Spagna: «Ci aspetta un periodo appassionante»

Il contributo di Ignacio Carbajosa, responsabile di Comunione e Liberazione in Spagna: un giudizio sulla situazione economica
Ignacio Carbajosa

In questi giorni si viaggia molto, e non è raro assistere “obbligatoriamente” alle conversazioni dei passeggeri seduti vicino a noi, in treno o in aereo. Non è difficile indovinare l’argomento più frequente delle loro conversazioni: la crisi con le sue novità quotidiane, i rischi finanziari, i tagli del governo, il Natale senza tredicesima, l’aumento dell’Iva…

La settimana scorsa ha attirato la mia attenzione la reazione di un passeggero in un treno a lunga percorrenza, che interrompeva sul nascere la solita conversazione sulle ultime (e preoccupanti) notizie del giorno: “Per favore, non parliamo di questo argomento perché mi viene l’ansia”. In effetti, le notizie che si succedono producono l’angosciosa sensazione della terra che sprofonda sotto i nostri piedi, questa terra (la stabilità e la prosperità economica) che fino a oggi ci aveva permesso di vivere senza preoccupazioni, senza la necessità di rispondere di (quasi) niente.
Dopo molti decenni la terra, o il fondamento comune, sembra incrinarsi. Mentre si cercano soluzioni macroeconomiche, nell’attesa di sapere se ci troviamo di fronte a una crisi passeggera o di tutto il sistema, la preoccupazione condivisa da tutti gli spagnoli ha (almeno) un effetto benefico: è riuscita a rompere i rigidi schemi all’interno dei quali la mentalità comune ci “invitava” (obbligava?) a vivere.
Effettivamente una delle caratteristiche più marcate della società spagnola degli ultimi trent’anni (per lo meno) è la censura del problema del significato. Di certe cose non si può (o non si deve) parlare al bar, per strada, in ufficio o nei telegiornali. Ci hanno obbligato a pensare che il problema del significato della vita è qualcosa di personale, privato, senza dignità culturale. Chi lo affronta in pubblico è tacciato di essere un “filosofo”, un gentile epiteto molto simile a “un tipo strano fuori della realtà”.
Ma a volte il problema del significato è difficilmente eludibile: di fronte alla malattia, alla morte di un familiare, al fallimento affettivo. In questi casi nella nostra società il “pensiero unico” ha raggiunto il culmine della sua opera di ingegneria sociale, alzando un muro che ci isola dai colpi della realtà: la pro-vocazione della morte, della malattia, dell’amore perduto è stata trasformata in una patologia. L’impatto della realtà che ci obbliga ad affrontare le grandi questioni della vita (qual è il senso della vita? che cos’è l’amore? che cos’è la morte? perché esiste il dolore?) è stato neutralizzato: si tratta di una patologia che bisogna curare. Se ne occupa la schiera sempre più numerosa degli psicologi.
E allora è arrivato il momento di riconoscere, e di incorporare nella coscienza di un popolo, il fatto che non esiste una persona (o qualcosa che vale la pena chiamare così) se non si accoglie il problema del significato della propria vita e della realtà che ci circonda. Inoltre, paradossalmente le grandi patologie della nostra epoca nascono proprio dalla censura di questo problema. La depressione, la violenza, i suicidi sono una testimonianza (presente ma passata sotto silenzio) delle drammatiche conseguenze di quell’opera di ingegneria sociale cui ho appena accennato.
Il sacerdote e grande educatore Luigi Giussani commentava così, anni fa, le parole di papa Giovanni Paolo II sul pericolo più grande per l’uomo, che non è la schiavitù fisica ma l’eliminazione della possibilità di comportarsi come un uomo: “Siamo in un’epoca in cui le catene non sono portate ai piedi, ma alla motilità delle prime origini del nostro io e della nostra vita”. E ciò comporta gravi conseguenze. Qualcuno potrà obiettare che viviamo in una società libera, non schiava. María Zambrano risponderebbe che la nostra è una "pseudo libertà, surrogato della libertà vera; la libertà di vagare fuori delle mura di quella cittadella che è il reale”. Liberi di vagare fuori della realtà: una buona definizione della nostra società. Con il calcio e la TV, possibilmente.
La crisi attuale, che non è più circoscritta a poche persone, ha portato alla luce la domanda sul significato della vita, come un basso continuo che accompagna le domande sul futuro dei nostri risparmi, del nostro lavoro, della nostra prosperità. Oggi è la crisi, anni fa erano la guerra, le calamità naturali o le epidemie: modi diversi in cui l’ostinata realtà mette le persone di fronte al dramma della vita, che esige un significato. E certamente la stessa mentalità comune in questi giorni cerca di offrirci nuovi palliativi per eludere la questione: identificare con il governo, con i banchieri o con Berlino l’origine dei nostri mali. Non farà altro che ritardare il problema.

Oggi, come duemila anni fa, il cristianesimo mostra tutto il suo potere andando incontro alla domanda di ogni persona. In questi momenti di crisi, in cui tutti i fondamenti vacillano, diventa attuale la domanda del salmista: “che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?” (Sal 8). L’affermazione di Cristo, "quale vantaggio c’è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita?" (Mc 8,36) conteneva già una stima infinita per il valore di ogni persona, che si manifestava nel suo modo di guardare la vita tormentata della Samaritana o il desiderio di essere amato di Zaccheo.
È il momento di recuperare il giudizio rivoluzionario di Gesù di Nazaret: la persona è rapporto con l’infinito e per questo ha un valore unico. Paradossalmente la nostra società potrà tornare a essere più umana nei prossimi anni, anche se perderà buona parte del suo potere d’acquisto (“il mondo intero”) o tornerà ad avere bisogni reali. Ma non è automatico. In effetti può diventare una società ancora più violenta. Ci troviamo di fronte a un crocevia storico per i cristiani, nella nostra società: andare incontro alla persona nelle sue necessità concrete, in un momento in cui la realtà ha fatto cadere le difese più ideologiche. Condividere le necessità per condividere il significato della vita.
D’altra parte, come sarà possibile costruire se non si parte da una certezza? Sarà difficile che la nostra economia (ossia la creatività che va incontro alle necessità) cresca se non si affronta questo periodo come un’opportunità, se non si parte da un rapporto positivo con tutto quello che mi circonda e con tutti quelli che mi circondano. L’angoscia imprigiona, solo la fiducia realizza. L’annuncio che il Mistero che ha creato tutte le cose è entrato nella storia fonda questa fiducia ultima nella storia e in tutte le sue circostanze. Ci aspetta un periodo appassionante.


Nos espera un tiempo apasionante ( da www.paginasdigital.es)