Profitto, usura, rendita. Tra mercato e persona
EconomiaCon san Tommaso, l’avarizia è pericolosa pratica quotidiana e crea
altri vizi. Con Weber le scienze sociali si staccano dall’etica. E oggi
tra economia e individuo
il divario è sempre più grande. Come uscirne? Mentre “l’economia
di Dio” è un’altra: la gratuità, il suo darsi fino
alla morte per comunicare il bello, il vero e il buono. Ne hanno parlato Stephen
Long, David Schindler, docenti di Teologia, e Giulio Sapelli, professore
di Storia economica
Profitto, usura, rendita. Strano incontro con strani personaggi. È un
palco di professori quello che si presenta in sala Neri. Stephen Long di sé assicura
che è stato battezzato dagli anabattisti, educato dagli evangelici, ordinato
dai metodisti e che ha avuto il primo incarico lavorativo dai gesuiti. La sua
pubblicazione più recente è in tema: Divine Economy. Theology and
the Market. Il secondo, David Schindler, docente di Teologia fondamentale all’istituto
Giovanni Paolo II di Washington, allievo di von Balthasar, è particolarmente
interessato ai rapporti tra teologia e cultura; il terzo, Giulio Sapelli, professore
di Storia economica all’Università di Milano, dirige il corso postlaurea
in Economia, impresa e discipline umanistiche tra Oriente e Occidente.
Perché quest’incontro?
Che sia un incontro strano, lo spiega bene il moderatore Paolo Del Debbio, docente,
pure lui con solidi studi tomistici alle spalle e un’innata vocazione a
sparigliare gli stanchi assiomi dell’universo sociale e politico italiano.
I profitti - nota - di solito si fanno e proprio per questo si tende a non parlarne;
di rendita se ne parla assai poco perché sarebbe un tema pericoloso per
troppi; di usura si è smesso di parlare da secoli. Già, e allora
perché un incontro del genere? Gli è che tra economia e persona
si è operato un distacco e che, a tutti e quattro, non sta bene. Non sta
bene che l’economia non sia più un ambito di espressione della persona.
E non sta bene - immaginiamo - anche alla Fondazione per la Sussidiarietà che
ha voluto l’incontro. Non sta bene a chi deve subire il peso di leggi impersonali,
forgiate chi sa dove e che sentenziano chi e come abbia diritto a esistere. Piace
pensare a un Lorenzo Crosta, da anni strenuamente di fronte a una realtà di
mercato che dice che gli handicappati non devono e non possono lavorare, o piace
pensare alla polemica della Compagnia delle Opere contro dogmi che impongono
che si possa essere azienda solo raggiungendo la “massa critica”,
diversificando e buttandosi nel finanziario.
Passaggio cruciale
Tocca a Stephen Long aprire l’incontro. Perché non si parla più di
usura dopo che nel XVI il divieto di usura fu un passaggio tanto cruciale da
porsi al crocevia dei reciproci rapporti tra le varie confessioni religiose?
Long punta il dito contro l’affermarsi di una forma di pretesa razionalità neutrale
e universale: con Weber le scienze sociali si staccano dall’etica. Le scienze
sociali si occupano dei fatti, l’etica si occupa dei valori ed è chiaro
che a contare sono i fatti. Ogni pretesa di intromissione è frutto di
una debolezza di pensiero: il divieto all’usura, sentenzia Weber, è figlio
di una concezione primitiva dell’umanità, che non tiene conto che
nel suo agire l’uomo persegue sempre e solo il proprio interesse economico.
La strada per superare l’antinomia weberiana è già in san
Tommaso, che a lungo si è cimentato su come si possa evitare il male per
seguire il bene e, per questo, ha avuto inevitabilmente bisogno di tracciare
una teoria sociale e politica. Tommaso discute dei vizi capitali. Essi sono parodie
del desiderio dell’uomo. Tendono a crescere e ad autoalimentarsi senza
alcun limite. L’avarizia è vizio capitale, produce falsa felicità e
nel suo accumulare indefinitivamente crea e produce altri vizi. L’avarizia
non è solo una disposizione interiore, ma una pratica quotidiana. Così come
Tommaso aveva indagato la struttura dei vizi capitali oggi è arrivato
il momento, è la tesi di Long, di produrre una nuova teoria delle virtù della
tradizione, mostrandone la fecondità e la capacità di produzione
materiale.
Carità e giustizia
David Schindler pone immediatamente il rapporto tra carità e giustizia.
Perché il problema dell’usura, così come nell’enciclopedia
cattolica del 1910, è connesso alla giustizia. La costruzione di Schindler
si poggia tutta sulla gratuità. La gratuità dell’amore di
Dio che sta all’inizio e segue l’uomo per tutta la sua esistenza,
così che l’uomo non può non essere grato. Perché Dio
ci sia, occorre che dia tutto il suo essere. Ricchezza e produzione di ricchezza
hanno costitutivamente una relazione con l’abbondanza dell’essere.
Ma Dio si esprime nei trascendentali: il bello, il vero, il buono, che hanno
tutti la caratteristica di essere “inutili”. Il nome di Dio è Cristo,
ovvero martirio, il darsi fino alla morte per comunicare ciò che è inutile.
La produzione può avere senso solo in relazione all’ essere di più,
così che lo scambio in generale è propriamente lo scambio della
produzione dell’essere. Non c’è realismo nel mondo dell’attività economica
che non abbia radici nella prodigalità dell’essere che si manifesta
nella creazione e redenzione di Cristo. Anche per Sapelli, citando Ricardo, il
plusvalore è eccedenza dell’essere. La sua è posizione più problematica
rispetto alla possibilità di rintracciare nella tradizione il patrimonio
in grado di superare le Scilla e Cariddi dell’economia moderna, ovvero
l’impossibilità di rapporto tra mercato e soggettività. Non
può che riaffermare, ma come istanza non risolta, che tutto sta nella
soggettività, nel sé, perché è la soggettività che
deve portare sé nel mercato e non subire una regola a essa esterna. La
decadenza del sé dà il via a metastasi come abbiamo assistito in
tempi recentissimi nei casi Enron e, per rimanere in casa nostra, Parmalat.