“Mandati” dal Padre, per la gloria umana di Gesù

Vita di Cl
Luigi Giussani

La testimonianza in occasione del Giubileo dei sacerdoti. Roma, 14-18 maggio. L’appartenenza a Cristo risorto, “centro del cosmo e della storia”, come scrisse Giovanni Paolo II nella sua prima indimenticabile enciclica, definisce tutto l’intendimento della nostra educazione. Così ogni gesto in noi nasce come risposta all’avvenimento di Gesù di Nazareth e come desiderio di partecipare allo scopo per cui Egli è entrato nel tempo e nello spazio del mondo.
Se a una persona qualsiasi, al tempo dei Vangeli, fosse stato chiesto: «Hai sentito parlare di Gesù?» e questi, poi, incontrandoLo per le strade polverose della Palestina, gli avesse rivolto questa domanda: «Ma tu che nome hai, come ti chiami?», Gesù avrebbe potuto rispondere: «Io sono il mandato (missus) dal Padre». Queste parole definiscono la natura nuova della nostra esistenza che l’incontro con Cristo ha generato.
Siamo stati chiamati a essere come Lui i “mandati dal Padre”. Per quale scopo? «Venga il tuo Regno, sia fatta la tua volontà» recitiamo nel Padre nostro: il Suo regno è la gloria umana di Cristo nel mondo, per cui «Padre, è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio tuo glorifichi te» (Gv 17,1).
La gloria di Gesù, come scopo del disegno del Padre, appartiene a questo mondo, al tempo e allo spazio; è una questione di storia. Come mi diceva padre Motta, quando ero in quinta ginnasio nel Seminario di Venegono: «Se tu non offri questa ora di studio a Dio per Gesù, la gloria di Gesù diminuisce nel mondo».
Ora, ci sono due termini che indicano con precisione la potenza divina che è in questo Mistero del Padre: i Sacramenti e l’Autorità. Tutta la forza nostra, infatti, non viene da risorse umane, ma da quella che il Catechismo, con una parola umilissima, popolarissima, materna, paterna, fraterna, chiama “Grazia”. Quella che il popolo cristiano in ogni epoca, ma specialmente in momenti terribili, va a chiedere nei santuari dedicati alla Madonna: Mater Christi, Madre dell’uomo nuovo. La Grazia è forza di vittoria, non elimina la battaglia, ma è sorgente ultima di pace. Come dice la Bibbia: «La nostra forza è la gioia di Dio», e questo qualifica la nostra azione nel mondo come cammino a una vittoria, sicurezza e pace nella certezza della vittoria. Si chiama speranza, Spe erecti, In spem contra spem (Rm 4,18).
È poggiando i piedi su questa pietra che siamo chiamati e mandati a percorrere la strada nella speranza, a vantaggio dei fratelli uomini che incontreremo.
1) I Sacramenti sono un gesto umano - il mangiare e il bere, un semplice pasto - trasformato per l’energia dello Spirito, che realizza un’efficacia di compimento e quindi diventa sorgente di pace e di gioia. Il Sacramento indica il metodo con cui il cristiano è presente nella lotta del mondo: sempre vivendo la comunione con Cristo, essendo il Sacramento la grande pietra su cui il piede del camminatore poggia con sicurezza, con speranza.
2) In questa fede nel Mistero la luce è data dalla parola dell’Autorità, oggettivamente compresa; dall’Autorità come eco della parola degli apostoli, passaggio della Tradizione nel proprio corpo e nella propria anima, passaggio sicuro, perché poggia i piedi sulla roccia di Pietro. Perciò l’autorità è tale in quanto è unita a Pietro. Non c’è alcun altro criterio per noi che l’unità col Papa! Ogni altro criterio sarebbe soggettivismo, personalismo.
Alla sorgente della “pietra di Pietro” la grande Presenza del Dio con noi definisce sempre più il nostro io. Perciò si desidera che in ciascuno di noi si avveri quello che san Paolo dice di Cristo: «Fatto obbediente fino alla morte» (Fil 2,8). Fatti obbedienti alla parola del Papa e alla Tradizione, fino alla morte, cioè fino a potere essere distrutti ed eliminati; non solo non riconosciuti dal mondo, ma distrutti ed eliminati con odio dal tempo presente, come è accaduto a padre Kolbe nel lager di Auschwitz.
Noi siamo uomini chiamati a portare nel mondo la religiosità vera, autentica. Altrimenti saremmo sale scipito, degno di essere calpestato. Per questo mendichiamo di essere, come Cristo, imitatori del Padre, nella misericordia. Noi che nella comunità amministriamo i Sacramenti, comunichiamo la natura sacramentale dell’avvenimento cristiano: l’Invisibile si vede in un segno. È questo che ci rende affascinati dal Mistero della Comunione. E questo incomincia nella nostra persona, che è realmente - anche se indegnamente - comunione con Cristo. Noi non possiamo capire o fare capire a chi ci segue la Comunione - segno tra noi del Mistero presente nel mondo, segno del grande segno che è la Chiesa -, se non partiamo dalla percezione della Comunione come definizione della nostra personalità vera.
Il sacerdozio esprime nelle ultime conseguenze quello che è il Battesimo, il grande avvenimento che rigenera la storia e l’esistenza personale. Se vivremo questo, avremo l’avvedutezza e la sensibilità per portare le nostre comunità a questa esperienza di immedesimazione con Gesù. Ma per potere fare penetrare nella nostra gente questo vero inizio del problema cristiano - «il mio giusto vive di fede» - dobbiamo prima sentirlo noi mordere la carne della nostra umanità. Allora, quasi senza che ce ne rendiamo conto, saremo testimoni del Risorto, come piccoli bambini che balbettano parole umane alla scuola segnata così potentemente dal Santo Padre.

di Luigi Giussani
(Il testo è stato pubblicato anche su L’Osservatore Romano del 19 maggio)