Testimoni della misericordia. La piccola e la grande felicità
TemaLa lezione del
Cardinale
di Vienna sul titolo del Meeting: «La felicità è un
avvenimento, una grazia. Il Papa lo ha reso visibile con la sua vita».
Una proposta controcorrente
«Siamo creati per essere felici». Così il cardinale Schönborn
ha iniziato il suo intervento a Rimini; riprendendo quel dialogo iniziato nel
Meeting del ’96, che invitava a spingersi «sino ai confini della
terra» e in cui l’Arcivescovo di Vienna aveva affrontato un tema
molto affascinante: il popolo eletto e la salvezza delle nazioni, con un intervento
che, riletto oggi, già introduceva l’incontro di quest’anno.
«
Siamo creati per essere felici» è una risposta diretta e schietta
alla domanda posta dal brano del Salmo 33, titolo della ventiquattresima edizione.
E nelle parole del Cardinale questa risposta è diventata un sì pronunciato
ad alta voce davanti a «cari amici» e nel contempo il racconto della
sua storia personale. A partire proprio da quest’affermazione, un ricordo
di gioventù «del mio parroco. Che cosa predicava l’ho dimenticato,
ma l’unica frase rimasta nella mia memoria è quella». Una
frase piena di gusto e di speranza che ha subito puntato il dito sul titolo dell’incontro, “Vocazione
cristiana: chiamata alla felicità”.
Questione di esperienza
Che siamo creati per essere felici «è scritto nel cuore di ogni
uomo, è un’evidenza». E nel contempo è un desiderio «donatoci
dal Creatore stesso che non delude, ma rappresenta invece una meta cui siamo
destinati». Quanto questo fatto incida nell’esperienza quotidiana
lo si vede in due modi: «Deve essere sperimentabile personalmente come “vita
felice” e nello stesso tempo deve vedersi come tale negli altri»,
come in quel parroco che l’allora sedicenne Schönborn, lontano dal
diventare cardinale, ma che già si interrogava sulla sua vocazione, aveva
davanti a sé: «Ho raramente conosciuto un uomo che irradiasse in
modo così forte e intimo la verità di questa parola».
Ma che cosa vuol dire essere felici? Non è una domanda teorica, ma una
questione di esperienza che l’Arcivescovo di Vienna ha affrontato in un
modo semplice, ma nel contempo provocatorio per tempi come i nostri. Ci sono «la “piccola
felicità” e “la grande felicità”», ha spiegato
il Cardinale, «dove la prima è in verità la scuola di avviamento
alla seconda» e consiste in «quelle gioie della vita che nella nostra
spesso grigia quotidianità portano un po’ di luce: un buon pranzo,
un buon bagno al mare dopo la conferenza o prima o invece della conferenza, ma
anche un bicchiere di birra fresco in una calda giornata estiva».
La politica come strumento
Reduci da un secolo in cui tanti hanno teorizzato il sacrificio della “piccola
felicità” dell’istante promettendone una “grande” nel
futuro, le parole del Cardinale hanno anche colto nel segno della realtà odierna,
dove sul termine felicità sono tanti quelli che sentenziano la loro interpretazione,
ma pochi quelli capaci di indicare qualcosa che parli veramente al cuore dell’uomo.
Dalle ideologie del Ventesimo secolo, sino agli strascichi che oggi abbiamo sotto
gli occhi, sembra vigere l’assunto che la risposta alla felicità possa
essere assicurata da chi gestisce la politica e ha in mano il potere. «Non
aspettiamo il paradiso sulla terra dalla politica - ha detto l’Arcivescovo
di Vienna -; aspettiamo il bene comune». Perché ingiustizia, abusi
e povertà, tutto ciò che rende impossibile all’uomo la “piccola
felicità” è un ostacolo alla possibilità di raggiungere
la “grande felicità” che ci è promessa. È questo «il
motivo per cui il Santo Padre ha così decisamente disapprovato la guerra
contro l’Iraq». Non per una sorta di pacifismo, ma perché la
strada dell’uomo verso la felicità piena deve essere sostenuta dalla
pace che solo un ordine giuridico stabile può mantenere. Che solo un’idea
della politica come strumento per il bene comune può garantire. «Il
Papa non è solamente il difensore dei diritti particolari della Chiesa
cattolica. Da venticinque anni di pontificato è l’instancabile defensor
civitatis. Il suo intervento per i diritti dell’uomo, per la famiglia,
per i nascituri, per la giustizia sociale, per la pace è un unico grande
sforzo perché agli individui e all’uomo sia possibile condurre una
vita felice».
La felicità è un avvenimento
Senza la preoccupazione per il bene comune non c’è spazio per una
vita felice, per la possibilità di quella “piccola felicità” di
cui ha parlato il Cardinale, chiamandola anche «decent life, una vita decorosa,
di pace e sicurezza», che tuttavia sorge e nel contempo introduce a una
felicità piena, compiuta: la «grande felicità». È entrata
nel mondo con Cristo, nella promessa delle Beatitudini e nel sacrificio del Golgota. «La
saggezza di tutti i popoli - ha detto Schönborn - sa che la felicità non è “costruibile”,
ma che accade, è un avvenimento. Essa ha a che fare con la grazia, la
benevolenza, il dono». Un dono che è ricevuto e nel contempo offerto:
dono di sé. Come tanti santi testimoniano e tanti spunti tratti dalla
vita aiutano a comprendere. «Lo scalatore trova la sua fortuna nel raggiungimento
della vetta che è allo stesso tempo frutto di un concentrato dono di sé alla
meta che vuole raggiungere e dono grandioso della vetta che supera e corona tutte
le fatiche». È in questa tensione che si trova la chiave della “grande
felicità” per l’uomo: tutti i suoi sforzi devono accadere
come dono di sé alla meta. «Il Papa - ha ricordato il Cardinale
- non ha mai smesso di ripeterlo «e ne ha fatto vedere la sua applicazione
in tutti gli ambiti della vita. Ma in primo luogo ha reso visibile la verità di
questa frase con tutta la sua vita».
Peccatori perdonati
Gesù, rivolgendosi a Dio, lo prega affinché «tutti siano
uno come anche noi siamo uno». Ricordando questa preghiera del Figlio al
Padre, tanto cara a Giovanni Paolo II, l’Arcivescovo di Vienna ha portato
l’ultimo affondo al tema dell’incontro, notando come «questa
frase suggerisca una certa similitudine tra l’unione delle persone divine
e l’unione dei figli di Dio. In nessun altro luogo questa similitudine
si rivela in modo più chiaro che nella vocazione dell’uomo a quella
felicità che Dio stesso è, che non consiste in nient’altro
se non nel totale e vicendevole dono di sé delle persone divine, nel mistero
d’amore che è Dio». Un amore che non si limita a dare, «ma
vuole anche perdonare». Un amore che è quella misericordia di Gesù al
cospetto del quale «da una parte si diventa coscienti di tutta la profondità di
infelicità del peccato, ma dall’altra della certezza che tutto,
anche i peccati più gravi vengono perdonati». «Siate testimoni
della misericordia - ha concluso il Cardinale ricordando l’invito del Papa
- perché è la forma concreta, in cui proprio oggi può essere
annunciata la vocazione alla felicità».