Tale sussidiarietà fiscale può essere estesa anche ad agenti privati non profit, nella misura in cui si permetta al cittadino di usufruire di servizi di qualità che sarebbe più costoso per lo stato costruire e gestire in proprio. Evidentemente questa sussidiarietà fiscale dovrebbe essere accompagnata dalla possibilità che investitori terzi, in un sistema non più rigido come l’attuale, possano integrare le spese sanitarie e assistenziali. Il quinto punto è quello che riguarda l’accreditamento e i controlli di qualità sui servizi che vengono erogati. Così come avviene negli Stati Uniti e in altri Paesi, occorre istituire anche in Italia sistemi di accreditamento e qualità. Ad esempio negli Stati Uniti esiste un ente per la sanità, la Joint Commission, cui partecipano accademici, operatori sanitari, società scientifiche che valutano le strutture in grado di soddisfare criteri qualitativi sufficienti e adeguati. E' comprensibile che una simile riforma del Welfare ponga domande. La prima è in che modo la sussidiarietà fiscale non appesantisca i conti dello Stato. Il secondo tema è la mobilità. Si pensi al sistema scolastico italiano, con un milione e duecentomila dipendenti (azienda più grande del Pentagono). Che cosa vuol dire una vera mobilità nella scuola? La scuola italiana è al 6% privata e al 94% statale, mentre la media negli altri Paesi occidentali è del 30 per cento. Si pensi che cosa vuol dire arrivare alla parità di fondo. E' una mobilità che deve essere monitorata, perché altrimenti darebbe vita a una turbolenza sociale e a una disomogeneità grave. Il terzo tema è quello della devolution. Qui occorre ricordare che il problema non è di appesantire le competenze amministrative regionali che, a malapena, fanno già quello che possono fare, ma piuttosto creare delle leggi quadro tali per cui i tentativi a livello territoriale abbiano un “polmone” alle spalle su cui possano svilupparsi. Pur tuttavia, nella progressività che l’entità dei problemi richiede, questa rifor-ma è l’unica reale fase di democrazia.