Scopo, senso e fine. Dove arriva la scienza?

Ricerca
Mario Gargantini

Può la scienza dare delle spiegazioni circa il significato e lo scopo della persona umana? Spesso ne ha la presunzione, anche se non ha gli strumenti adeguati per fornire tali risposte. Lo ha ribadito il Premio Templeton 2004 George Ellis, cosmologo sudafricano. La scienza è potente nel suo campo d’azione, ma questo è limitato. Ci consente, però, di comprendere il contesto della nostra esperienza, rendendo più acuta in noi l’esigenza di un senso ultimo

Se pensiamo a degli studiosi specializzati nel porre domande, questi sono proprio gli scienziati; tanto che non è raro trovare tra loro chi si lascia trasportare dall’entusiasmo, o dalla presunzione, e pensa di poter rispondere a qualunque tipo di interrogativo. Comprese le domande di significato e di scopo che definiscono il nucleo della persona umana e che nessuno può sopportare di lasciare inevase a lungo. Eppure la scienza, col suo metodo e i suoi strumenti, non è attrezzata per fornire tali risposte: lo ha ribadito di fronte allo strabordante pubblico del Meeting il cosmologo sudafricano George Ellis, con chiarezza di argomentazioni e con l’autorevolezza che gli deriva, oltre che dai numerosi studi sulla Teoria della Relatività Generale, anche dalla assegnazione del prestigioso Premio Templeton per il 2004. Si tratta di uno dei premi culturali internazionali più importanti, quantitativamente superiore allo stesso premio Nobel: è dedicato al dialogo tra scienza e religione e al progresso scientifico visto nel contesto più vasto della domanda umana. Ellis è stato invitato a Rimini per un intervento su “Scienza e scopo: la ricerca contemporanea suggerisce un punto di vista”; un tema connesso con evidenza al titolo del Meeting il quale peraltro può essere visto come descrizione dell’impresa scientifica, che non è mai soddisfatta delle risposte trovate ma viene sempre sollecitata da nuovi quesiti sempre più profondi.

Tre livelli della natura
Ellis ha illustrato il punto di vista scientifico applicato ai tre livelli gerarchici della natura: il grande, dalle galassie, alle stelle, ai pianeti; il piccolo, comprendente le molecole, gli atomi, le particelle elementari; il complesso, che riguarda le cellule viventi, gli esseri umani, gli ecosistemi e le società. Tra i diversi livelli c’è una pluralità di nessi, ma quel che più conta è che non si tratta solo di collegamenti dal basso verso l’alto, ma anche nella direzione opposta: cioè non sono solo le strutture a livello inferiore (atomi, molecole) a determinare quelle superiori e le situazioni di elevata complessità non sono la pura combinazione dei vari componenti elementari. Ci sono sempre livelli multipli di spiegazione, applicabili simultaneamente. L’evoluzione dei viventi, e più ancora gli studi sul cervello, suonano come una palese smentita per quanti ancora si attestano su posizioni riduzioniste, che vorrebbero escludere il ruolo costruttivo degli scopi e delle finalità nell’evoluzione, ma che, proprio per tale esclusione, non riescono a spiegare adeguatamente la ricchezza e la varietà dei fenomeni e dei comportamenti naturali. «Una descrizione causale completa del mondo in cui viviamo deve necessariamente prendere in considerazione questi obiettivi, questi scopi, che esistono come caratteristiche emergenti del sistema e non sono insiti in nessuna componente di per sé».

Il bello, il male, l’amore…
La scienza quindi è molto potente nel suo campo d’applicazione, ma questo è strettamente limitato. Anzitutto è limitato al comportamento misurabile degli oggetti e pertanto non è in grado di gestire caratteristiche di natura diversa: non può, ad esempio, apprezzare la bellezza nell’arte, la grandezza della letteratura, la gioia della cucina, la natura del male, la qualità della meditazione; così come non è in grado di capire l’amore. La scienza può esplorare alcune delle condizioni associate a questi aspetti, ma non è in grado di entrare in nessuno di essi. Non ci saranno mai macchine capaci di misurare la bellezza di un quadro; o di determinare sperimentalmente quanto sia cattiva una data azione. Ai fisici che presumono di possedere la “teoria del tutto”, basta far osservare come i pensieri umani possano causare effetti fisici reali: è una tipica azione dall’alto verso il basso, agente sul mondo fisico ma non è inclusa nella fisica vera e propria. Se la scienza, come ha osservato Marco Bersanelli, docente di Astrofisica all’Università di Milano, presentando il relatore, non può trovare in se stessa la propria giustificazione, ciò non toglie che dal terreno della ricerca contemporanea emergano risultati sorprendenti e innovativi che ci costringono a riconsiderare alcune grandi questioni che la scienza dei due secoli precedenti sembrava aver sepolto per sempre; e che, pur non dando risposte riguardo al significato o allo scopo, ci spingono a porre la domanda in modo più drammatico.

L’ipotetico e la realtà
Secondo Ellis, la scienza ci consente di addentrarci nei fondamenti della materia e delle forze e ci aiuta a far chiarezza tra ciò che è puramente ipotetico e ciò che ha un preciso riscontro nella realtà. La scienza oggi ci aiuta a capire un po’ meglio la natura della complessità, il funzionamento del cervello e il suo rapporto con la mente: avendo cura però di evitare posizioni riduttive e fondamentaliste. La scienza insomma ci dà modo di comprendere meglio il contesto della nostra esistenza e di stupirci davanti a come le cose si integrino mirabilmente per consentire tale esistenza. Rendendo più acuta l’esigenza di una spiegazione ultima e invitandoci a cercare un completamento di tutta la catena cosmica dei rapporti causa-effetto al solo livello che lo può offrire: quello della metafisica.