Pelanda: l’individualismo fa bene allo sviluppo

Carlo Pelanda

Julián Carrón propone la solidarietà come modello di comportamento per far funzionare meglio le organizzazioni, in particolare economiche. Ma lo fa con enfasi sulla contrapposizione tra autotrascendenza ed individualismo come se fossero incompatibili. Lo criticherò da un punto di vista derivato dall’utilitarismo che, invece, tende a vederli compatibili.

Da decenni la ricerca di scienza sociale tenta di capire cosa inneschi i comportamenti cooperativi ed egoistici/competitivi perché nell’osservazione dei fatti umani si rilevano ambedue e nella stessa persona, in diversi momenti. L’Uomo non è sempre prigioniero del modello homo homini lupus su cui Hobbes ha fondato l’argomentazione che l’ordine richieda l’imposizione di un potere superiore. Così come non è sempre buono e cooperativo come tentò di convincerci Rousseau. Cosa lo rende in certe situazioni egoista e conflittuale ed in altre cooperativo ed autotrascendente? La biologia, le situazioni, il codice culturale dominante?

La ricerca avverte che dovremmo sapere tante cose che ancora non sappiamo. Ma ci indirizza su una strada dove è consigliabile vedere egoismo ed autotrascendenza come varianti di comportamento in relazione a date situazioni. L’egoismo eccessivo comporta un danno al sistema che poi diviene svantaggio anche per il singolo. Ce lo mostra con chiarezza l’analisi ecologica. In un processo di desertificazione gli alberi aumentano la raccolta d’acqua individuale così riducendone la quantità per il bosco e, per questo, alla fine danneggiando se stessi. L’albero non vede il sistema. Ma il cervello umano lo vede. E tende a fare calcoli di utilità per decidere quale relazione avere con esso, volta per volta.

In alcuni casi è considerato utile l’egoismo, in altri la cooperazione. La psicologia ci avverte che tali calcoli sono influenzati da emozioni che impediscono di rilevare un criterio di razionalità costante, ma comunque possiamo assumere che l’utilità sia il fattore centrale. Andiamo al punto. Se devo proporre un modello organizzativo che massimizzi la cooperazione tra gli attori per migliorare l’efficienza del sistema, e penso che gli attori facciano calcoli di utilità individuale, allora dovrò, evidentemente, incentivare l’autotrascendenza. Più sei solidale con i colleghi e più ti premio. Meno lo sei, più ti punisco. In sintesi, l’analisi della realtà deve farci sospettare che sia più produttivo ottenere cooperazione ed autotrascendenza stimolando l’egoismo competitivo delle persone e la loro tendenza a fare calcoli di utilità. Pertanto il riconoscimento dell’egoismo individuale mi offre uno strumento per ottenere più cooperazione nel sistema che mi interessa.

In tal senso critico il linguaggio che contrappone egoismo e cooperazione. Devo agganciare l’uno all’altro per far emergere la seconda e non contrapporli. L’applicazione della dottrina cristiana della solidarietà può certamente alimentare una teoria dell’organizzazione, perché individua la condizione di buon funzionamento del sistema a costi minimizzati, cioè la cooperazione prevalente. Ma non è tecnicamente adeguata per costruire la cooperazione stessa nella realtà, perché stimola i valori e non gli interessi pratici. Ovviamente una organizzazione fatta di persone omogenee per cultura dell’autotrascendenza su base religiosa avrà il vantaggio competitivo (fortunati voi, amici) di ridurre i costi per mantenere funzionante il sistema. E ciò rende razionali le enfasi di Carrón. Ma tale configurazione è un fenomeno raro in una società secolarizzata, in maggioranza sensibile ai calcoli di utilità che giustificano l’adozione di visione utilitaristiche per gestirla.

Da www.ilsussidiario.net (2 dicembre 2009)