Peppone e don Camillo nell'Italia del 2000
LavoroCon moderatore il vicedirettore del Corriere della Sera Dario Di Vico, il
segretario
generale della Cgil Epifani, il prorettore dell’Università Cattolica
di Milano Luigi Campiglio e Giorgio Vittadini hanno dibattuto sul tema del lavoro.
Ma il discorso si è presto
allargato ad altre tematiche inerenti la vita del nostro Paese: educazione, politica,
giustizia.
Pur nelle differenze, la voglia di un dialogo costruttivo
Dario Di Vico, vicedirettore del Corriere della sera, sa riconoscere le notizie
dagli indizi. Durante la tavola rotonda “Se potessi avere 1000 lire al
mese” racconta che, prima dell’incontro, gli organizzatori, d’accordo
con i relatori, decidono che il convegno non sarebbe stato concluso da Giorgio
Vittadini, ma dal segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, «a
dimostrazione del clima di fair play, di dialogo che c’è in questo
dibattito, ed è un dettaglio significativo».
Il dettaglio, sì, ma significativi sono anche i contenuti. Alla fine le
richieste di Vittadini ed Epifani si assomigliano, così come la voglia
di parlare di cose da fare e realtà da aiutare a crescere.
Fattore decisivo
La cornice la fa il prorettore della Cattolica di Milano, Luigi Campiglio, il
quale racconta che le mille lire al mese della canzone del 1937, rivalutate secondo
la dinamica inflattiva, sarebbero oggi circa 800 euro al mese: un po’ pochino!
Ma se aggiungiamo un altro parametro, l’aumento della produttività del
lavoro, la cifra si colloca tra i 2.600 e i 4.800 euro al mese. Eccolo, dunque,
il fattore decisivo: il lavoro. Come aiutarlo? Come renderlo dinamico?
Roberto Mussari, presidente della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, delinea
una ricetta di politica industriale: spezzare le rendite di monopolio. «Questo è stato
il Paese delle privatizzazioni, in ritardo con il resto d’Europa, ma poi
alla fine le abbiamo fatte. L’unico settore realmente liberalizzato è però quello
delle banche; per il resto resistono forti posizioni di monopolio. Il monopolio è un
elemento di rendita improduttiva, non solo rispetto ai diritti e agli interessi
dei consumatori, ma proprio rispetto all’innovazione. Chi non sente il
morso della concorrenza non è spinto a migliorare la qualità della
sua impresa e la qualità del suo prodotto», dice. Ma sono Vittadini
ed Epifani a rubare la scena.
Il giessino Epifani
Vittadini si ritaglia un ruolo da don Camillo nel quale sguazza a piacimento.
E affibbia, di converso, a Epifani quello di Peppone: forse un po’ stretto
per uno che, in conferenza stampa, confida che sì, è vero: nel ’67
e ’68 fu giessino anche lui. «Il nostro Paese - dice Vittadini -
nasce da un’alleanza che ha a che fare con il problema dell’impoverimento:
quella di don Camillo e Peppone, al di là delle macchiette. È l’alleanza
in cui le componenti cattolica, socialista e liberale si sono intrecciate. Hanno
cercato per anni, hanno costruito una costituzione, valori condivisi. Centrale è il
tema dell’educazione come introduzione alla realtà totale e ideale,
qualunque sia. Che sia l’ideale di un centro sociale in cui io parto dal
problema di un valore di organizzazione di base o che sia l’idea di giustizia
per tutti, fino all’ultimo o che sia l’idea di creare lavoro, queste
aggregazioni sociali e il mondo politico di riferimento avranno influenza sullo
sviluppo».
Da qui le proposte con una premessa di metodo politico: «Il bipolarismo
politico non può uccidere l’unità ideale su cui si è fatta
l’Italia. L’alleanza ideale ha due scopi. Primo: liberare le forze,
pensare i percorsi che le forze dell’io e dell’aggregazione possano
percorrere. Secondo: aiutare le solidarietà in atto. Perché sono
due cose che vanno insieme. Da questo punto di vista due emergenze: la politica
dell’istruzione e quella industriale».
Lavorare insieme
La risposta di Epifani è una mano tesa a lavorare insieme, nelle differenze,
a cominciare dalla ricerca «di una nuova centralità del pubblico,
non intesa in senso statalista, ma per aiutare la promozione dei soggetti, dei
lavoratori, di organizzazioni sociali, di impresa sociale a essere parte di un
processo di cambiamento che può nascere dal basso, ma con la responsabilità di
un interesse pubblico».
Il leader della più grande organizzazione sindacale del Paese non si sottrae
neanche da un giudizio sulle prossime impegnative settimane, con quattro richieste
al governo per evitare un «autunno caldo: il governo non peggiori la situazione
che c’è, non faccia ancora una volta scelte sbagliate almeno su
quattro punti. Il primo è quello dei prezzi. Ogni qual volta abbiamo detto
che c’è un problema dei prezzi e le famiglie fanno fatica, c’è stato
un ministro che ci ha detto: non c’è nessun problema, perché i
prezzi in realtà non crescono. Vorrei dal governo che cambiasse questa
opinione».
Pronti, via!
Poi gli altri tre punti: «Secondo, se c’è bisogno di risorse,
vorrei che questo governo le trovasse non a scapito di quelli che in questi anni
hanno pagato, ma di quelli che si sono arricchiti con le rendite finanziarie.
Terzo, vorrei che il governo facesse qualcosa di utile per l’impresa in
qualità e in ricerca e innovazione, in tecnologia. E qui c’è un
problema di integrazione, tra impresa privata, centri di ricerca privata, centri
di ricerca pubblica, università pubblica, mettere in rete questa esperienza
per evitare che quello che si spenda, che è poco, si spenda pure male.
Infine vorrei che non ci fossero ancora una volta tagli sociali». Applausi,
ma il lavoro vero per tutti inizia ora.