Oltre l'ideologia la possibilità del cambiamento

Anni di piombo
Silvia Guidi

All’incontro “Un’altra opportunità” hanno partecipato le due ex terroriste Francesca Mambro e Nadia Mantovani. Protagoniste negli anni di piombo e oggi impegnate nel sociale. Il contributo di Luigi Manconi

Il cambiamento, come la grandezza, «arriva, a Dio piacendo, come un bel giorno» direbbe Camus. Come un incontro, dice Francesca Mambro. «Quando capisci che bisogna accettare l’imperfezione tua e del mondo. Allora l’ideologia che semplifica tutto, che divide in buoni e cattivi, non basta più». Tutto nasce da una catena di incontri e di amicizie, in carcere e fuori, e dal fascino di quella che la Mambro chiama «la mafia delle persone perbene». Accanto a lei, ex quadro dirigenziale dei Nar con il marito Valerio Fioravanti durante gli anni di piombo, c’è Nadia Mantovani, ex direzione strategica delle Brigate rosse. Non cercano assoluzioni facili o scorciatoie sentimentali per negare gli errori commessi. «I primi anni di carcere ero ancora nella militanza», confessa la Mantovani. «Ora invece non posso far altro che prendere atto di un fallimento». Solo la cronaca di un cambiamento accomuna due ex terroriste che per anni hanno lottato su fronti opposti, il terrorismo nero e la lotta armata nelle Br, ma simili per “furore ideologico”. Stessa convinzione di avere la verità in tasca e stessa violenza nel volerla imporre agli altri. Francesca ora scrive articoli sui diritti umani negati e lavora al Partito Radicale; Nadia collabora con la Cooperativa Verso casa, ma per loro la detenzione, in forme e modalità diverse, è ancora una realtà.

Verità e menzogna
«È vero che in carcere si impara l’essenzialità, la capacità di dirsi tutto in pochi minuti come dice Solz￿enicyn?», domanda Renato Farina, vicedirettore di Libero. «Si impara a distinguere chi dice la verità e chi mente», risponde la Mantovani. «In carcere tutti si dicono innocenti, dopo vent’anni capisci chi lo è davvero». «Mi sono assunta tutta la responsabilità di ciò che ho fatto. Anche se non ho mai ucciso nessuno, non mi sento meno colpevole dei miei amici che lo hanno fatto», aggiunge la Mambro. «Gli errori fanno male, sono come le schegge di marmo di Michelangelo, fanno sanguinare. Quello che il tempo toglie per farci emergere dall’incompiutezza, dall’imperfezione di quello che facciamo, come nei Prigioni di Michelangelo, lascia schegge dolorose, che non smettono di ferire, anche a distanza di tanti anni. Mai pensare che tutto sia perduto. Mi è stata data un’altra opportunità di vita, mio marito e io siamo stati feriti in modo grave. Ora abbiamo una bambina, ma c’è pudore a parlare della propria felicità, quando si è stati causa di tanto dolore», conclude la Mambro.

Il bisogno “strutturale” dell’uomo
Luigi Manconi, sociologo e garante delle persone private della libertà del Comune di Roma, racconta cosa della sua storia lo lega al mondo del carcere: «Sono stato concepito all’Asinara. Nei miei ricordi d’infanzia i detenuti sono persone anziane che costruivano giocattoli». Un incontro volutamente paradossale, quello del Meeting, dove parlano i singoli e non le organizzazioni. Fino alla provocazione di Manconi a Farina: «Ti auguro di finire in carcere; in senso buono e da innocente, ovviamente, per esplorare da vicino un mondo sconosciuto ai più», che può insegnare molto sull’uomo e sul suo bisogno “strutturale” e radicale di essere salvato.