Non c'è vera tolleranza senza apertura alla verità

Identità e dialogo
Luca Pesenti

Il divieto del velo in Francia: ideologia ammantata di neutralismo; il mancato riferimento alle radici ebraico-cristiane nella Costituzione europea: frutto del pensiero laicista e intollerante. Ne parlano monsignor Martin, primate d’Irlanda; Morpurgo, vicepresidente Unione Comunità Ebraiche Italiane; Vattani, segretario generale Ministero Affari esteri. Alla fine, il lancio di una nuova sfida: dialogare con la sponda sud del Mediterraneo

Quando la Francia decise, pochi mesi orsono, di vietare l’ostentazione di qualunque simbolo religioso all’interno dei luoghi pubblici, furono in molti a rimanere stupiti. Era la prima volta che un divieto colpiva così duramente il diritto fondamentale di culto, o più semplicemente la libertà di pensiero di un Paese democratico.
Quella francese fu una decisione grave, figlia di una interpretazione estremistica, ideologica, dell’ideale di laicità dello Stato. È un’ideologia che pretende di ammantarsi di neutralismo, che veste i panni multiculturali dell’eguaglianza di tutte le culture. Tutte uguali, dunque tutte egualmente avversabili dal braccio violento della legge francese.
Di questo e di molto altro si è parlato al Meeting, complici il primate d’Irlanda Diarmuid Martin, il vicepresidente delle Comunità Ebraiche, Claudio Morpurgo, e l’ambasciatore Umberto Vattani, segretario generale del Ministero degli Affari esteri.

La radice della violenza
Ed è proprio monsignor Martin a ricordare la radice antireligiosa della violenza del Novecento, nata dall’ipotesi (sbagliata) di una superiore capacità di tolleranza della visione laica dello Stato rispetto a quella proposta dalle religioni. «Nessuno nega la necessità di separazione tra Chiesa e Stato - spiega -, ma può esserci una separazione benevola e una antagonistica e ideologica, che mira a togliere il diritto di cittadinanza alle religioni». Proprio questo pensiero, laicista e intollerante, è all’origine dell’ostilità francese per ogni simbolo religioso. Ma anche del mancato riferimento delle radici ebraico-cristiane del preambolo della Costituzione europea. Ma non si può continuare a recriminare, e allora monsignor Martin rilancia: «Il contributo della tradizione ebraico-cristiana all’evoluzione dell’Europa è oggettivamente enorme, che sia riconosciuto o meno dalla Carta. L’anima e il cuore dell’Europa dipendono proprio da questo».

Mancata discussione
Già, l’anima, l’identità, il dna dell’Europa. Faccende centrali, di cui non si è voluto tenere conto. Perché il peccato originale è che è mancata totalmente, clamorosamente, qualunque discussione sull’identità europea. Questo è il vero dramma, sottolineato con forza da Morpurgo, di un modello sociale che evita accuratamente di essere veramente laico, cioè fondato «sul diritto di essere se stessi, sul riconoscimento di ogni specifica individualità, sul legame buono che nasce dall’incontro con l’altro». L’Io e il Noi, l’individuale e il collettivo, l’uomo e l’umanità: il rapporto dell’uno e dell’altro, così legati anche linguisticamente - in ebraico le due parole hanno la radice comune isc -, fondano «la società di comunità, patto sociale come scelta consapevole di vita comunitaria, legame di appartenenza, un noi che dà identità all’Io». Su questo livello, clamorosamente negato dall’ipertrofia individualistica dei nostri tempi, la cultura ebraica ha tanto da insegnare al mondo, perché - lo dice ancora Morpurgo - «la Bibbia ordina la costruzione di una società laica, pluralista. Mosè, Abramo, Giacobbe fanno tutti esperienza dell’incontro con lo straniero, con lo sconosciuto, conferendo così la massima dignità morale e spirituale all’escluso, a chi non rientra nel nostro sistema». Così si costruisce la pace: nell’incontro tra diversi, non certo sull’uniformità.

Dialogo con l’islam
E così, nell’incontro tra i diversi, si ritorna da dove si era partiti: dalla nuova Europa, crogiolo di popoli uniti da una storia, da una Costituzione controversa (che l’ambasciatore Vattani, in fondo, decide di salvare, perché «il ricordo del patrimonio culturale e religioso viene citato per far capire da dove provengono i diritti inalienabili della persona umana») e da una missione di civiltà che non viene meno. E anzi, proprio oggi, nel bel mezzo di una guerra, l’Europa ha un ruolo: dialogare con quell’islam con cui si può parlare anche sotto le bombe. Vattani dipinge un quadro affascinante, plastico, visuale: «Vista da occidente, l’Europa appare come un progetto ambizioso e straordinario. Vista da oriente, dai Paesi che sono entrati di recente in Europa, è il luogo della memoria, avendo vissuto 70 anni di comunismo reale. Vista dal sud, dal Mediterraneo, l’Europa non può non apparire come il partner, l’interlocutore naturale. E sta a noi italiani, proprio perché nel Mediterraneo abbiamo maggiori ricordi e abbiamo un ruolo più significativo, fare in modo che quelle divisioni e diversità non nascondano del tutto gli elementi di identità che noi abbiamo anche ritrovato in Europa».
L’anno scorso dal Meeting partì la battaglia per la Costituzione. Quest’anno, ecco la nuova sfida: dialogare con la sponda sud del Mediterraneo. In nome della laicità, cioè del cristianesimo. Che ci ricorda - è don Stefano Alberto a farlo, in chiusura di incontro - che non si può rispettare l’altro se non si rispetta se stessi, la propria identità. E che non c’è vera tolleranza se non c’è una vera apertura alla verità.