Non c'è memoria senza storia

Scuola e Università
Andrea Caspani

Mentre l'opinione pubblica italiana ha celebrato l'importanza e la dignità culturale della memoria storica in occasione della prima giornata nazionale della memoria della Shoah, la commissione ministeriale per l'elaborazione dei curricoli per la nuova scuola primaria ci annuncia che a scuola non si farà più conoscere la memoria storica. Certamente i portavoce della commissione preferiscono parlare di rinnovamento dei programmi di storia, di maggiori attenzioni alle competenze piuttosto che ai contenuti eccetera. Ma resta il fatto che, secondo i "nuovi orientamenti", l'insegnamento della storia è finalizzato al "successo formativo" dei bambini, inteso come l'acquisizione di competenze metodologiche (a 7-8 anni!), mentre un percorso cronologico e contenutistico è rimandato al periodo tra i 10 e i 15 anni. Se questo curricolo diventerà esecutivo, non sarà più possibile insegnare la storia. Infatti l'elemento essenziale della storia sono gli avvenimenti del passato, anzi per dirla con le parole dello storico Veyne, la storia è precisamente "racconto di avvenimenti". Ciò che rende la storia un sapere scientifico è proprio la sua capacità di accostare e accertare i fatti del passato, se sono realmente accaduti e con quanti e quali "fini" si connettono con gli altri eventi che hanno caratterizzato l'avventura umana. Certamente il dato del passato è "complesso", facilmente deformabile se non si posiede una capacità di comprensione critica dell'evento e del contesto, ma non si possono insegnare gli strumenti critici se non in riferimento all'oggetto a cui vengono applicati. Insomma, sarebbe come pretendere di imparare il nuoto prima di essere buttati in acqua. Ma allora, cosa c'è dietro questa schizofrenia delle iniziative ministeriali? A nostro parere ci troviamo di fronte all'ennesima manifestazione di quel "partito occulto" del minitsero della Pubblica Istruzione (denunciato da Pirani su Repubblica e da Panebianco sul Corriere) che dà credito a un manipolo di didatti della storia, a tal punto convinti della coerenza logica della loro astratta concezione della storia da volerla imporre per legge a tutti gli scolari italiani. Proprio mentre la storiografia più avvertita riscopre l'importanza dell'avvenimento nella ricostruzione storica (il medievalista Le Goff ha scritto pochi anni fa il bellissimo testo L'Europa raccontata ai ragazzi), si dovrà aspettare che un bembino abbia 10 anni perchè sappia come e perchè sono state fatte le piramidi. Forse però non tutto è perduto. Intanto all'interno della commissione c'è chi si è opposto sia alla prospettiva dell'intero curricolo sia ai singoli punti specifici. Gravemente lesivo della specificità culturale e didattica della dimensione storica è infatti anche l'abbandono della ripetizione del percorso cronologico della storia. Che non significa costringere alla ripetitività i giovani, ma offrire loro la possibilità di approfondimenti critici commisurati alle potenzialità cognitive delle diverse età. Ugualmente riduttiva è l'obbligatorietà dello svolimento di un percorso didattico "tematico" per il triennio finale; come dire che la storia non mira alla ricostruzione della "complessità" di un periodo, ma all'analisi comparativa di settori parziali dei diversi periodi; tutto questo renderebbe impossibile l'incontro con l'esperienza umana degli uomini del passato, il vero obiettivo della storia, come il grande storico Bloch aveva bem chiaro: "L'oggetto della storia è per sua natura l'uomo. O meglio: gli uomini". Il ministero della Pubblica Istruzione ha oggi la grande chance di mostrare che crede alle sue stesse parole d'ordine: l'autonomia, la considerazione della dignità culturale dei docenti e degli specialisti della disciplina storica. E' il momento del coinvolgimento anche di altri gruppi di lavoro, ispirati a un impegno di rinnovamento "umanistico" della didattica della storia, così come di tutti quegli studiosi che hanno sviluppato riflessioni convergenti con la nota posizione di Le Goff: "Bisogna smettere di contrapporre i metodi e i contenuti dell'insegnamento. Bisogna spiegare la storia anche ai più piccoli...". Allora, vogliamo una scuola ridotta a spazio di socializzazione, impegnata a fornire ai nostri bambini solo "istruzioni per l'uso", o una scuola formativa secondo una modalità adeguata alle esigenze della società "complessa" in cui viviamo, e perciò attenta a sviluppare una buona formazione storica, di modo che la memoria storica possa essere funzione di conoscenza e libertà?


*Direttore di Lineatempo