Scopo, senso e fine. Dove arriva la scienza?
RicercaPuò la scienza dare delle spiegazioni circa il significato e lo scopo
della persona umana? Spesso ne ha la presunzione, anche se non ha gli strumenti
adeguati per fornire tali risposte. Lo ha ribadito il Premio Templeton 2004 George
Ellis, cosmologo sudafricano. La scienza è potente nel suo campo d’azione, ma questo è limitato. Ci consente,
però, di comprendere il contesto della nostra esperienza, rendendo più acuta
in noi l’esigenza
di un senso ultimo
Se pensiamo a degli studiosi specializzati nel porre domande, questi sono
proprio
gli scienziati; tanto che non è raro trovare tra loro chi si lascia trasportare
dall’entusiasmo, o dalla presunzione, e pensa di poter rispondere a qualunque
tipo di interrogativo. Comprese le domande di significato e di scopo che definiscono
il nucleo della persona umana e che nessuno può sopportare di lasciare
inevase a lungo. Eppure la scienza, col suo metodo e i suoi strumenti, non è attrezzata
per fornire tali risposte: lo ha ribadito di fronte allo strabordante pubblico
del Meeting il cosmologo sudafricano George Ellis, con chiarezza di argomentazioni
e con l’autorevolezza che gli deriva, oltre che dai numerosi studi sulla
Teoria della Relatività Generale, anche dalla assegnazione del prestigioso
Premio Templeton per il 2004. Si tratta di uno dei premi culturali internazionali
più importanti, quantitativamente superiore allo stesso premio Nobel: è dedicato
al dialogo tra scienza e religione e al progresso scientifico visto nel contesto
più vasto della domanda umana. Ellis è stato invitato a Rimini
per un intervento su “Scienza e scopo: la ricerca contemporanea suggerisce
un punto di vista”; un tema connesso con evidenza al titolo del Meeting
il quale peraltro può essere visto come descrizione dell’impresa
scientifica, che non è mai soddisfatta delle risposte trovate ma viene
sempre sollecitata da nuovi quesiti sempre più profondi.
Tre livelli della natura
Ellis ha illustrato il punto di vista scientifico applicato ai tre livelli gerarchici
della natura: il grande, dalle galassie, alle stelle, ai pianeti; il piccolo,
comprendente le molecole, gli atomi, le particelle elementari; il complesso,
che riguarda le cellule viventi, gli esseri umani, gli ecosistemi e le società.
Tra i diversi livelli c’è una pluralità di nessi, ma quel
che più conta è che non si tratta solo di collegamenti dal basso
verso l’alto, ma anche nella direzione opposta: cioè non sono solo
le strutture a livello inferiore (atomi, molecole) a determinare quelle superiori
e le situazioni di elevata complessità non sono la pura combinazione dei
vari componenti elementari. Ci sono sempre livelli multipli di spiegazione, applicabili
simultaneamente. L’evoluzione dei viventi, e più ancora gli studi
sul cervello, suonano come una palese smentita per quanti ancora si attestano
su posizioni riduzioniste, che vorrebbero escludere il ruolo costruttivo degli
scopi e delle finalità nell’evoluzione, ma che, proprio per tale
esclusione, non riescono a spiegare adeguatamente la ricchezza e la varietà dei
fenomeni e dei comportamenti naturali. «Una descrizione causale completa
del mondo in cui viviamo deve necessariamente prendere in considerazione questi
obiettivi, questi scopi, che esistono come caratteristiche emergenti del sistema
e non sono insiti in nessuna componente di per sé».
Il bello, il male, l’amore…
La scienza quindi è molto potente nel suo campo d’applicazione,
ma questo è strettamente limitato. Anzitutto è limitato al comportamento
misurabile degli oggetti e pertanto non è in grado di gestire caratteristiche
di natura diversa: non può, ad esempio, apprezzare la bellezza nell’arte,
la grandezza della letteratura, la gioia della cucina, la natura del male, la
qualità della meditazione; così come non è in grado di capire
l’amore. La scienza può esplorare alcune delle condizioni associate
a questi aspetti, ma non è in grado di entrare in nessuno di essi. Non
ci saranno mai macchine capaci di misurare la bellezza di un quadro; o di determinare
sperimentalmente quanto sia cattiva una data azione. Ai fisici che presumono
di possedere la “teoria del tutto”, basta far osservare come i pensieri
umani possano causare effetti fisici reali: è una tipica azione dall’alto
verso il basso, agente sul mondo fisico ma non è inclusa nella fisica
vera e propria. Se la scienza, come ha osservato Marco Bersanelli, docente di
Astrofisica all’Università di Milano, presentando il relatore, non
può trovare in se stessa la propria giustificazione, ciò non toglie
che dal terreno della ricerca contemporanea emergano risultati sorprendenti e
innovativi che ci costringono a riconsiderare alcune grandi questioni che la
scienza dei due secoli precedenti sembrava aver sepolto per sempre; e che, pur
non dando risposte riguardo al significato o allo scopo, ci spingono a porre
la domanda in modo più drammatico.
L’ipotetico e la realtà
Secondo Ellis, la scienza ci consente di addentrarci nei fondamenti della materia
e delle forze e ci aiuta a far chiarezza tra ciò che è puramente
ipotetico e ciò che ha un preciso riscontro nella realtà. La scienza
oggi ci aiuta a capire un po’ meglio la natura della complessità,
il funzionamento del cervello e il suo rapporto con la mente: avendo cura però di
evitare posizioni riduttive e fondamentaliste. La scienza insomma ci dà modo
di comprendere meglio il contesto della nostra esistenza e di stupirci davanti
a come le cose si integrino mirabilmente per consentire tale esistenza. Rendendo
più acuta l’esigenza di una spiegazione ultima e invitandoci a cercare
un completamento di tutta la catena cosmica dei rapporti causa-effetto al solo
livello che lo può offrire: quello della metafisica.