Memores Domini

È il nome di una nuova “associazione” approvata dalla Santa Sede. Scopo: vivere la memoria di Cristo nel mondo del lavoro. Laici, praticano la povertà, la castità e l’obbedienza. A colloquio con monsignor Luigi Giussani (da 30Giorni, 5/1989)
Lucio Brunelli e Gianni Cardinale

Mettono in comune i beni, praticano la castità e vivono l'obbedienza, ma non indossano abiti religiosi né emettono voti. Dedicano almeno un paio d'ore della loro giornata alla preghiera e alla contemplazione ma sono "totalmente immersi nel mondo" e si guadagnano da vivere con il proprio lavoro, come tutti. Non è stato facile trovare una collocazione canonica, nella Chiesa, per questi monaci laici dell'anno duemila che si fanno chiamare "Memores Domini", quelli che vivono la memoria del Signore. Nascono nel 1964 ma solo nel 1981 sono riconosciuti come "Pia associazione laicale" dal vescovo di Piacenza, monsignor Enrico Manfredini. Sette anni dopo, l'8 dicembre 1988, è la Santa Sede che li approva e riconosce loro personalità giuridica come "Associazione ecclesiale privata universale".
Nel frattempo sono cresciuti: parecchie centinaia di membri, uomini e donne (con lieve predominanza del gentil sesso), e case anche in Europa, Africa e America latina. Presidente della Memores Domini ("vita natural durante" come recita lo statuto dell'associazione) è monsignor Luigi Giussani. Per la prima volta, in questa intervista, accetta di raccontare la storia e il senso di questa nuova esperienza di vita cristiana nata nel grembo stesso di Comunione e Liberazione.

Come e quando nacque l'idea dei Memores Domini?
Molto tempo fa, all’inizio degli anni 60, alcuni ragazzi di Gioventù studentesca (il movimento solo più tardi prenderà il nome di Comunione e liberazione) hanno insistito perché fossero seguiti nel vivere una dedizione a Dio dentro il mondo. La proposta mi trovò ammirato ma non immediatamente compiacente. Tanto che, all'inizio, partecipai non molto appassionatamente ai loro ritrovi quindicinali di preghiera, e solo dopo un periodo di due o tre anni con evidenza mi sono accorto che quella poteva essere una provocazione ad una realizzazione particolare, ma significativa, della esperienza cristiana da noi iniziata anni addietro. Allora ho protetto la decisione di alcuni di questi giovani di adattare come loro casa, loro centro logistico, un cascinale nella estrema periferia di Milano, che a distanza di tanti anni, debitamente riadattato, funge ancora da casa madre per l'attuale Memores Domini. La mia incertezza, allora, si manifestava anche nella denominazione abbastanza generica, "Gruppo adulto", che abbiamo usato al nostro interno fino agli anni 80, per indicare i nuclei che lentamente si andavano moltiplicando.

Perché questa incertezza?
Non nasceva da me l'idea di questa forma di dedizione: ho obbedito a delle circostanze che veicolavano una proposta rivoltami dai giovani stessi. E poi c'era il terrore di una ulteriore e ben più grave responsabilità.

E che cosa significa per lei, oggi, l'approvazione pontificia di questa associazione?
È un respiro di sicurezza di cui siamo grati al Sommo Pontefice perché l'approvazione non è soltanto un appoggio al nostro tentativo ma più profondamente essa riconduce ciò che noi siamo e vogliamo nella grande obbedienza al mistero della Chiesa.

Quali sono le regole fondamentali di vita a cui un membro dell'associazione deve prestare ubbidienza?
Sono sintetizzabili nelle categorie in cui, tradizionalmente, la Chiesa riassume l'imitazione di Cristo. L'obbedienza, nel senso che lo sforzo spirituale, la vita ascetica, sono facilitate e autenticate da una sequela. La povertà, come distacco da un possesso individuale del denaro e delle cose. La verginità, come rinuncia alla famiglia per una dedizione anche formalmente più totale a Cristo.

Nello statuto si legge che ai membri della Memores Domini è chiesto di vivere in case dove si pratica la comunione dei beni e si osservano ritmi precisi di meditazione e preghiera...
Sì, i Memores Domini hanno tendenzialmente l'indicazione a vivere insieme in "case", in una compagnia determinata da tre a dieci-dodici persone. La compagnia cui il Signore chiama dando la stessa vocazione costituisce come un segno sacramentale, in senso evidentemente analogico, dove la presenza di Cristo e la dedizione ad essa si attua in modo da essere richiamata ogni giorno ed ogni momento, come primo ambito dove si impari a vivere la fede, ad affrontare e plasmare, secondo il vissuto amore a Cristo, la realtà del mondo. È quindi il luogo prioritario da cui tutto il lavoro, che definisce la vita intera dell'uomo, deve trarre la sua forma esemplare. Quando i membri della Memores Domini entrano nella loro casa sono invitati a prendere coscienza del perché sono tra quelle mura, della stessa disposizione delle suppellettili nella casa, della modalità del tempo passato in casa. È impressionante la percezione di quel piccolo bozzetto di mondo come la grande stanza dell'umanità di Cristo, la grande casa dell'umanità in Cristo. Si capisce allora perché è molto importante nella vita delle case dei Memores Domini l'insistenza sul silenzio. C'è in ognuna di esse l'obbligo del silenzio totale per un'ora al giorno in cui ognuno si mette di fronte a Cristo, e tale silenzio profondo viene richiesto anche dopo la recita della compieta, la sera. Proprio la coscienza della casa come inizio della modalità con cui tutti gli uomini vivranno il mondo al manifestarsi di Cristo, come primo luogo della offerta della propria esistenza per anticipare il più possibile questo, esige una vigilanza che soltanto una tensione continua al silenzio può favorire. Questo clima di silenzio fisico viene perseguito tutta la giornata, anche se non evita ovviamente la parola necessaria, la quale deve essere detta con la consapevolezza dell'ambiente in cui si è, col rispetto quindi del raccoglimento altrui.
Esso viene sospeso quando ci si siede intorno alla tavola per consumare i pasti. I membri della Memores Domini accettano anche di mettere in comune gli stipendi e i beni di cui dispongono. Quello che eccede, rispetto alle necessità di ogni singola casa, viene devoluto al fondo comune dei "Memores" per essere utilizzato in opere di carità e missione, o per le necessità generali.

È vero che nelle case dell'associazione è proibito tenere la televisione?
Non è una proibizione: è un consiglio che, laddove venga disatteso senza stretta necessità, viene ribadito con una certa energia. Anche la televisione è come la bocca, la lingua: si può governare, si può usare con ragionevolezza. Ma, prima di tutto la televisione rende molto difficile essa stessa, per i suoi contenuti abituali, la ragionevolezza del guardarla, e in secondo luogo questo consiglio è un aiuto a salvarci dalla vanità di una curiosità. Perciò più che l'assenza della televisione, che di per sé, comunque, è già una salvaguardia sana, vale il richiamo alla ragionevolezza dell'uso del tempo.

Sono ammesse eccezioni all'obbligo di risiedere in una casa dei Memores Domini?
Sì, quando sussistono seri motivi o familiari o personali. In questo caso i membri dell'associazione partecipano ad alcuni momenti importanti della vita della "casa" mentre economicamente è ovvio che rimangano innanzitutto corresponsabili della vita dei loro familiari.

Competenze vaticane a parte, cosa distingue l'associazione Memores Domini da una congregazione religiosa o anche dagli istituti secolari?
L'associazione Memores Domini non implica l'esplicitazione, nei classici "voti", della prospettiva di vita in cui ci si impegna. E questo non per una sorta di reticenza, ma perché a noi sembra che il battesimo e la cresima possano essere sufficienti per fondare una dedizione totale a Cristo e alla Chiesa; senza dover ricorrere alla caratteristica formale della vita religiosa che si esprime, appunto, nei voti. La mia immagine è quella di un laico che liberamente vive una esistenza totalmente immersa nel mondo con una totale responsabilità personale. Ad esempio se è imprenditore è totalmente padrone e corresponsabile con altri eventuali soci della sua impresa. Non è la pretesa di una maggiore libertà, ma un documento di stima e di fiducia totale nella responsabilità personale del laico cristiano. C'è un momento, comunque, nel cammino della Memores Domini, in cui l'impegno vocazionale viene assunto davanti a tutta la comunità come impegno permanente. Tale momento è sempre stato inteso come un'assunzione di responsabilità di fronte a tutto il mistero della Chiesa.

Questa determinazione a salvaguardare il carattere laicale della sua opera, immaginando forme nuove di vita monastica per i tempi nuovi, vuol dire anche che ritiene esaurita, storicamente, la funzione delle tradizionali forme di vita religiosa?
Io penso che le realtà associative determinate totalmente dalla fede sono vive nella misura in cui rispondono ai "segni dei tempi", come direbbe Giovanni XXIII. Ora, è un segno dei tempi che oggi Dio e Cristo (e tendenzialmente la concezione della realtà della Chiesa) non sono negati ma relegati, nel migliore dei casi, a lato della vita, fuori della vita con la sua trama di bisogni concreti. Occorre quindi che Cristo venga testimoniato dentro la realtà mondana, nella sua dinamica quotidiana, nel lavoro. Perché il lavoro è il fenomeno espressivo dell'attaccamento alla vita da parte dell'uomo, l'attività che concretizza l'immagine della sua realizzazione. È dentro la condizione del lavoro così concepito, col suo significato totalizzante, che la testimonianza a Cristo deve essere resa. E questo è esattamente lo scopo dei Memores Domini: quelli che vivono la memoria del Signore nel lavoro. Proprio nel cuore di un mondo in cui la deificazione del lavoro va di pari passo con la diffusione di una religione edonista, la testimonianza di un gusto più potente, di una letizia indistruttibile, di un nuovo senso della bellezza, di una vera intensità affettiva e amorosa, diviene tanto più sorprendente quanto più la intollerante o inevitabile pianificazione che lo Stato fa dei sentimenti, fino a quelli più comuni, trova altrettanto inevitabili pause imposte dal dolore, dalla delusione e da improvvisi silenzi generati dalla noia o da un "incomprensibile" vuoto.
Congregazioni e ordini religiosi, come di fatto alcuni esempi già fanno vedere, debbono flettersi in questa incarnazione di testimonianza anche quando la testimonianza è resa innanzi agli angeli di Dio: nei silenzi di una clausura o nelle strette di una regola conventuale. Operando, nei limiti del possibile e secondo le regole di ciascun ordine, una rinascita delle loro origini, che erano e debbono ridiventare immanenti alla vita del popolo.

Talvolta, proprio in nome di una presunta immanenza al popolo, alcune comunità religiose intraprendono oggi la via dell'attivismo socio-politico, diventando il fiore all'occhiello di partiti e correnti culturali tradizionalmente ostili alla Chiesa...
Non corrisponde certo all'esigenza di incarnazione cui accennavo la dissoluzione dell'origine da cui ordini e congregazioni nascono. Più ancora la menzogna sarebbe compiuta se si riducesse l'immanenza al mondo ad una identificazione con esso, assumendo come criterio decisivo per l'intendimento della propria vita religiosa criteri e moduli della cultura mondana, e quindi concessioni a pratiche la cui forma e la cui sorgente non sia Cristo nella Chiesa. In questo caso la propria fede invece di giudicare il mondo, verrebbe dal mondo giudicata. E surrettiziamente, ma non tanto, ci si separerebbe dalla propria definizione religiosa e dal dinamismo che essa implica.

L'Associazione ecclesiale Memores Domini - come recita l'articolo 1 dello statuto - ha carattere "privato" e non "pubblico". Non coinvolge quindi, nel suo agire concreto, la responsabilità della Chiesa in quanto tale. C'è un significato particolare in questa scelta?
Questa esperienza, come d'altra parte quella di Comunione e liberazione che l'ha generata, vuole essere totalmente immanente alla vita ordinaria della Chiesa. Se necessita di una organizzazione è solo per salvaguardare una solidarietà di aiuto al difficile compito della testimonianza cristiana e per alimentare continuamente lo spirito da cui questo impegno trae origine. Così è come se mi augurassi che i membri della Memores Domini non fossero segnalati neanche come "associazione" nella Chiesa. Che notevoli e notabili, insomma, siano le persone con l'esempio che danno, non in quanto membri di una entità nuova nella Chiesa. In questo senso ho accettato la formula della privatezza.

Dopo il permissivismo dissacrante degli anni 70 oggi - nell'epoca dell'Aids - perfino in campo laicista c'è chi elenca "buone ragioni" per vivere castamente. D'altra parte anche il mondo religioso pagano ha conosciuto e praticato l'ideale della verginità, pensiamo alla "castità di stato" delle vestali romane o alla condanna del matrimonio da parte degli gnostici del II secolo. In cosa si differenzia, secondo lei, la castità cristiana da tutto ciò? Forse nel fatto che il consacrato vive la stessa rinuncia ma per uno scopo diverso: il servizio agli altri?
La differenza è quella stessa del cristiano rispetto al pagano: l'amore a Cristo, il riconoscimento della sua presenza e lo stupore grato per il suo permanere nella storia. Una disponibilità maggiore al servizio dei propri fratelli è, e deve essere, una conseguenza normale per chi non è costretto a sacrificare le sue energie fisiche ed affettive per fare una famiglia ed educare dei figli. Non è però questo, assolutamente, il motivo della verginità cristiana. Anche un militante rivoluzionario potrebbe imporsi la rinunzia alla famiglia per una dedizione totale alla propria causa politica. Il motivo è innanzitutto il fatto che Cristo abbia chiamato alcuni dei suoi a questa forma di vita. Si scopre così che se tale è stata la forma di vita di Cristo essa non poteva implicare una qualche mutilazione dell'umano o una diminuita realizzazione del valore affettivo.
Allora incuriositi, per così dire, o richiamati da questa considerazione ci si domanda quale fosse la forza d'amore con cui Cristo guardava gli uomini e le donne che incontrava. Simone, Giovanni, Zaccheo, la Maddalena... era come un rapporto che trapassava tutto e scendeva, abbracciando tutta l'umanità della persona, al destino per cui ognuno di loro era stato creato.
Non c'è amore più grande di questo amore al destino della persona, per cui per l'amico si può dare realmente la vita, come dice Gesù. Da questo punto di vista anche un padre e una madre, se in qualche modo non vivono la profondità di questo sguardo ai figli, è come se li amassero di meno. La profondità di questo sguardo implica, paradossalmente, un distacco. Ma esistenzialmente proprio questo distacco rende possibile un abbraccio umano ancora più profondo. Da questo punto di vista la verginità è un ideale per tutti, anche per coloro che non la scelgono come stato di vita. Chi la vive come stato di vita è come un indice puntato, nella comunità, per dire a tutti: ricordiamoci chi siamo. Per questo uno degli aspetti dell'avvenimento cristiano certamente suggestivo come pochi altri è immedesimarsi nel rapporto che Giuseppe ebbe con Maria. L'affezione verginale non elude, d'altra parte, nessuna delle caratteristiche dell'amore umano. Invera le preferenze come redime le antipatie.

Ciò che lei dice non corrisponde all'idea comune che si ha della verginità cristiana, come di un'amputazione (eroica o paranoica a seconda dei punti di vista) dell'amore umano o di un distacco mistico dalla irredimibile "carne", al modo dei monaci orientali...
Sono stato in Giappone e ho dialogato a lungo con dei monaci buddisti. Non sono un esperto di religioni asiatiche ma la mia impressione è che nella mistica orientale la verginità sia un suggerimento conseguente al pessimismo sulla materia, alla percezione dell'individualità come limite alla totalità e quindi come origine del male. Il bene è il tutto, il male è il particolare.
La procreazione, ineludibile scopo del rapporto naturale fra l'uomo e la donna, è una continua generazione di quel particolare umano in cui il male diventa dolore.
Comunque di questo aspetto supremo della verità della persona che il cristianesimo ha generato e portato alla luce c'è traccia in ogni esperienza umana. Tracce di nostalgia di una purità ultima, ineliminabile, che però storicamente, fuori del cristianesimo, finisce spesso con l'esprimersi in forme moralistiche o pessimistiche o violente.

Non pare che nel movimento di Comunione e liberazione i giovani siano oggetto di martellanti richiami alle norme dell'etica sessuale cattolica, né si lanciano campagne speciali per promuovere le vocazioni. Ciò nonostante continuano a fiorire vocazioni al sacerdozio, alla vita religiosa e alla verginità laicale, anche in giovani normalissimi e di per sé poco propensi, come i loro coetanei, a compiere sacrifici immotivati, in questo come in altri ambiti della vita umana. Come spiega questo paradosso?
È verissimo, c'è questo apparente paradosso. Ma vorrei dire che l'aspetto sottolineato in Cl che più ottiene l'esito da lei accennato è - per usare le parole che ci ha rivolto Giovanni Paolo II - proprio il fatto che noi crediamo in Cristo morto e risorto, "presente qui ed ora". Una presenza attuale, che si documenta e rivela nell'aspetto sia pur contingente della vita della Chiesa. Indubbiamente il giovane, e anche chi non è più giovane, ha bisogno di essere continuamente introdotto alla conseguenza morale, nel suo vivere concreto, della luce grande e pacificante della fede. Questo richiamo rappresenta il contenuto di una educazione che vien data dentro una compagnia. La luce della fede in Cristo rende molto più ragionevoli le motivazioni delle singole leggi in cui l'impeto morale, cioè l'impeto verso il destino, si deve tradurre. E quindi in un certo senso apre ad una facilità che non evita certo il dolore e il sacrificio, ma persuade ad abbracciarli e, quando si è sbagliato, a riprendere il camino in un modo più facile.
L'ideale, l'impeto verso il destino che definisce la morale, non può evitare l'esperienza della fatica fino al sacrificio, e fino anche al grande sacrificio. Ma quando questo sacrificio è vissuto nella memoria di Cristo resa abituale, diventa più ragionevole e porta con sé addirittura una vena di letizia. Ecco perché noi citiamo sempre quel brano de L'annuncio a Maria di Paul Claudel che dice: «La pace in parti uguali di dolore e di gioia è fatta». Nella prospettiva accennata i sacrifici della vita morale sono compiuti più facilmente, in pace.

Scopo della Memores Domini è vivere la memoria cristiana nel mondo del lavoro. Tradizionalmente il mondo cattolico quando parla della testimonianza cristiana negli ambienti di lavoro ne enfatizza gli aspetti morali: l'onestà, la serietà e la competenza professionale, l'altruismo del singolo lavoratore cristiano. A lei quale immagine di testimonianza viene in mente per prima quando pensa alla presenza cristiana nel mondo del lavoro?
Condivido perfettamente le esigenze accennate nella domanda, ma noi siamo più preoccupati di stabilire, per così dire, l'assetto della persona, che permette poi di tradursi in una testimonianza senza moralismi e con coerente umanità. E l'origine di ciò è la coscienza più attuale possibile, e quindi resa abituale, della presenza di Cristo e della destinazione di tutto il reale alla Sua gloria. In particolare occorre aver vivida la coscienza del contenuto della propria personalità come appartenenza a Cristo, perché essa lasci un'impronta diversa sulle cose e nell'ambiente; e quindi operi creativamente una forma di rapporti con gli altri compagni di lavoro, occupi con intensità piena di durata il tempo e riempia di bellezza razionale il rapporto con le cose nello spazio. Infatti il segno più rivelativo di questa posizione è una vibrazione di letizia, che non nasce da un diminuito senso di responsabilità ma si origina proprio nella coscienza della presenza di Cristo che è risorto dai morti ed è asceso al Cielo. E che perciò è già alla radice di tutta la realtà, anche della realtà che si ha sottomano, e già la redime, la rende partecipe dell'eterno vero. Una vena di letizia che, nascendo da questa coscienza, fa sentir di più il dolore sia pur provvisorio del peso delle cose e soprattutto dell'estraneità dell'uomo con i suoi fratelli e con gli oggetti stessi del suo lavoro. Ma è una letizia senza irresponsabilità, come si legge nel Miguel Mañara di Milosz: «Non ti stupire della mia letizia, non dimentico alcuno dei miei doveri».

Il fronte dei vaticanisti è diviso tra chi afferma che lei si sarebbe ispirato al pensiero del fondatore dell'Opus Dei e chi sottolinea invece gli elementi di diversità. Chi è più vicino al vero?
Quando è nato il gruppo dei Memores Domini non sapevo ancora cosa fosse l'Opus Dei, una associazione che mi edifica molto per la sua affermazione chiara della verità cristiana e per il suo capillare sforzo di formazione delle persone. Ma di queste cose non ho mai parlato con loro, anche se ritengo che molte delle considerazioni fin qui fatte siano tranquillamente riconosciute e condivise dai membri dell'Opus Dei. Forse alcune delle singole affermazioni avrebbero bisogno di maggiore chiarezza, e sarei lieto se mi aiutassero a realizzarla, mentre su altre possono esserci punti di vista diversi che caratterizzano la diversità dei carismi.

All'interno e all'esterno di Cl c'è segretezza circa i membri della Memores Domini?
Non c'è alcun segreto per l'appartenenza alla Memores Domini, come non c'è alcuna propaganda. Una certa riservatezza mi sembra un'esigenza del tutto naturale e comprensibile. Spero che i membri di questo gruppo siano riconosciuti dalla gente che hanno attorno per la testimonianza che danno e non per l'affiliazione ad un'associazione.

Parlando di analogie e differenze con l'Opus Dei non si può non chiederle se ci siano cilici o altri strumenti di mortificazione corporale nelle case dei Memores Domini...
Uno potrebbe anche averli nella propria stanza, perché, nei limiti del possibile, si insiste affinché ciascuno abbia una propria camera, una propria "cella", e che essa non venga mai violata se non per un motivo adeguatamente grave. Per cui uno dei Memores Domini in camera sua potrebbe avere anche un cilicio. Io non ce l'ho... ma prego umilmente Dio che ciò non significhi una minor volontà di mortificazione.

È vero che, programmaticamente, i capi delle comunità e delle opere più importanti di Cl sono scelti tra i membri di questa associazione?
No, assolutamente. Von Balthasar più volte mi ha suggerito che il movimento di Cl fosse condotto e diretto dai Memores Domini ma io ho sempre replicato, anche a lui stesso, che non riuscivo a capirne la necessità. È ovvio che proprio perché devono vivere la Chiesa secondo la storia vocazionale che Dio ha dato loro, vivono anche l'esperienza del movimento. Sono perciò sempre sollecitati, perché sempre bisogna sollecitare alla coerenza di una posizione, a dare generosamente le proprie energie per le forme istituzionali della Chiesa come per le varie forme di vita del movimento.

Quanto dice mi fa ricordare una frase appuntata ad una recente assemblea di Comunione e Liberazione a Roma: «Non è affatto detto che chi abbia una particolare propensione religiosa sia facilitato a incontrare Cristo». Una frase che potrebbe apparire "eretica" alla mentalità odierna. Non le pare?
Non trovo proprio niente di "eretico" in questa affermazione, perché la propensione religiosa può anche operare in modo tale che uno sia attaccato a formule immaginate da lui o a identificazioni per esempio moralistiche. Al tempo di Gesù i farisei avevano certamente una spiccata propensione religiosa e questo non favorì affatto l'accettazione da parte loro del Messia... Infatti l'accettazione di Cristo esige una dimenticanza di sé che è implicata esclusivamente nello stupore di un riconoscimento. Nell'istante che uno riconosce una tale presenza è come un bambino che guardi suo padre e sua madre: il primo istante è, nel tendere le braccia, una dimenticanza di sé, in cui si realizza però il vero amore a se stesso. Occorre poi, naturalmente, che questa purità originaria venga mantenuta, contrastando continuamente la caduta nell'impero delle proprie reazioni, nell'impero dell'apparentemente ovvio.

Lei ha sempre rifiutato per sé la definizione di fondatore. Una volta l'ho sentita confessare che non era sua intenzione dare vita ad un nuovo movimento cattolico. Un osservatore estraneo a Cl potrebbe dedurre da queste sue parole una sorta di pentimento o comunque di delusione circa gli esiti organizzativi dell'esperienza da lei cominciata. Come stanno le cose?
Uno non può immaginare e quindi pretendere una grazia. In questo senso non accetto la definizione di "fondatore". Il movimento per me è una grande grazia e i Memores Domini sono il momento più acuto di questa grazia. Il pentimento semmai è la coscienza continuamente rinnovata della mia inadeguatezza anche nel dolore per l'inadeguatezza altrui a ciò che ci è stato dato; non è affatto una delusione ma caso mai la tentazione o quantomeno il desiderio comprensibile di scaricarsi di una responsabilità grande davanti a Dio. Comunque è come un padre e una madre che hanno dato la vita ad un figlio: rimangono padre e madre per tutta la vita, e non c'è nessun divorzio possibile dalla carne del figlio. Per questo è impressionante dal punto di vista antropologico e morale che Cristo abbia dato la stessa ragione sia per l'indissolubilità del matrimonio sia per la verginità, cioè "per il Regno dei Cieli". È impressionante che la fatica da attraversare per la fecondità della verginità trovi il suo parallelo nella fatica dell'indissolubilità: in questo senso la prima è come una compagnia incoraggiante alla seconda. Chi guarda bene in faccia al matrimonio cristiano non solo non si meraviglia della verginità ma rende grazie a Dio che abbia dato questa grazia all'umanità, perché è come un sollievo e un conforto, profezia e anticipazione della redenzione pienamente attuata della fatica dell'oggi.

Negli ambienti cattolici, anche in quelli che si dicono vicini a Comunione e Liberazione, si sentono sempre più spesso osservazioni come questa: «Come sarebbe bello questo movimento se la sua anima religiosa non venisse contaminata dall'azione di quei suoi membri che si lanciano in opere economiche o in battaglie politiche e giornalistiche inevitabilmente parziali e controverse». È sensibile, e in che senso, a questo tipo di richiami?
Mi sento ipersensibile a questo tipo di richiami come mi sento ipersensibile ad ogni astrattezza. Ma il disagio diventa più grave se l'astrattezza è operata da gente che ha la fede cristiana, perché è proprio il riconoscimento della presenza di Cristo e l'amore a Cristo (che erigono l'uomo nella speranza: spe erectus dice S. Paolo), che obbligano il cristiano ad incontrare e a rispondere, senza nulla evitare, senza schifarsi di nulla, la folla di condizionamenti attraverso cui Cristo stesso lo chiama. Cristo chiama l'uomo attraverso la concretezza di condizioni quotidiane, anzi di ogni momento. Perciò i membri di Cl, compresi i Memores Domini, secondo le modalità attraverso cui sono chiamati dal Padre, debbono affrontare la provocazione delle circostanze nella fede e nell'amore da cui continuamente devono ripartire. L'esito di ciò dipende dal mistero della libertà della grazia e dal mistero della libertà della risposta delle persone, e anche dal limite delle proprie doti umilmente operate. Anzi, ognuno è chiamato a pregare Dio perché la fede e l'amore a Cristo vibrino talmente e determinino talmente l'operatività umana, dando ad essa una determinazione buona così evidente e splendente che gli altri, dalla bontà dell'opera, siano destati a domandarsi: «Ma come fanno? Come mai sono così diversi eppure così umani?». Come Cristo, con i suoi miracoli, suscitava nella gente la domanda: «Ma chi è Costui?».

Jean Guitton ha scritto in Le Christ écartelé (Il Cristo dilaniato) che questo scandalo di fronte alla «forma che si mescola alla materia, l'eterno al tempo e il puro all'impuro» costituisce la perenne tentazione della gnosi. È d'accordo?
Ciò che scandalizza è la relazione tra la consistenza ultima ed unica delle cose, cioè Cristo, e la forma contingente delle stesse. Alla radice dell'astrattezza propria di questo scandalo c'è un'idea sbagliata del trascendente, che rende più difficile ammettere che in Cristo tutto consiste e che il lavoro umano deve tendere a manifestare questa consistenza. In tal senso la verginità è la testimonianza che la storia è il pegno, la caparra del manifestarsi della ricapitolazione di tutte le cose in Cristo. Senza questa visione del trascendente anche per i cristiani non ci sarebbe alternativa tra l'opzione fondamentalista - "verità religiose" che si impongono alla ragione dall'esterno - e l'erezione della cultura dominante a criterio ultimo dell'agire. In questo senso i Memores Domini danno un contributo alla soluzione della lotta più acuta in atto oggi nel mondo e nella Chiesa. Una lotta che, vedendo opporsi fondamentalismo e secolarizzazione, finisce col negare la possibilità stessa di una incarnazione e soprattutto la continuità nella storia di tale incarnazione.


[«30Giorni» (1989) n. 5, pp. 56-62]