Un punto rosso alla Puerta del Sol

Ignacio Carbajosa

I risultati e le analisi postelettorali sembrano aver sfrattato dall’agenda dell’informazione le proteste che hanno indotto migliaia di persone a riunirsi alla Puerta del Sol di Madrid e in altre piazze spagnole. Con un certo sollievo, dobbiamo ammetterlo. Ma non è giusto archiviare un fenomeno che non siamo riusciti a capire del tutto. Che mano c’è dietro queste proteste? E’ una domanda che in questi giorni ha fatto lambiccare il cervello a molti analisti. Con tutta probabilità le prime decine di giovani che hanno cominciato ad accamparsi al chilometro zero erano ben organizzate e rispondevano a interessi ideologici molto concreti, come sembra indicare il tenore delle loro proposte. Ma non dobbiamo limitarci a questo. C’è una domanda ancora più interessante: che cosa ha spinto, ogni sera, le migliaia di giovani e meno giovani che, a fiumi, si avvicinavano alla Puerta del Sol? Il primo movimento rientra negli schemi, è facilmente analizzabile. Questo secondo, no.

In università, un gruppo di amici esce dalla lezione e si dà appuntamento alla Puerta del Sol. Il giorno dopo non tornano nemmeno a lezione. La gente che cambia canale quando si parla di elezioni adesso vuole essere informata su quello che succede a Madrid. L’agenda politica cambia: tutti devono dire qualcosa su questo fenomeno così complesso. Finalmente molti trovano uno sfogo alla loro insoddisfazione. Valido o no. E guardano con simpatia a questo avvenimento, che esprime qualcosa già di per sé. E tutte le sere la piazza si riempie. Sta succedendo qualcosa. “Siamo protagonisti della storia”, dice qualche cartello. E chi non vuol essere protagonista? Chi non desidera che una novità, una sorpresa entri nella sua vita? In sintesi: chi non desidera essere felice, uscire dalla routine, respirare un po’ d’aria fresca?
Dice, opportunamente, il manifesto che Comunione e Liberazione ha pubblicato prima delle elezioni comunali e regionali autonome: “Gran parte del malessere sociale, in questo periodo di crisi, ha a che vedere con questa censura del desiderio infinito che ci costituisce. Quando i desideri e i bisogni reali delle persone sono estromessi dal dibattito pubblico, cresce l’ideologia. E genera violenza, per quanto tacita”.
In questa campagna elettorale è subentrato un fattore che non era previsto, un invitato a sorpresa: il “desiderio illimitato di realizzazione che è parte di noi”, che Matisse ha genialmente rappresentato come un punto rosso all’altezza del cuore del suo Icaro. I politici non lo capiscono. Sono inquieti. Come molta gente perbene e conformista. Peggio ancora: credono che basti dare lavoro per rispondere alle proteste. I più perspicaci arrivano perfino a intuire che si dovrebbe rigenerare la classe politica del nostro paese. La maggioranza tira un sospiro di sollievo perché il movimento non ha influito sulle elezioni e si può considerare superato.
Ma nemmeno i primi che si sono raccolti alla Puerta del Sol sembrano cogliere ciò che risponde a questo desiderio. La maggior parte delle loro proposte nasce già vecchia: la storia si è incaricata di seppellirle perché non erano all’altezza delle aspettative della nostra umanità. È paradigmatico l’aneddoto, risalente al maggio ’68, riportato dal grande educatore milanese Luigi Giussani. Un giorno incontrò un suo allievo che stava preparando una barricata. “Che fai?”, gli domandò. “Sono qui con le forze che cambiano la storia”, rispose con orgoglio lo studente. E Giussani gli disse: “Le forze che cambiano la storia sono le stesse che cambiano il cuore dell’uomo”. Dobbiamo avere il coraggio di non soccombere all’ideologia e verificare tutte le proposte di cambiamento secondo il criterio che ci ha fornito la natura stessa: i nostri desideri, esigenze ed evidenze originali. Quello che non serve nel rapporto con la mia ragazza, o con i miei amici, quello che non è all’altezza di questo punto rosso, non costruisce niente.
Il movimento umano che si è risvegliato seguendo le persone accampate alla Porta del Sol dà voce, seppure in modo inconscio (chi può leggere con chiarezza quell’attesa che siamo tutti noi?), a una necessità ultima che tra di noi è largamente censurata. Diciamolo chiaramente: nel nostro paese ci sono cose di cui non si può parlare pubblicamente (nella pubblica piazza, nei mezzi di comunicazione, nella scuola, al bar o con gli amici), e non perché sia “vietato” per legge. Semplicemente non hanno una dignità pubblica. Si tratta di una strana e nociva “autocensura” che quasi ci siamo imposti pressoché inconsciamente. Parlare della tristezza che uno si porta dentro, del bisogno di un affetto duraturo, del dolore del male che faccio e di quello che subisco, del mio desiderio nascosto di felicità, delle domande sul significato della vita, della morte… non è permesso. Qualcuno dirà: un po’ di pudore, per piacere.
Grazie a Dio la realtà si ribella quando non viene trattata per quello che veramente è. E ciò accade in una società in cui si censura il desiderio di realizzazione che è parte della persona. Prima o poi presenterà il conto. Lo stava già facendo nel nostro paese, anche se pochi riuscivano a capirlo. Non siamo arrivati alla “fine della storia”, come faceva presumere Fukuyama, attestando il trionfo di una società occidentale che aveva raggiunto il benessere e, con esso, la tranquillità. Perché il “punto rosso” dell’Icaro di Matisse non si spegne mai. E segna l’autentica posizione religiosa di ogni persona veramente umana: non accontentarsi di niente che non risponda al desiderio infinito del cuore. L’autentica rivoluzione consiste nel porre di nuovo sul tavolo, nel dibattito pubblico, tutta l’ampiezza del nostro bisogno. E permettere l’incontro con esperienze che nella propria vita hanno già sperimentato il compimento. Perché non può essere altro che un bene per la società.