Prove di dialogo. L'imprevisto di Rimini
Israele-PalestinaÈ stato l’imprevisto più significativo del Meeting 2004.
Il ministro degli Esteri di Israele Silvan Shalom e quello palestinese Nebeel
Shaat seduti allo stesso tavolo per iniziativa del loro collega italiano Franco
Frattini. Tra silenzi e accuse reciproche, l’esempio
di una possibilità di confronto, aspro quanto si vuole, ma necessario
alla pace. Una timida speranza per il futuro della Terra Santa, e quindi del
mondo
è il colpo di scena del Meeting di Rimini 2004. Sul programma ufficiale è previsto
l’intervento del ministro degli Esteri, Franco Frattini, insieme a Fabio
Berardi, segretario di Stato per gli Affari esteri della Repubblica di San Marino.
Forse per circostanze legate agli avvenimenti internazionali, si viene a sapere
solo il giorno prima che ci sarà un incontro tra il ministro degli Esteri
israeliano, Silvan Shalom, e il ministro degli Esteri palestinese, Nebeel Shaat.
Ovviamente non si tratta solo di un “colpo di scena”, ma di un autentico
successo politico per il Meeting, che riunisce intorno a un tavolo due esponenti
di governi che, di fatto, convivono nella “guerra più logorante” del
Medio Oriente; un successo anche per il ministro Frattini che vede “coronato” l’obiettivo
di un’Italia che diventa mediatrice nel perenne conflitto tra israeliani
e palestinesi.
Il ruolo dei cristiani
Introduce Roberto Fontolan, direttore de Il Velino, che sottolinea l’impegno
del Meeting sul tema incandescente della convivenza pacifica in Medio Oriente. «Dobbiamo
dire ancora una volta un inequivocabile “no” al terrorismo»,
esprimendo la vicinanza e la solidarietà nei confronti di tutte le vittime
del terrorismo e delle loro famiglie, compresi gli ostaggi in Iraq. Quindi pone
l’accento sull’esigenza di una cooperazione per la salvaguardia delle
comunità cristiane della zona, che comprenda tutti, a partire dalla comunità internazionale,
arrivando a ciascuno di noi, passando anche per il governo, e cita il rabbino
David Rosen, incontrato qualche mese prima: «La comunità cristiana,
la minoranza cristiana, ha sulle sue spalle la responsabilità, la possibilità,
di tenere unita la grande famiglia di Abramo. Aiutiamola in questa responsabilità».
Sollecitati dal Papa
Alberto Piatti, direttore di Avsi, seguendo la sollecitazione del Santo Padre,
invita a costruire ponti: «Oggi noi abbiamo costruito un ponte di dialogo».
Un incontro del genere, sostiene Piatti, è un significativo esempio di
sussidiarietà, una occasione per la società civile per contribuire
al dialogo. «La pace - continua il Direttore di Avsi - si costruisce nel
cuore dell’uomo, e oggi le migliaia di persone che sono qui presenti parlano
al cuore di Silvan Shalom e Nebeel Shaat. In questo processo di pace è fondamentale
il contributo dei cristiani di Terra Santa, che vivono un momento di grande difficoltà,
e a cui va tutto il nostro affetto, così come il Papa ci ha ricordato
nel discorso del primo gennaio di quest’anno: la pace resta comunque possibile
e, se possibile, la pace è anche doverosa».
Visti dalla platea
Che cosa si può vedere dalla platea del Meeting su quel palco così inedito,
così insperato? I due personaggi sembrano sedersi di nuovo a un tavolo
di trattativa. E solo questo fatto comunica al Meeting una voglia e un desiderio
di pace che galvanizza la platea, tra applausi ripetuti, quasi ritmati. Però si
nota subito che tra l’israeliano e il palestinese c’è un “muro”,
un “parlare duro”. Da un lato, infatti, c’è una storia
pluriennale, mancati appuntamenti di pace, storie di sangue, di terrorismo e
di rappresaglie; dall’altro oggi c’è il problema dei prigionieri
nelle carceri israeliane e del “muro” che il ministro israeliano
ritiene «possa essere sempre smantellato, al contrario dei morti innocenti,
che invece non possono ritornare».
La durezza del confronto provoca certamente sgomento, ma nello stesso tempo fa
capire che una volontà di aprire uno spiraglio di dialogo esiste.
Il coraggio di incontrarsi
Il ministro Frattini, quasi improvvisato coordinatore di questo dibattito, dice: «L’incontro
tra i due ministri è un buon segno di disponibilità». Non è la
prima volta che Frattini riesce a mettere intorno a un tavolo i ministri degli
Esteri di Israele e Palestina. Il fatto era già capitato durante il semestre
italiano di presidenza europea. Quindi per Frattini si tratta di un disegno politico
internazionale che sta perseguendo con tenacia per spegnere il “focolaio
di guerra” che molti analisti ritengono sempre il più pericoloso
in Medio Oriente.
Frattini dice: «La pace richiede coraggio e si deve verificare se questo
coraggio esiste nel rispettare gli accordi della Road Map». L’Italia,
secondo Frattini, sta già facendo molto per favorire il processo di pace,
aiutando anche il rilancio socio-economico di tutta l’area: «Il nostro
Paese riconosce i due diritti, quello palestinese di avere uno Stato indipendente
e quello d’Israele di vivere in tranquillità. Quanto all’Europa,
deve tenere una posizione realmente di equilibrio incoraggiando gli uni e gli
altri».
L’impegno per la pace non sembra mancare, anche nelle parole di Nebeel
Shaat: «La soluzione non è impossibile. Noi ci impegniamo a creare
una democrazia che consenta ai nostri cristiani, ai nostri musulmani di vivere
insieme ai vicini ebrei, e vogliamo sviluppare una società della tolleranza,
vogliamo che Betlemme e Gerusalemme siano accessibili a tutti i pellegrini del
mondo. Vorremmo una nuova opportunità di costruire le nostre istituzioni,
di tenere libere elezioni e diamo il benvenuto alla promessa fatta da Franco
Frattini a nome dell’Europa di stare al nostro fianco, di appoggiarci,
di poter ritornare alla pace». E così sembra essere anche per il
Ministro israeliano: «Io mi chiamo Shalom e Shalom vuol dire pace... La
nostra storia è chiara, laddove c’è un vero interlocutore
di pace la pace è stata siglata e Israele era pronta a stringergli la
mano. Una pace che garantisca che i popoli di qualsiasi nazionalità e
di qualsiasi professione possano vivere nel nostro Paese senza temere qualsiasi
persecuzione. Israele è pronto a concludere questa pace con tutti i suoi
vicini, con la Siria, il Libano e la Palestina...».
Confronto duro
Shalom continua: «La pace passa per L’Aia o per New York, ma essenzialmente
per Gaza e Ramallah». Shalom incalza: «Perché si possa trattare
veramente serve un cambio della leadership palestinese, compreso Arafat».
Il ministro palestinese Shaat ribatte subito: «Forse ci si dimentica che
il rais è l’uomo degli accordi di Oslo». In questo susseguirsi
di scambi duri, si intravede solo una base di accordo: entrambi si dicono disposti
a rispettare la Road Map.
Ma il fossato che divide i due ministri degli Esteri, in rappresentanza di due
popoli, è molto ampio e ha diverse implicazioni. Il ministro israeliano
Shalom chiama in aiuto l’Europa, ma nello stesso tempo accusa l’Unione
Europea di “montante antisemitismo”. Dice testualmente Shalom: «È questo
antisemitismo il più forte dalla fine dell’ultima guerra, che frena
il processo di pace, poiché porta a ritenere che tutti i problemi siano
creati da Israele».
Non fermarsi davanti agli ostacoli
Il ministro palestinese Shaat cita come possibili soluzioni la Bosnia, il Sudafrica
e il Libano, sebbene la soluzione non si adatti al Medio Oriente: «Noi
ci siamo rifiutati di dividere il Paese, però dobbiamo prendere atto che è impossibile
avere un solo Paese per entrambi. Alle volte è indispensabile dividere
un territorio per porre fine all’occupazione degli uni ai danni degli altri».
Al di là della dura schermaglia a parole e degli sguardi che non paiono
affatto diplomatici, il ministro Frattini può trarre una prima conclusione: «L’impressione
che mi sono fatto è che ci sia una volontà delle parti di lavorare
e di non fermarsi davanti agli ostacoli».
In conclusione, che cosa si può trarre da questo incontro tra palestinesi
e israeliani a Rimini? Ogni pace, si può dire, è cominciata con
un duro scambio di accuse a un tavolo di trattative. Anche se non si può affermare
di aver visto un grande spiraglio, anche se la Fiera di Rimini che ospita il
Meeting sembra un territorio guardato da “tiratori scelti” e da apparati
di sicurezza eccezionali, si può sempre affermare che le parole scambiate
a un tavolo in maniera spesso dura sono sempre meglio degli attentati dei kamikaze
e delle rappresaglie.