Oltre l'ideologia la possibilità del cambiamento
Anni di piomboAll’incontro “Un’altra opportunità” hanno
partecipato le due ex terroriste Francesca Mambro e Nadia Mantovani. Protagoniste
negli anni
di piombo e oggi impegnate nel sociale. Il contributo di Luigi Manconi
Il cambiamento, come la grandezza, «arriva, a Dio piacendo, come un bel
giorno» direbbe Camus. Come un incontro, dice Francesca Mambro. «Quando
capisci che bisogna accettare l’imperfezione tua e del mondo. Allora l’ideologia
che semplifica tutto, che divide in buoni e cattivi, non basta più».
Tutto nasce da una catena di incontri e di amicizie, in carcere e fuori, e dal
fascino di quella che la Mambro chiama «la mafia delle persone perbene».
Accanto a lei, ex quadro dirigenziale dei Nar con il marito Valerio Fioravanti
durante gli anni di piombo, c’è Nadia Mantovani, ex direzione strategica
delle Brigate rosse. Non cercano assoluzioni facili o scorciatoie sentimentali
per negare gli errori commessi. «I primi anni di carcere ero ancora nella
militanza», confessa la Mantovani. «Ora invece non posso far altro
che prendere atto di un fallimento». Solo la cronaca di un cambiamento
accomuna due ex terroriste che per anni hanno lottato su fronti opposti, il terrorismo
nero e la lotta armata nelle Br, ma simili per “furore ideologico”.
Stessa convinzione di avere la verità in tasca e stessa violenza nel volerla
imporre agli altri. Francesca ora scrive articoli sui diritti umani negati e
lavora al Partito Radicale; Nadia collabora con la Cooperativa Verso casa, ma
per loro la detenzione, in forme e modalità diverse, è ancora una
realtà.
Verità e menzogna
«È vero che in carcere si impara l’essenzialità, la capacità di
dirsi tutto in pochi minuti come dice Solzenicyn?», domanda Renato Farina,
vicedirettore di Libero. «Si impara a distinguere chi dice la verità e
chi mente», risponde la Mantovani. «In carcere tutti si dicono innocenti,
dopo vent’anni capisci chi lo è davvero». «Mi sono assunta
tutta la responsabilità di ciò che ho fatto. Anche se non ho mai
ucciso nessuno, non mi sento meno colpevole dei miei amici che lo hanno fatto»,
aggiunge la Mambro. «Gli errori fanno male, sono come le schegge di marmo
di Michelangelo, fanno sanguinare. Quello che il tempo toglie per farci emergere
dall’incompiutezza, dall’imperfezione di quello che facciamo, come
nei Prigioni di Michelangelo, lascia schegge dolorose, che non smettono di ferire,
anche a distanza di tanti anni. Mai pensare che tutto sia perduto. Mi è stata
data un’altra opportunità di vita, mio marito e io siamo stati feriti
in modo grave. Ora abbiamo una bambina, ma c’è pudore a parlare
della propria felicità, quando si è stati causa di tanto dolore»,
conclude la Mambro.
Il bisogno “strutturale” dell’uomo
Luigi Manconi, sociologo e garante delle persone private della libertà del
Comune di Roma, racconta cosa della sua storia lo lega al mondo del carcere: «Sono
stato concepito all’Asinara. Nei miei ricordi d’infanzia i detenuti
sono persone anziane che costruivano giocattoli». Un incontro volutamente
paradossale, quello del Meeting, dove parlano i singoli e non le organizzazioni.
Fino alla provocazione di Manconi a Farina: «Ti auguro di finire in carcere;
in senso buono e da innocente, ovviamente, per esplorare da vicino un mondo sconosciuto
ai più», che può insegnare molto sull’uomo e sul suo
bisogno “strutturale” e radicale di essere salvato.